Guerra al Calendario Pirelli. Le donne del PD, tra ladylike ed educande
Il calendario Pirelli compie mezzo secolo. E festeggia a Milano, con una mostra a Palazzo Reale. Un trionfo di bellezza femminile, immortalata da grandissimi della fotografia. Che però a qualche donna del PD fa venire l’orticaria. Ma una foto d’autore può essere sessista? E come si concilia questo rigore monacale con le dichiarazioni dell’Onorevole Alessandra Moretti, tutta immagine ed avvenenza?
È il caso che il PD si metta d’accordo con se stesso. E non ci riferiamo alla solita questione del correntismo, alla battaglia tra renziani, civatiani, bersaniani, dalemiani, cuperliani e via sgomitando. Non c’entrano i duelli a colpi di Jobs Act e Articolo 18, preferenze o listini bloccati, impianto liberale o statalismo rosso. Oddio, una certa chiarezza d’intenti, pur nella necessaria vivacità dello scontro democratico, sarebbe anche gradita; ma qui si discute di donne. Di corpi, di look, di immagine e di comunicazione. E dunque anche di sostanza. Perché hai voglia a dire che in politica il chiacchiericcio sul bello e sul brutto non conta e che sarebbe meglio concentrarsi sulla qualità – ma va?! -, però il punto non è questo. Non lo è quando il tema del “genere”porta con sé, nel dibattitocollettivo, tutta una serie di cliché, di attitudinie di giudizi, di preconcetti o di rivendicazioni, che in qualche modo orientano cultura ed educazione intorno all’idea del femminile.
E la politica c’entra, in quanto spazio d’eccellenza in cui si consumano dinamiche di potere, si veicolano messaggi, si determinano modelli. La politica è una tribuna. Tra le più nobili e alte (in teoria). Capaci a un tempo di riflettere e determinare la direzione dell’emotività e dell’immaginario collettivo, al livello della pancia, del pensiero e dei riferimenti valoriali del Paese.
Il PD, dicevamo. Che in uno schizofrenico exploit mediatico, nel giro di 48 ore è stato in grado di affidare ai microfoni della stampa affermazioniagli antipodi, entrambe stigmatizzabili con un aggettivo solo: imbarazzanti.
Da un lato c’è l’europarlamentare Alessandra Moretti, renziana dell’ultim’ora, scesa dal carro di Bersani all’indomani del trionfo del neo premier alle primarie,ora in campo per le elezioni regionali in Veneto. Addio Strasburgo, si punta ad asfaltare Zaia. Ci sta: è la legge della competizione. Quello che non ci sta è la goffa intervista rilasciata al Corriere tv, in cui il discorso s’è subito spostato sul topic del momento: le donne in politica.
La Moretti – definitasi “ladylike”, traducibile con “ricercato, femminile” – si è cimentata con una serie di improbabili aggettivi autocelebrativi (la più bella, la più brava, la più in forma, la più sprint), tentando una scanzonata disamina del ruolo della donna tra le aule del parlamento e le segreterie di partito. Uno zelante sdoganamentodel nuovo modello renziano – vedi Boschi e Madia – tutto proiettato all’immagine, oltre che al merito e al talento (quando c’è). Peccato che nel tentativo di archiviare il prototipo veterofemminista della militante/dirigente a forma di uomo, per forza trasandata, per forza sciatta, per forza allergica ai tacchi e alla tintura, tutta cervello, cellulite e ricrescita – ovvero Rosi Bindi, colei che avrebbe “mortificato la bellezza” – la pungente signora ladylike si sia attorcigliata in una sequela di luoghi comuni, persino peggiori di quelli che intendeva smontare.
Il succo: se il concetto di “femminilità” si riduce ai caratteri di gradevolezza ed eleganza (con la povera Simone de Beauvoir a rivoltarsi nella tomba), le nuove donne del Pd renziano rappresenterebbero l’avanguardia (!) in politica, in quando belle (e non solo capaci), attraenti, sportive e curatissime, bravissime a destreggiarsi tra una commissione parlamentare e una seduta dall’estetista. Vincenti, come nella più rutilante sitcom Anni Novanta. Un pasticcio, da cui lei e le graziose colleghe sono uscite a pezzi, col risultato di trasformare un antipatico dinosauro d’estrazione democristiana come la Bindi nell’eroina moderna di una sinistra dura, pura e seria. Peggio di così, solo un comizio di Borghezio.
Dall’altro lato, in perfetta contrapposizione, troviamo Roberta Agostini, Coordinatrice Donne del Partito Democratico, intervistata da Klaus Davi sul tema donne e media: “Nella maggior parte dei casi”, ha esordito, “c’è sempre questa immagine delle donne un po’ stereotipata, un po’ seducente, accattivante, che ammicca all’immaginario maschile. Conformandosi al quale le donne risultano piacevoli, attraenti, degne di considerazione”.
Poi, la domanda specifica su un’icona del gusto contemporaneo come il Calendario Pirelli, festeggiato in questi gironi con una mostra all’Hangar Bicocca, in occasione dei suoi primi cinquant’anni. Anche The Cal un insulto alle donne? “Penso che bisognerebbe tutti quanti fare una riflessione” risponde. “Salta agli occhi lo svilimento della dignità del corpo, che viene proposto attraverso certi programmi o certi modi di rappresentare l’immagine delle donne”. Il prototipo della donna sexy o vestita in latex? “Personalmente mi disturba: mi viene da interrogarmi sulle ragioni per le quali per vendere qualche cosa bisogna svestire le donne”.
Bocciatura senz’appello, dunque, anche per la storica collezione di fotografie d’autore, che da decenni immortalano le più stratosferiche bellezze del globo, interpretate e valorizzata da maestri come HerbRitts, Peter Lindbergh, Steve McCurry , Inez and Vinoodh, Richard Avedon, Mario Testino, Terry Richardson, Bruce Weber, Annie Leibovitz, Karl Lagerfeld. Non esattamente dei pornografi, e nemmeno dei paparazzi o dei fotografi da nightclub. Insomma, uno stuolo di autori pazzeschi, che hanno raccontato la bellezza femminile in mille modi, esaltandone la potenza erotica, lo charme, l’eleganza congenita, la presenza scenica, l’intensità dello sguardo, la capacità istrionica, l’ironia e la seduttività; ma che secondo la Agostini sarebbero complici di una generale deriva maschilista, votata alla mercificazione dei corpi e all’umiliazione delle intelligenze femminili.
Teoria bislacca. Figlia di un bigottismo che trascina con sé persino l’arte, persino l’occhio graffiante e profondo dei migliori reucci dell’obiettivo. Che dire? Alla faccia del progressismo. Le amazzoni del Pd in versione educande si mettono a criticare l’atavica, normalissima, persino necessaria dimensione erotica ed estetica dell’essere umano, coltivata da sempre con strumenti ed approcci creativi in evoluzione.
“Facessero uno sforzo creativo e di immaginazione i pubblicitari, provassero a indagare piste diverse. Questi calendari si ripetono uguali a se stessi da anni”, aggiunge la Agostini. “Puntassero sulle donne che lavorano, donne alla guida di automobili, donne in ruoli importanti nelle tante aziende del nostro paese e che aiutano, col loro lavoro, a creare ricchezza. Possono esserci modelli femminili diversi, da proporre anche per vendere un calendario in un modo più intelligente”. Consigli che grondano conformismo, decisamente demodé, oltre che superflui per una donna – emancipata e libera – del terzo millennio.
A farle eco, ancora ai microfoni di Klaucondicio, è la deputata del PD Micaela Campana, illuminata da un pensiero altissimo:”Insieme alla bellezza bisogna metterci anche la sostanza”, dice. Un monito che giunge come una rivelazione: e noi che pensavamo, in pieno 2014, che bastasse un decolleté.
E prosegue: “In una fase come questa in cui si parla di violenza sulle donne, sia fisica che psicologica, anche la cultura deve entrare nel merito delle questione. Il corpo della donna è bello, ma non ci si può fermare solo a quello. Serve un giusto equilibrio, che l’Italia ha difficoltà a raggiungere. Se oggi la Pirelli propone un’immagine solo erotica e molto esplicita, serve una riflessione culturale a tutto tondo”.
Insalata di retorica, banalità e moralismi trionfali, che al tema serissimo del femminicidio accosta quello frivolissimo delle foto fashion. Secondo un nesso causale che ha dell’inquietante. Un uomo che vede una foto della divina Laetitia Casta con un outfit da spiaggia anni ’50, come da memorabile scatto di Ritts, automaticamente sentirebbe montare in sé l’istinto della violenza, con l’idea che una donna sia un oggetto da usare, mortificare, discriminare? Tesi un filo estrema. E anche pericolosa. Dal momento che, estremizzando, sarebbe come affermare che è la bellezza stessa a indurre il male, a sobillare gli animi, a determinare l’aggressività del maschio. Residui di una morale veterocattolica, fondata sul peccato, sul senso di colpa, sull’assonanza tra “femminile” e “demoniaco”.
Perché le foto del calendario Pirelli, diciamolo, non fanno altro che celebrare il bello, nella sua essenza. Con un gusto per l’eros mai forzato, mai sboccato, mai tendente al porno-trash e all’ammiccamento volgarotto. Foto d’autore, tout court. Che di meraviglie come Monica Bellucci, Naomi Campbell, Helena Christensen, Sophie Dahl, Carrie Otis o Adriana Lima, per altro spesso abbastanza vestite, hanno fatto dei monumenti di luce e di contrasti. E se un seno scoperto, la curva di una schiena e uno stacco di coscia, provocano ancora – nella sinistra progressista del XXI secolo – quello sdegno che turbava l’Italietta parrocchiale d’una volta, stordita dai primi varietà di mamma Rai… beh, qualcheproblema c’è.
Un terrorismo culturale che ingabbia – ancora e ancora – la libertà di una donna d’essere quello che vuole: bella, attraente, single, madre, gheisha o carrierista, sui tacchi o sulle ballerine, truccata o acqua e sapone, in minigonna o in tailleur, in lingerie davanti a una telecamera o timida per costituzione. Senza che questo provochi servizi “giornalistici” immondi à la Alfonso Signorini, battute grevi à la Sabina Guzzanti, allusioni sessuali, fanatismi, condanne senza appello, giudizi altezzosi e imbarazzi retrò, sguardi supponenti e lezioncine sceme sui segreti della “ladylikeness”.
E allora, tra l’auto ostentazione da super-femmina trendy della Moretti e il rigorismo bacchettone delle due colleghe, vuoi vedere che a vincere è una come Mara Carfagna, da sempre bersaglio dell’intellighenzia radical chic antiberlusconiana? Un passato remoto da donna copertina (con tanto di calendario sexy), una carriera da ministro e deputato rispettabile, uno stile sobrio ma femminile, bella senza bisogno di dirselo da sola, brava perché s’è messa d’impegno, ha studiato e ha vinto pure qualche battaglia per le donne (fra tutte la legge sullo stalking). Capace d’essere seducente, ma non facendone un merito né un segno di modernità politica. Paradossi e rivincite, tra i fasti del renzismo e le ceneri del berlusconismo. E forse non è solo una provocazione.
Helga Marsala
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