Giacomo Guidi: così rispondo agli attacchi di Alfredo Pirri
Proprio ieri, su queste pagine, una lettera aperta di Alfredo Pirri chiamava in causa un gallerista, Giacomo Guidi, mettendo in discussione il suo lavoro e un certo modo di interpretare il rapporto artista-galleria. Oggi Guidi risponde, in una missiva altrettanto diretta.
La pubblicazione di questa “lettera” mi sorprende, ma allo stesso tempo credo che offra una grande opportunità di riflessione sul rapporto fra artista e galleria e sull’evoluzione del concetto di spazio espositivo, quindi colgo l’occasione per chiarire la mia posizione.
Punto primo: non ho mai dato giudizi o indirizzato gli artisti nei progetti espositivi proposti nella mia galleria, garantendo sempre totale libertà espressiva senza restrizioni economiche relative alla realizzazione di ogni progetto, oltre ad aver finanziato intere produzioni di progetti istituzionali colmando carenze organizzative e finanziarie di musei nazionali, al fine di salvaguardare la qualità oltre che la reale fattibilità dei progetti dei miei artisti. Pertanto non comprendo a quale titolo ci si permetta di giudicare la mia attività di operatore culturale, non avendo mai criticato io le modalità di ricerca degli artisti, anzi avendole promosse e sostenute moralmente ed economicamente.
Si invoca un’etica in me smarrita, attribuendosi la capacità di definire il campo scientifico della programmazione di una galleria, lavoro che io invece ho svolto sempre nella massima libertà concettuale.
Vengo accusato di non essere leale nel rapporto tra artista e gallerista, e per questo vengo pubblicamente tacciato di scorrettezza da chi fu l’iniziatore di un movimento silenzioso che portò via da un’altra galleria vari artisti influenti. Soldati di ventura pronti a cambiare bandiera e divisa in base al momento, decretando opinioni e costruendo fronti di opposizione verso ciò che impedisce loro di essere primari e fondamentali per la vita della galleria stessa, messa sotto assedio da gruppi interessati solo al proprio edonismo, sfruttando ogni possibilità della struttura per i loro diretti benefici e sputando sistematicamente nel piatto in cui hanno abbondantemente mangiato. Studi di artisti che diventano negozi per la vendita diretta al pubblico, sottraendo transazioni al gallerista e danneggiando il sistema dell’arte nella sua totalità.
Sono e sarò sempre coerente nel mio modo di operare, perché nella libertà espressiva si nasconde uno stile proprio e unico di fare questo lavoro: attraverso il dialogo aperto e produttivo, avendo il coraggio di seguire le proprie idee, anche se grandi e faticose, al dispetto di leoni travestiti da agnelli che parlano di comunità dell’arte mentre grazie alle vendite del proprio gallerista investono in immobili.
Invoco io ora coerenza, ma in primis con se stessi.
Vengo accusato di rifiutare rapporti e contatti con il mondo dell’arte, arroccato nel mio spazio. La galleria è la mia casa perché ho scelto di essere quello che faccio, pertanto vivo all’interno di un’idea che giorno dopo giorno si raffina e cresce, per me e per tutti quelli che credono che uno spazio possa generare cultura e dare forma a idee e progetti.
Punto secondo: credo che l’unione di forze trasversali generi nuovi percorsi, nuovi rapporti, nuove idee e quindi nuovi spazi adatti a contenerli. Ho dato vita a un progetto che si chiama B.O.A. (Bunker Of Arts), dove una serie di professionisti e intellettuali si riuniscono per generare altro, ma soprattutto per studiare, seduti allo stesso tavolo, dove si parla di Arte, Musica, Moda, Design, Diritto Intellettuale, Letteratura e Cucina. Si cerca di cambiare un dna ormai malato perché frutto di accoppiamenti tra fratelli, da cui nascono solo figli malati. Non risponde alla logica del matrimonio d’interesse, ma dell’unione per affinità elettive tra espressioni artistiche parallele. Mi dispiace che tale ricerca porti qualcuno a sentirsi escluso, ma mi rendo conto che, come è sempre accaduto, il nuovo spaventa chi non si sente pronto a partire e a poter usare questa piattaforma che stiamo costruendo.
Concludo con la serena constatazione di come l’esperienza e la saggezza siano suggeritori assenti per chi, forse pensando di dover lanciare un avviso ai naviganti, ha preferito parlare di sé (un titolo degno di una separazione cinematografica più che di un episodio di storia dell’arte contemporanea) piuttosto che usare la propria inestimabile cultura per aprire un serio dibattito.
Giacomo Guidi
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