Intervista con Oreste Pipolo. Da sciamano delle spose a fotografo concettuale
Personalità vitale e trascinante, istintiva e appassionata, artigiano della fotografia e al tempo stesso artista, Oreste Pipolo è conosciuto come il “fotografo delle spose”. Protagonista di innumerevoli documentari, ispiratore del film di Bellocchio “Il regista delle spose”, consulente per il film “Reality” di Matteo Garrone, oggi Pipolo presenta il suo nuovo progetto fotografico: “Napoli Velata”. Un’operazione tra la denuncia del degrado e la difesa del patrimonio culturale e artistico napoletano.
Sono gli Anni Settanta quando inizia la sua carriera fotografica nel mondo dei matrimoni. È degli Anni Ottanta l’incontro con Mike Bongiorno, che lo presenta al grande pubblico attraverso il programma Flash e negli anni ‘90 un articolo di Ferdinando Scianna sul Sole 24 Ore lo consacra definitivamente nell’ambiente artistico con l’appellativo di “sciamano delle spose”. Sono questi i momenti chiave della vita di Oreste Pipolo.
Con il suo carattere irruento,protagonista assoluto dei matrimoni napoletani, si presenta a Roma una delle figure meno convenzionali del mondo della fotografia: una vita dedicata al rito dello sposalizio, creatore di un vera e propria fotografia di genere. In bilico tra fotogiornalismo, reportage e glamour, il suo obiettivo ha raccontato “il giorno più bello” di intere generazioni di famiglie. “A Napoli”, sosteneva Mike Bongiorno, “può anche mancare il prete al matrimonio, ma Pipolo no”.
I suoi scatti sono degli spaccati antropologici che evidenziano i tratti sociologici del rituale. Un lavoro prezioso da cui emerge un ritratto autentico di una Napoli fatta di volti e personaggi secondari sconosciuti alla Storia, volti umili, ma anche ricchi matrimoni sfarzosi, cortili popolari, tradizioni esasperate.
Camminiamo insieme per le vie di Roma, impossibile per lui passare inosservato. Lo riconoscono in tanti, forse per la forte presenza nelle reti televisive o per i diversi documentari a lui dedicati, a partire dal ritratto che ne fa Matteo Garrone nel 1998, fino alla monografia di Sky Arte che lo vede protagonista di una puntata di Fotografi, viaggio alla scoperta dei maestri italiani, che gli hanno restituito successo popolare. Dopo aver raccontato i matrimoni, tenendo sempre fermo l’occhio alla Napoli di Eduardo, Pipolo è oggi a Roma in un’altra veste. Qui si toglie i panni che lo hanno reso personaggio cult e indossa quelli dell’artista a tutto tondo.
I fotografi che stimi, i tuoi riferimenti.
Tanti, anche se dico sempre ai miei studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli di non leggere i libri di fotografia, ma i libri di pittura. È lì che si trova la ricerca del taglio, della luce. La grande lezione di tecnica della rappresentazione e della visione è nei quadri più che nella fotografia.
Ok, niente fotografi. Allora a quali pittori ti riferisci?
Rembrandt e Caravaggio. Pensando di dividere il mondo della fotografia in due, associo Caravaggio a un obiettivo morbido che legge il nero, un obiettivo 2.8, e Rembrandt più contrastato, direi un obiettivo 3.5, tipo il Carl Zeiss. Ma questa è una lezione che è alla base della fotografia e dei fotografi, e che soprattutto ritrovo nel lavoro del maestro della luce Vittorio Storaro.
Siamo nel campo del cinema, però. Perché eviti i fotografi?
Ma no, nessun problema con loro. Però ti dico una cosa: l’esordio è stato difficile. La mia categoria, quella dei fotografi di matrimoni, ha sempre avuto problemi a essere accettata dai fotografi più accreditati dal sistema dell’arte. Un figlio del popolo come me, con appena la terza media, non aveva nessuna possibilità di farsi strada in una Napoli aristocratica e conservatrice che non mi ha mai accettato e che mai mi ha ammesso nei circuiti di mostre o simili. Diverso sarebbe stato a Milano: lì gli Anni Settanta erano per tutti, ma la mia opera è sempre stata rivolta all’universo e all’umanità napoletana.
Ma poi le cose sono andate diversamente. Hai creato una vera fotografia di genere, riscattando il tuo lavoro e la tua storia personale. Oggi sei ritenuto un antropologo, un sociologo…
Sì, è il mio momento. Gli anni nella fotografia di genere hanno prodotto dei risultati. Il progetto fotografico su cui sto lavorando si chiama Napoli Velata e prevede un libro e delle mostre a partire dalla primavera prossima presso la Galleria Sinopia di Roma. In questo progetto utilizzo un velo bianco per avvolgere statue, opere d’arte e personaggi di strada.
Quindi è proprio da quel velo, elemento simbolico dell’istituzione matrimoniale, che si articola il concept del progetto Napoli Velata?
Sì, tutto viene da lì, è come un imprinting. Il velo è da sempre simbolo di protezione. Velare i personaggi al margine, le statue fuori dal circuito turistico, le opere che vivono in stato di abbandono o incuria e che sono nel cuore e nella tradizione del popolo è da una parte un rito propiziatorio e dall’altro di denuncia. La fotografia e il velo custodiscono il nostro patrimonio, lo tutelano, ma al contempo lo ricollocano al centro della scena, all’attenzione di quella che è la festa della vita, proprio come una sposa al centro del suo giorno perfetto. E non dimentichiamo che a Napoli il culto del velo è radicato nell’immaginario collettivo grazie a uno dei maggiori capolavori scultorei del mondo, il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino.
A guardare la tua Napoli Velata sembra proprio che tu abbia voluto tracciare una mappa, un piccolo manuale di storia dell’arte, ma anche di vite, che appartiene più che a Napoli, al suo popolo, lo stesso che hai ritratto nei tuoi mille matrimoni.
Sì, tutto è collegato. Ma non tutto si può proteggere e salvare. Il velo a volte è inefficace e allora in quel caso il velo diventa nero,sinonimo di una resa, di una sconfitta dell’umanità. Come nella Città della Scienza, il cui incendio ha traumatizzato Napoli. Negli scatti che ho dedicato a lei, il velo nero come una nuvola scivola su quelle macerie annerite dal fumo, simbolo di lutto e sudario trasparente. La città a rischio è uno dei temi che porto avanti da anni.
Sacro e profano, paganesimo, arte, illusione, cultura e folklore. Ma allora, quale verità dietro il velo?
Semplicemente la bellezza!
Jasmine Pignatelli
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