Inpratica. Noterelle sulla cultura (VIII)
Lo scandalo artistico ha come centro la proposizione, la presentazione e la declinazione di un sistema di valori radicalmente opposto a quello vigente, che a sua volta emana le forme nuove e il nuovo aspetto. Le lezione di Francesco Arcangeli fa da fil rouge di un nuovo capitolo della serie di articoli della rubrica Inpratica.
“Umiltà, lavoro continuo, studio progressivo”
Francesco Arcangeli ai suoi studenti
Occorre che l’arte italiana, del futuro vicino, ancora come già accaduto, sia al tempo stesso rozza e elegante; di grande simpatia e franca brutalità.
Che insegua la semplicità, e che si muova sempre e comunque al confine con il ridicolo, con ciò che può essere ad ogni passo deriso, confuso con il dilettantesco e il domestico – ma contemporaneamente al di qua e al di là di questo confine, proiettato in una dimensione universale. Esattamente come il cinema di Pasolini (i volti, le inquadrature, gli spazi agìti – la concatenazione dei significati): il cinema di Accattone (1961), Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966), La Terra vista dalla Luna (1967), Che cosa sono le nuvole? (1967). Inseguire la monumentalità non nelle sue forme congelate, ma nella concrezione presente del monumento: guardare al monumento come risultato futuro, quasi accidentale, e non come aborto. La monumentalità dell’arte italiana, conseguita e non inseguita, viene da un approccio verso la realtà sincero, umano, scevro di sentimentalismi e di formalismi; viene dall’osservazione e dalla propensione allo scandalo (autentico e non stupidotto, preconfezionato, spuntato) a costruire qualcosa di talmente maleducato, di talmente fuori dalle convenzioni accettate e stabilite e irrigidite, da creare nuovi standard che poggiano su presupposti radicalmente differenti.
Lo scandalo artistico ha come centro la proposizione, la presentazione e la declinazione di un sistema di valori radicalmente opposto a quello vigente, che a sua volta emana le forme nuove e il nuovo aspetto.
L’aria di famiglia, la disposizione d’animo delle opere.
Siamo provincia di un Impero che già non esiste più nei fatti. Non ha alcun senso reiterare rituali quando i codici stanno saltando e le barriere crollano. Non ha alcun senso inseguire il sogno di essere una star, ed è anche terribilmente fuori moda. Probabilmente, ha molto più senso inserirsi situarsi posizionarsi con fermezza in questa marginalità che abitiamo e che siamo. Riflettere su di essa; considerare il fatto che essere dei fantasmi presenta anche degli indubbi vantaggi, oltre alle note e ovvie criticità. Per esempio, il punto di vista: mutare radicalmente il punto di vista sulla realtà è il primo, necessario passaggio per mutare la realtà stessa. Per cambiare lo scenario culturale, sociale, economico, politico che ci circonda e in cui siamo immersi.
Nella gran parte della produzione artistica e culturale degli ultimi decenni, invece, anche – e forse soprattutto – laddove essa ha indossato il travestimento del dissidio, della protesta, della contestazione, consideriamo l’acquiescenza fondamentale. Per il fatto stesso di aver accettato e di accettare il recinto e il perimetro dato (istituzionale, commerciale, mediatico: il “sistema”), magari con il proposito illusorio di agire come “un virus” al suo interno, l’arte mainstream ha mostrato tutta la sua velleitarietà.
La domanda è: che cosa vogliamo fare, adesso? Continuare tristemente a perpetuare questo schema, inseguendo sogni perduti (la mostra a New York, la residenza prestigiosa, l’inserimento nella “collezione importante”, ecc.), o provare davvero a costruire modelli alternativi e pratiche che fuoriescano dal recinto annullandolo?
Un conto è studiare e conoscere effettivamente la realtà che abbiamo davanti, un altro conto è pensare (o sognare) di conoscerla. Tra l’immagine che di essa ci siamo formata nel nostro cervello, e come-essa-è, bisogna tendere sempre e comunque verso la seconda, il più possibile – riformulando e riconfigurando la prima (la riproduzione; l’interpretazione).
Senza un’adeguata, approfondita conoscenza della realtà e delle sue “zone” – che siano esse il sistema dell’arte, i processi di trasformazione storica, gli scenari economici o i rapporti sociali – non è possibile nessun vero cambiamento o intervento. Tutto rimane nell’ottica dell’autoillusione e dell’autosuggestione, del dilettantismo e, peggio ancora, della dissociazione dal mondo degli altri. Gli altri costituiscono la dimensione da tenere sempre presente: senza di loro, senza le loro istanze e le loro esigenze, il cambiamento avviene soltanto nella nostra immaginazione, nella nostra mente.
E, se ci pensiamo bene, neanche lì davvero.
Christian Caliandro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati