Arte, amore, editoria. Intervista con Elena del Drago
“C’eravamo tanto amati. Le coppie dell’arte nel Novecento” è il libro di Elena del Drago che racconta l’arte e le opere attraverso la storia delle “coppie” . Amori, incontri, scontri: entrando in casa Albers, casa Mafai o casa Pollock. Si parla di Marina e Ulay, Gerda Taro e Robert Capa, e degli immancabili Frida e Diego. Ce lo siamo fatti raccontare dall’autrice, alla quale abbiamo chiesto anche un parere su arte, divulgazione ed editoria.
Com’è nato questo libro e come hai scelto “le coppie”?
L’idea è nata leggendo molte biografie, genere di cui sono appassionata. Ho iniziato a vedere quanto sia importante conoscere la vita di un artista per capire la sua opera. Trovo che soprattutto in Italia questo aspetto sia troppo dimenticato, quindi spesso si prescinde dal vissuto degli artisti per entrare “all’interno” dei lavori. Mi sono accorta invece che questo studio cambiava la mia prospettiva su artisti che conoscevo benissimo. Cambiava il modo in cui vedevo le loro opere. Da qui è nata l’idea delle coppie dell’arte, perché l’idea di base è che l’artista non sia da solo, genio ispirato… È solo dallo scambio che nascono le idee. E questo è ancora più evidente nel confronto con i partner.
L’aneddotica, nella trascrizione della storia dell’arte, è una componente che è stata un po’ dimenticata in Italia. Secondo te perché nel nostro Paese si è scelto di ignorarla?
Guarda, è un po’ un mistero. In un Paese come l’Italia, dove la passione per il “gossip”, talvolta persino un po’ morboso, è molto forte, nella letteratura e nell’arte tendiamo a non interessarcene. Il genere delle biografie, come sapete, nel mondo anglosassone è di straordinario successo, anche per quanto riguarda questi settori. Nel nostro Paese invece no e a mio parere sarebbe importante quanto meno “bilanciare”, far vedere come la storia dell’artista influenzi l’opera e viceversa. Naturalmente l’aneddoto deve essere funzionale alla comprensione dell’opera: se è illuminante per capire alcuni avanzamenti e scoperte della storia dell’arte, allora ben venga.
Questo atteggiamento dipende da una sorta di pudore, da una distinzione ormai tutta italiana tra “cultura alta” e “cultura bassa” o addirittura da una sorta di chiusura del mondo dell’arte?
Almeno due di questi fattori che elenchi fanno parte di questa separazione. Uno è quello di considerare l’arte e la letteratura domini alti rispetto ad altri territori del presente, trattandoli quindi di conseguenza. C’è anche una concezione élitaria della cultura che in Italia perdura, e quindi non si pensa che l’arte in fondo possa interessare a tante persone. C’è un gruppo di appassionati che è un po’ sempre lo stesso e che risponde a percentuali in fondo bassissime. Non c’è lo sforzo di aprire l’arte, tanto più quella contemporanea, che è proprio vista come un mondo a sé. Da qui anche un po’ l’atteggiamento derisorio rispetto alle mostre più sperimentali, che naturalmente, se non vengono spiegate, non possono essere comprese da tutti.
Quale può essere un antidoto?
Bisognerebbe fare uno sforzo divulgativo che in Italia manca. Ci sono pochissime testate, pochissimi elementi che davvero si sforzano di portare l’arte contemporanea al pubblico. Poi non ci possiamo lamentare se i musei non sono abbastanza frequentati…
Quanto il tuo lavoro di giornalista a Radio 3 ti ha aiutato nella scrittura di questo libro, soprattutto se parliamo di divulgazione?
Moltissimo. Sono stata portata a scrivere ogni capitolo come se dovessi raccontarlo a qualcuno che dei vari artisti di cui ho parlato non sa nulla. Attraverso il racconto del rapporto d’amore – un escamotage che appassiona tutti noi – cerco di incuriosire il pubblico, sperando poi che vada ad approfondire il lavoro degli artisti di cui tratto. È dal 2011 che lavoro a C’eravamo tanto amati. Ho letto moltissime biografie, ho trascorso moltissimo tempo alla GNAM, che ha una biblioteca stupenda. E poi c’è Internet… Dal momento soprattutto che il genere biografia in Italia latita e molti libri non sono tradotti.
Correggimi se sbaglio. Nelle tue storie sei un po’ sempre dalla parte delle donne, vero?
Fino alla prima metà del Novecento è così. Poi cambia tutto, arrivando ai Kabakov, a Marina Abramovic, che non ha certo bisogno di difese. Prima di quella data il rapporto è sbilanciato, non c’è dubbio. Mi hanno commosso, soprattutto, le figure di donne che hanno fatto delle rinunce a ciò che veramente volevano essere. Penso ad Annie Albers o a Sonia Delaunay… Volevano essere pittrici, lo sono state soltanto in parte o per niente, come la Albers, e hanno negato questa rinuncia, hanno anteposto davvero la riuscita del proprio uomo rispetto alla propria. In alcuni casi anche con una strategia. Nel caso di Lee Krasner, moglie di Jackson Pollock, sicuramente lei si è messa da parte riconoscendo al marito una certa superiorità di talento. O nel caso di Lee Miller con Man Ray, mi ha impressionato vedere quanta importanza abbia attribuito lei a questa storia e quanta poca invece ne abbia dato lui, almeno nelle testimonianze.
In soldoni, cosa racconta questo libro?
Questo è un libro può essere un prologo alla contemporaneità dove lavorare in coppia o in gruppo è diventata una vera e propria tendenza. Vincenzo Trione aveva pubblicato qualche anno fa una mappatura di tutto il mondo artistico, realizzata con i suoi studenti, evidenziando come la scelta di lavorare in gruppo o in coppia sia condivisa in Europa, negli Stati Uniti, in Africa…
Ma in Italia si scrivono libri di storia dell’arte contemporanea?
Pochissimi… Nelle librerie la parte dedicata all’arte non c’è quasi più. Ci sono solo i cataloghi delle grandi mostre e poi, al massimo, cinque o sei titoli. Va anche ripensato il mondo in cui raccontare l’arte. Non si può dare solo la colpa al lettore. Un esempio? I libri d’arte per bambini vanno benissimo, perché è un genere che è stato sviluppato in maniera egregia in Italia.
Libri che recentemente ti hanno colpito?
Negli ultimi anni ho letto soprattutto biografie. E naturalmente mi piacciono molto i libri sul genere di Johan & Levi e i cataloghi. Mi sembrano interessanti i libri che aprono un dibattito, come quello di Salvatore Settis, Patrimonio SPA (Einaudi) o Italia Reloaded di Christian Caliandro e Pier Luigi Sacco (il Mulino). Che poi io sia d’accordo o meno con le loro teorie, non importa. Necessario è che aprano un dibattito.
Santa Nastro
Elena del Drago – C’eravamo tanto amati. Le coppie dell’arte nel Novecento
Electa, Milano 2014
Pagg. 176, € 16
ISBN 9788837091576
www.electaweb.it
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