Feste 2014/2015 a Istanbul. Una moschea e due musei da non perdere
Perdersi per le strade della capitale turca tra bazar e moschee: a Istanbul non esistono piani fissi e solo con queste premesse ci si può assicurare la scoperta di luoghi nuovi. Uno di questi, il museo di arte contemporanea inaugurato nel 2004, Istanbul Modern.
Un çay, un tè nero in un caffè in un vicolo di Istiklal Caddesi. Attraversare il ponte di Galata, intercettando il panorama sul Bosforo e i minareti intramezzato da teste di pescatori e lunghe canne da pesca. Ciondolare per uno dei tanti bazar con voci di venditori in sottofondo che cercano l’attenzione di tutti e di nessuno. A Istanbul vale la pena dimenticare il proprio kit da turista nella stanza d’albergo, lasciar perdere l’ultima edizione della Lonely Planet e, possibilmente, allentare il cavo LAN tra noi e il resto del mondo. A Istanbul vale la pena perdersi.
C’è una moschea, nel quartiere di Tahtakale, alle spalle di Eminönü, che non tutti conoscono. Nella fitta vegetazione delle baracche del bazar, sacchi carichi di spezie, sali, tè e pomodori secchi, c’è anche chi, in realtà, vende merce cinese e chi, invece, manufatti in legno. C’è chi acquista e chi fiuta il tragitto verso trattorie in cui mangiare una pida, la pizza turca, o dolci di miele e pistacchio come i künefe. Tutte le strade portano alla Rüstem Paşa Camii. Opera dell’architetto imperiale ottomano Mimar Sinan (1489/90-1588), la moschea, che si erge al di sopra del mercato, è senz’altro una delle meno imponenti per dimensioni a Istanbul. Un piccolo scrigno, il cui interno, rivestito delle maioliche di Iznik del XVI secolo, sorprende per la varietà di motivi ornamentali. Tulipani in stile arabesco i cui profili conterrebbero appena La Grande Odalisca di Ingres. Il rosso che riempie il contorno blu dei fiori è insolito per le moschee di Istanbul.
Sulla punta del Corno d’oro, a Sultanahmet, c’è il complesso dei musei archeologici. L’edificio neoclassico di Alexandre Vallaury (1850-1921) degli inizi del Novecento è costeggiato da possenti sarcofagi lici in pietra che fanno strada verso l’ingresso del museo. In un allestimento chiaramente Anni Cinquanta, con pannelli didattici ingialliti per via del tempo, i contenuti non deludono: dai rinvenimenti degli scavi compiuti a Troia da Heinrich Schliemann fino al frammento dello spigolo dell’architrave e del piede di uno dei Tetrarchi in porfido incastonati nella facciata di San Marco a Venezia.
Il museo di arte contemporanea Istanbul Modern, a Tophane, è una vera sorpresa. Un museo il cui nominativo riconduce la mente all’icona del museo d’arte contemporanea europeo, la Tate Modern londinese. Similmente gli interni a pianta labirintica e con tramezzi bianchi ricordano il Centre Pompidou parigino. La collezione però rifiuta l’assimilazione al modello occidentale. In mostra in Past and Future sono opere selezionate dalla collezione permanente che, in un itinerario cronologico, raccontano la storia dell’arte turca a partire dagli inizi del Novecento.
La cosiddetta “Generazione 1914”, un gruppo di artisti inviato dal governo a Parigi allo scopo di rinnovare la scena artistica turca. A questo gruppo appartengono artisti come Halil Paşa (1852-1939) con i suoi studi di nudi femminili a matita su carta, uno degli esempi di raffigurazione della donna secondo la maniera occidentale. Negli Anni Sessanta l’arte turca rifiuta l’astrazione e tende verso un nuovo realismo, come nel caso dell’opera di Nuri İyem (1915-2005), le Paesane (1939) che vagamente ricordano il realismo americano di Grant Wood in American Gothic (1939). La Porta di Burhan Uygur (1940-1992) popolata da figure derivate da una mitologia propria e che idealmente richiamano alla mente la Porta dell’inferno di Rodin, sebbene ovviamente qui manchi il riferimento alla fonte dantesca. Bedri Baykam (1957) raffigura bagnanti sotto un cielo di specchi in Inges, Gerome, This is my Bath (1987). Interessante Selma Gürbüz (1969) che in Purgatory (2010) fonde motivi propri dell’arte islamica insieme alla figuratività occidentale: figure nere di uomini sospese in un purgatorio fatto di fronde di salici che ricordano arabeschi su uno sfondo ocra. Erdağ Aksel (1953) ripropone infine la modalità del ready made in Suzan II (1999-2000): una chioma di metri pieghevoli in legno su un treppiedi da carpentiere è una metafora della pratica scultorea, evocata attraverso i suoi strumenti da lavoro.
La morale della favola? Fa piacere scoprire che un museo d’arte contemporanea situato alle soglie del mondo arabo rifiuti di dare per scontato il modello occidentale. In tempi come questi, in cui grandi notizie sui progetti per Guggenheim, dipartimenti del Louvre e sedi della New York University abbondano dagli Emirati Arabi, rassicura scoprire che non tutto il Medio Oriente desideri, dopo tutto, apparire come un’Isola di Saadiyat.
Sbarcati da questo ed altrettanti musei e mete turistiche, a Istanbul, come già detto, vale la pena perdersi. Concedersi due chiacchiere e un tè nel mercato egizio delle spezie ascoltando la storia di uno dei commercianti che da anni fa la spola tra Turchia e Germania. Passeggiare per il mercato del pesce a Karaköy, tra una folla di acquirenti e pescivendoli che urlano al vento mentre i gabbiani – che parlano la loro stessa lingua – gli rispondono. Un piatto di alici fritte e un balik ekmek, il panino con sgombro, saranno probabilmente uno dei momenti più alti della vostra vacanza.
Margherita Foresti
ARKEOLOJI MÜZELERI
Alemdar Cad. Osman Hamdi Bey Yokuşu Sk, 34122,
Sultanahmet / Fatih
https://muze.gen.tr/muze-detay/arkeoloji
ISTANBUL MODERN
Meclis-i Mebusan Cad. Liman İşletmeleri Sahası Antrepo 4, 34433
Karaköy
www.istanbulmodern.org
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