Gli Animali senza favola di Simona Bertozzi
Debutta a Bologna la nuova creazione della coreografa e danzatrice Simona Bertozzi. “Animali senza favola” è il titolo dello spettacolo in programma all’Arena del Sole: un quintetto-branco tutto al femminile, figure aurorali mosse alla ricerca di uno stato originario di pulsione alla vita. Ne abbiamo parlato con l’ideatrice.
Punto di partenza di Animali senza favola è la riflessione che Maria Zambrano consegna a Chiari del bosco…
La suggestione che ho assunto dall’opera di Maria Zambrano è il suo porsi in ascolto di una percezione dell’essere che “emerge nell’immediatezza”, che non estingue il proprio stato creaturale, che “va incontro alla luce con il suo respiro” e, come l’animale, sta nel mondo in una condizione di vigilanza e sospensione. E anche ammirazione! Proprio questa riflessione sull’animalità, che per sua sostanza originaria sfugge al perimetro della narrazione, della favola appunto, ed è scollata da una percezione spazio-temporale oggettivante, mi ha suggerito un’ulteriore possibilità di indagine coreografica delle dinamiche relazionali e l’autogenerazione di una grammatica del gesto. Indagine già aperta negli ultimi lavori, tra cui Orphans, Oratori_ae e Guardare ad altezza d’erba, quest’ultimo realizzato per la Biennale Danza con un sestetto di giovanissimi danzatori tra i dieci e i dodici anni.
In Animali senza Favola sono coinvolte cinque presenze femminili di tre diverse generazioni.
Sì, si tratta di un quintetto-branco di figure/apparizioni che, dalla porosità del tratto iniziale, prendono spessore e si accendono nella ritualità del gesto o nel suo farsi complessità, abbondanza, discontinuità. Fiammate di chiarezza anatomica e di continue aperture al reale. Sono figure che sfuggono incessantemente alla chiusura del segno, che rinegoziano e rinnovano la necessità di incontro e di scambio. Femminilità scalpitanti tra assimilazione e trasformazione. Pervaso da questa pulsazione, il branco balbetta, sfibrato dall’irruenza e dallo strappo delle singolarità.
Ci sono riferimenti iconografici?
Ho raccolto moltissime immagini da riviste, reportage, quotidiani, opere di noti fotografi tra cui Giacomelli e Cartier-Bresson, immagini in cui sono presenti spaccati di variegata e intensa umanità. Mi hanno interessato in particolare figure femminili di diverse età e generazioni ritratte nella pienezza dialogica del loro interagire con la quotidianità. Posture, tensioni nel gesto che rimandano a un’universalità dell’azione corporea. Delle trame anatomiche la cui “narrazione” è oramai un’appendice del paesaggio che le accoglie. Corpi-paesaggio.
Questo è un progetto performativo corale ideato assieme a Marcello Briguglio, collaborazione consolidata già alcuni anni. Come nasce e si sviluppa una creazione a quattro mani?
Si concentra nella stesura del tracciato concettuale, tematico che fonda i miei progetti coreografici. Anche per Animali senza favola la condivisione ha preso vita da uno scambio di visioni conseguenti alla lettura della Zambrano e di immagini raccolte. Marcello non viene dalla danza, ma da studi di comunicazione, semiotica e arti visive, con una passione per il cinema. La sua visione interviene ad ampliare, arricchire, rinnovare la possibilità di produrre immagini attraverso la scrittura coreografica, necessità ricorrente nella mia modalità creativa.
In cosa consiste la collaborazione teorica con lo studioso Enrico Pitozzi?
Collaboro con Enrico Pitozzi dal 2013. Insieme abbiamo realizzato il progetto Pneuma e il progetto Magnetica, mettendo in sinergia la mia visione scenico-compositiva e le sue prospettive teorico-didattiche sulle arti performative, in particolare l’interazione tra corpo e pensiero nella composizione del movimento. Gli studi di Pitozzi sulla nozione di “presenza” e “percezione”, unitamente alla sua concezione dello spazio, sono entrati in dialogo con il materiale coreografico prodotto permettendomi di rileggere con ulteriore consapevolezza la visione generale dell’intero tracciato e ritrovare, in questo modo, una distanza che inevitabilmente si va perdendo nel corso della creazione.
Cosa rappresenta Animali senza favola nella sua ricerca coreografica?
Nel corso del 2014 ho portato al debutto cinque diversi lavori, tutti con interpreti di età ed esperienza performativa molto diversa. La particolarità di Animali senza favola, rispetto ad altri lavori con più interpreti sta nella maggiore rilevanza data alle singolarità. In Oratori_ae, le regole della coralità nel tracciato coreografico, inglobano e assimilano le singole presenze. Mentre in Guardare ad altezza d’erba, le regole del gioco popolare danno vita a un alfabeto relazionale lontano dalla presenza degli adulti. In Animali, “l’esuberanza” del segno spazio-temporale attribuito alle singole figure, tende a mettere in discussione la regola dialogica del gruppo e ad alterare, deformare, le forme della coralità.
Come ha lavorato con le cinque interpreti e perché ha scelto un gruppo femminile?
La declinazione al femminile è una suggestione che ho assorbito nella lettura dei Chiari del Bosco. La Zambrano non affronta esplicitamente un percorso sulla femminilità ma i suoi riferimenti alla “aurora”, alla pulsione del respiro, a un risveglio che sia sempre “rinascita”, la percezione di un’assimilazione e trasformazione di una “ragione vitale sospesa nell’illimitatezza”, non hanno lasciato spazio, nel mio immaginario, ad altre presenze che non fossero femminili.
Nel quintetto di Animali s’incrociano visioni e accordi dinamici di fisicità che attraversano varie età del corpo, dai venti ai quarant’anni. Ho lavorato lasciando che gesti, volti, staticità, dilatazioni e increspature dinamiche facessero scaturire dalle rispettive anatomie il peso specifico delle singole testimonianze. Per la produzione dei materiali ho lavorato su due binari paralleli: da una parte ho elaborato una gestualità che fluisse dall’osservazione di immagini e parole chiave tratte da Chiari del Bosco, dall’altra ho introdotto materiali già organizzati da metabolizzare secondo regole specifiche che conducessero al dialogo corale.
Indagare le dinamiche relazionali è una costante nella sua ricerca, una cifra di linguaggio…
Non mi è possibile pensare al movimento se non come al prodotto di un dialogo: una opposizione di vettori nel costrutto anatomico, una sospensione di piani spaziali opposti, un moto di introiezione e proiezione… Il grafico della singola presenza che si muove nello spazio così come quello più complesso di tanti corpi, mi appare sin dall’inizio come una ragnatela di rimandi, scie, un’epidermide che si tende per sfondamento dei perimetri e delle singole anatomie. Sono corpi come tessuti connettivi di una molteplicità di traiettorie che pre-esistono e mettono continuamente in discussione la “volontà” di prevedere una forma finale. La grammatica del gesto è per me continuo passaggio di informazioni, come la materia che transita incessantemente da un elemento a un altro. Come i magnetismi planetari.
Giuseppe Distefano
www.simonabertozzi.it
www.arenadelsole.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati