Conversazioni d’arte. Laura Tansini e Mario Merz
Quarto appuntamento con le conversazioni – ci raccomandiamo: non chiamatele interviste! – fra Laura Tansini e i più artisti del secolo scorso, e di questo da poco iniziato. Qui di seguito trovate un lungo confronto con il gigante Mario Merz. Sulla Spirale al Foro di Cesare, l’Igloo alla Spina 1 di Torino, la serie di Fibonacci sulla Mole Antonelliana…
La sera dell’8 novembre [2003, N.d.R.] Mario Merz (Milano, 1925 – Torino, 2003) era a Bergamo per festeggiare l’amico Jannis Kounellis che inaugurava una mostra. Nella notte è rientrato a Milano ma, anziché fermarsi, ha deciso di proseguire, seguendo la spirale che “può cominciare molto piccola, molto esigua e andare a degli spazi formidabili“; ha superato distanze siderali… e ci ha lasciati indietro.
Da anni desideravo incontrarlo; era considerato un uomo burbero, difficile, poco socievole, ma la mia impressione era che lo fosse per necessità, per difendersi e scoraggiare inutili conversazioni; per il poco che avevo avuto a che fare con lui, a me pareva arguto e provocatore, insofferente ma in fondo gentile, curioso, forse timido.
A Roma, dove nell’aprile dello scorso anno [il 2003, N.d.R.] si è trattenuto qualche giorno dopo aver installato la Spirale al Foro di Cesare, ho avuto la fortuna – seguendo il suggerimento di Giorgio Persano e con l’aiuto di Ludovico Pratesi e Costantino D’Orazio – di incontrarlo. Le ore trascorse con Mario Merz sulla terrazza – che domina Campo Vaccino – dell’albergo dove alloggiava a Roma sono state straordinarie. Ho scoperto un uomo estremamente disponibile e generoso nel comunicare il proprio pensiero artistico. Nella conversazione – per la verità un monologo: da parte mia non avevo certo nulla da aggiungere alle sue parole – che mi ha permesso di registrare ha parlato della Spirale al Foro di Cesare, della grande fontana realizzata a Torino, della serie di Fibonacci installata lungo la Mole Antonelliana.
Che significato ha per te la spirale e perché una spirale luminosa nel Foro di Cesare?
La spirale ha qualcosa a che fare con i numeri in quanto, aumentando le dimensioni dei numeri stessi, aumentando la dimensione tra numero e numero, la spirale cambia perché la spirale è un disegno, il disegno si sottomette ai numeri, sottomettendosi ai numeri la spirale muta di aspetto.
La spirale ha una sensibilità particolarmente efficace sullo spazio; un quadrato, che non è spiralico, deve avere la possibilità di aggredire lo spazio, la spirale invece può cominciare molto piccola, molto esigua e andare a degli spazi formidabili.
In astronomia lo studio delle stelle e degli spazi intrastellari è quasi sempre correttamente preservabile attraverso spirali, quindi la spirale dai cieli celesti in questo caso si è spostata su un prato, che però è un prato particolare in quanto è un prato che copre delle tombe antiche e sostiene delle pietre di 2mila anni fa; in questo caso sostiene anche la spirale di luce.
La spirale comunica un senso di rapidità di movimento, di energia e quindi di continuità. Per me questo senso di continuità lega il “passato” del luogo alla tua opera. Perché, con tutto lo spazio che avevi a disposizione, hai scelto proprio questo luogo nel Foro di Cesare?
Trovavo interessante questo rettangolo, perché la città di oggi in se stessa è o tutta spezzettata oppure chilometrata, per cui il prato ha un suo perché persino estetico di esistere; la cosa che è chiara in quest’opera è che il prato ha dei confini, essendo un prato archeologicamente interessante, non è un prato infinito, è un prato che ha dei confini particolarmente segnati; allora io ho eseguito un’opera dentro un prato segnato sia dal tempo storico che dal tempo spaziale.
L’opera non può essere presa e portata in un altro posto, è un’opera eseguita come un disegno architettonico, secondo lo spazio architettonico, quindi dà efficacia all’architettura spaziale del prato stesso oltre che efficacia al mio disegno contemporaneo, e con questo mi riallaccio a quello che dicevi tu, che il tempo rimane imprigionato tra 2mila anni fa e il tempo presente. In questo senso è un tempo tipicamente storico e quindi tipicamente umano.
Un’estremità della spirale è segmentata: che significa ?
La spirale… potrebbe essere il segmento anche aumentato. Potrei fare una parte della spirale a cinquanta chilometri da questo posto. Il bello della spirale è che non ha… Ha un posto particolarmente suo ma nello stesso tempo si appropria di posti non suoi.
È corretto dire che nella spirale e nella serie di Fibonacci c’è rapporto con la matematica e quindi con l’armonia, con la musica?
Direi che non c’è rapporto, perché è autonomo; io pretendo che quest’opera sia una scultura stesa sul prato, quindi mi è difficile pensare che abbia un rapporto con la musica o con la matematica, è una forma appoggiata su un prato. Semmai ha rapporto con il prato stesso.
Certo l’uomo è qualcuno che fa esperienze, sempre: con il disegno, con la musica, con lo spazio, ma non si può dire che avere delle esperienze sia diventare un musicista o un matematico. Qualsiasi uomo ha delle esperienze con il suono e qualsiasi uomo ha delle esperienze con lo spazio, per cui “ha delle esperienze”. Io stesso non mi reputo né un musicista né un matematico, ma mi reputo uno che ha fatto una cosa che si chiama scultura.
Questa spirale, fatta di luce, è quasi invisibile di giorno. C’è una volontà nel renderla visibile solo la notte?
Questa è una scultura che per esprimersi ha bisogno della luce, quindi diciamo pure che è una scultura luminosa molto visibile di notte e quasi invisibile di giorno, e questo non è casuale. Di giorno noi abbiamo una percezione luminosa intensificata da parte della nostra stella, per cui allo scomparire della stella del giorno noi entriamo in valori negativi luminosi, quindi entriamo nel buio.
Ma la domanda era: perché hai voluto fare un’opera percepibile con forza nel buio e che scompare di giorno? Avresti potuto farla con altri materiali, potevi costruire una spirale come ti pareva e che fosse ben visibile anche di giorno…
Ma sai, questo fatto dipende molto dall’enorme quantità di materia che la città di oggi presenta alla luce del giorno; una materia che il giorno fa diventare quasi brutale; invece negli spazi notturni la materia pesante si attenua… attenua il suo potere; per cui, attenuando il potere della materia, la luce si inorgoglisce e si esprime, ma è basato sull’attenuamento del potere formale che la materia del giorno offre all’occhio delle persone.
Se tu pensi che ci sono centinaia e centinaia di reperti archeologici in questi spazi di Roma, capisci che mettere negli stessi spazi una cosa ingombrante come una spirale può provocare un senso di fastidio… Allora preferisco usare la luce notturna; la luce notturna attenua il potere grafico.
Possiamo lasciare il Foro di Cesare e andare a Torino per parlare della tua Fontana [Fontana Igloo, 2002, N.d.R.]?
È un lavoro completamente diverso.
Quando è stata realizzata?
Non ricordo più… diciamo alcuni mesi fa. È molto particolare quella fontana perché in realtà è basata sull’architettura di una strada, strada che non ho fatto io ma che è stata realizzata dal Comune di Torino su disegni di architetti di oggi [Vittorio Gregotti e Augusto Cagnardi, N.d.R.] e con un’illuminazione particolarmente scenografica realizzata da un architetto lombardo. Quindi non è un posto, non è una situazione a cui ho preso parte; io mi sono trovato in spazi architettonici particolarmente pesanti, che sono quelli di un’arteria di scorrimento e ho dovuto pensare molto a cosa fare, perché sembrava quasi impossibile. Però a un certo punto, sovrapponendo idea a idee, mi sono fatto formulare un disegno particolarmente efficace per quella posizione.
Anche tutta la parte idraulica è stata realizzata non da me ma da architetti del Comune. La presenza dell’acqua è una presenza che ho trovato in loco e me ne sono appropriato. È un fatto di collaborazione e io trovo che la collaborazione sia uno dei fattori di oggi preminenti nelle possibilità umane, perché senza collaborazione… solo il Romanticismo cercava di abolire la collaborazione e bastava un segno per essere presente nel mondo, ma oggi si sente che la collaborazione è una delle possibilità umane più necessarie.
È un luogo molto difficile. Per le dimensioni della strada, della vasca e soprattutto per il flusso di macchine…
La dimensione è stata voluta dagli architetti che hanno eseguito l’opera. Io avevo a disposizione diciamo pure una piscina; la piscina in se stessa richiamava una forma che fosse presente nella vasca, che era preesistente… È interessante che ci sia un’opera eseguita spazialmente su un’arteria di scorrimento di una città povera in fondo di monumenti come è Torino.
La cosa buona in questo contesto è il fatto che io ho trovato lo spazio per me adatto nella vasca invece di cercarlo su un marciapiede. È una vasca spazialmente molto potente; ha un certo fascino in se stessa perché è potente, non è misera, per cui ci voleva un’opera che usufruisse di questa potenza spaziale che è la quantità d’acqua che qu33esta vasca produce. L’esperienza che è offerta da questa vasca d’acqua ha un suo perché anche dovuto al fatto che non è tanto una vasca decorativa, ma un’indicazione di scorrimento, perché l’arteria in cui la vasca è immessa è una delle più imponenti di Torino.
…e la tua opera regge, anzi direi si impone, nonostante l’enorme flusso di macchine in entrambe le direzioni. Si impone per l’equilibrio delle proporzioni, il movimento creato dai getti dell’acqua, la forza dei materiali…
Quella è la necessità che è stata imposta dalla situazione stessa a cui io ho dovuto far fronte. L’opera funziona perché è presente a qualsiasi persona sia nei paraggi; non è un posto di contemplazione astratta, è un corso di scorrimento, un posto dove tutti qu33elli che passano di solito passano in automobile.
Mi piacerebbe mi parlassi del rapporto con i materiali, quelli più ricorrenti nei tuoi lavori.
Non possiamo parlare di niente, perché in realtà io cerco di trovare sempre sul luogo quello che è meglio sul luogo stesso e dimenticare il materiale che posso aver usato in altri momenti. Se posso usare un materiale nuovo, per me è interessante; a Roma c’erano dei reperti archeologici più un prato potente perché selvaticamente potente, e stranamente è potente perché – per ragioni sue archeologiche – il prato è umido, per cui il prato tiene invece di diventare giallo secco. Questo è un materiale che io ho trovato.
Quindi il prato dove si trova la spirale e la vasca d’acqua che hai trovato a Torino sono materiali preesistenti che hai utilizzato per le tue opere?
Sì. In altri momenti può essere l’asfalto, in altri momenti può essere il muro… Più che altro sono valori architettonici che io trovo. Sai, bisogna sfatare l’idea – in realtà troppo romantica – che una scultura sia solo un pezzo di bronzo: ci sono altri modi per fare scultura.
A proposito di muri: vuoi parlarmi della serie di Fibonacci sulla Mole Antonelliana? Perché hai scelto la Mole?
Perché i numeri di Fibonacci sono numeri che possono avvicendarsi verticalmente su uno spazio verticale, e non c’è niente di meglio della Mole Antonelliana come spazio verticale, anche perché è uno spazio in sé molto espressivo. Non è un muro qualsiasi..
È anche il logos di Torino…
Quello mi interessa meno. Il fatto è che non è un muro solo verticale, ma un muro espressivo.
Laura Tansini
Estratto da un articolo pubblicato su “ArteIn” numero 89 (febbraio-marzo 2004)
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