La galleria Monitor sbarca a New York. Intervista a Paola Capata

Progetti italiani all’estero. Abbiamo intervistato Paola Capata, fondatrice della galleria Monitor a Roma, per parlare del nuovo progetto newyorchese e del panorama artistico contemporaneo. Ecco cosa ci ha raccontato.

Ha aperto a settembre lo spazio newyorchese della galleria romana Monitor, al quinto piano in uno dei tipici edifici del Lower East Side. Qui Paola Capata ci dà il benvenuto nel suo studio dove, tra artisti storicizzati e nomi emergenti, ci racconta la sua esperienza di gallerista di ricerca e la sua evoluzione tra Roma e New York.

Ritieni che New York possa essere ancora considerata la capitale dell’arte contemporanea?
New York è ancora una capitale dell’arte ed è una delle realtà in cui mi identifico di più.

Per questo hai deciso di aprire qui Monitor Studio?
Sono interessata e affascinata dalla possibilità di incontrare i moltissimi artisti che ci sono qui. È probabilmente la città che vanta più artisti al mondo. Per un gallerista questo è un tesoro; qui c’è ancora la possibilità di realizzare molto, e avere uno spazio significa poter portare avanti la propria ricerca in un ambiente dinamico e stimolante.

Come vedi questa città paragonata a nuove metropoli emergenti come San Paolo o Hong Kong?
Città come San Paolo e Hong Kong sono oramai entrate a pieno diritto nei luoghi dell’arte e hanno acquisito una grande rilevanza. Non andrei a Hong Kong o a San Paolo però perché nonostante siano città molto interessanti, hanno ancora un approccio verso l’arte contemporanea diverso.

Rispetto alla realtà italiana, che differenze noti a New York nello sviluppo del mercato ?
Il mercato qui è più veloce, e le gallerie per crescere e andare avanti devono essere in grado di sostenere un mercato importante. Questo influenza l’approccio verso gli artisti e le opere.

Monitor Gallery

Monitor Gallery

E Monitor come si colloca a questa situazione?
Nel caso di Monitor, il processo di ricerca e scoperta è una delle caratteristiche e dei core value della galleria. Mi piace individuare il potenziale di un artista e portarlo avanti; per me il successo più grande è veder crescere il lavoro fino al punto in cui diventa riconoscibile.

Una delle mission della galleria è anche promuovere artisti italiani qui negli Stati Uniti?
È importante approfondire il lavoro con gli artisti italiani, che non hanno altro sostegno oltre a quello delle gallerie che li rappresentano. Thomas Braida, italiano in mostra ora, è il primo artista ad avere una personale a Monitor Studio.

Trovi che la pittura stia sperimentando una nuova ascesa?
È indubbio che in tempi di crisi si punti alla forma d’arte più stabile e riconoscibile. La pittura ha una storia e un’evoluzione di secoli rispetto al video o all’installazione “multimediale”. In momenti storici d’incertezza sociale o economica, ci si rivolge a media più tradizionali, poichè anche nella più innovativa delle loro forme c’è sempre un riferimento storico. In passato ho lasciato un po’ da parte la pittura perché credo che il lavoro su di essa sia qualcosa di molto complesso, quasi pericoloso, essendo un ambito straordinariamente vasto.

Quindi come hai deciso di approcciarti alla pittura?
La mia scelta consiste nel portare avanti artisti giovani o mid career che lavorano con il figurativo. Nel caso dell’astrattismo si deve trattare di artisti storici. Un artista che ha alle spalle cinquant’anni di ricerca, avrà sempre una diversa consistenza, consapevolezza e costanza nella produzione artistica, che sono ottime basi su cui lavorare. Altrimenti preferisco rivolgere l’attenzione su artisti figurativi, con una grande padronanza di tecnica, e con un potere immaginifico forte, intenso.

Monitor Studio nasce come project space?
Si, io lo chiamo studio. Non solo per una questione di dimensioni, ma perché credo sia un progetto preciso. Questo per me è uno studio perché è un luogo dove transitano diverse sinergie fra Roma e New York.

Thomas Braida, Monitor Gallery

Thomas Braida

Per questo hai deciso di aprire nel Lower East Side?
Il Lower East side è un quartiere che è esploso negli ultimi anni come centro di gallerie emergenti e d’avanguardia a Manhattan. È un quartiere in cui ci si sente circondati da una forte energia creativa. Chelsea e il Lower East Side sono i due poli artistici di Manhattan, staccati ma omogenei.

E cosa ne pensi invece del fenomeno Brooklyn?
Brooklyn è un quartiere interessante, ma ha ancora bisogno di tempo. Come area è immensa, e prima che si venga a creare una comunità artistica consistente e concentrata passerà qualche anno, ma è sicuramente un luogo da tenere in considerazione. Molte gallerie importanti ci si sono già trasferite. New York è una città in cui le cose avvengono a grappolo. Gallerie e artisti sono sempre i primi a spostarsi ed esplorare nuove zone, è un processo interessante perché dimostra il potere magnetico e accentratore che la comunità artistica ha su una città.

Tornando a parlare di Roma, come percepisci la situazione artistica contemporanea?
Roma ha avuto dei miglioramenti indiscutibili rispetto a quando Monitor ha aperto. Sicuramente la crisi ha influito, ma c’è un mercato. C’è da dire che l’italiano cerca sempre di fare qualcosa in più, ed è questa la nostra grande forza: se decidiamo di fare qualcosa in molti casi ci riusciamo. Purtroppo non ci sono abbastanza investimenti nella cultura. Inoltre una differenza è che ad esempio qui le decisioni sono più nette, non esiste il “forse”. E probabilmente il “forse” è un problema che attanaglia il nostro Paese. Stiamo migliorando sensibilmente, ma dobbiamo farlo cento volte di più.

Monitor è una galleria attiva anche nell’ambito delle fiere; siete ad Artissima, all’Armory Show, a Liste, a FIAC. Come selezioni le fiere?
Noi facciamo fiere che siano coerenti con lo stile della galleria, situazioni in cui il nostro programma possa essere giustamente collocato e valorizzato; il contenuto e lo spessore culturale di una fiera sono variabili importanti. Artissima credo sia la più importante fiera del contemporaneo in Italia anche perché può contare sul supporto delle istituzioni. Si partecipa alle fiere per testare nuovi mercati, sviluppare contatti e ottenere visibilità internazionale.

Paola Capata - Monitor

Paola Capata – Monitor

Come vedi l’ambiente della fiera rispetto allo spazio della galleria?
Le fiere sono occasioni da cui cogliere il massimo. Il rischio è che facendo troppe fiere si perda di vista lo spazio della galleria, e personalmente sono ancora legata all’idea romantica di uno spazio fisico e reale in cui incontrare persone, creare relazioni e condividere un concetto. Credo che la galleria debba andare avanti sfruttando tutti gli strumenti che ha a disposizione ma conservando un approccio originale e tradizionale. Il nostro pubblico e i nostri collezionisti vengono da Monitor perché sanno che dietro c’è una forte attenzione prima di tutto al prodotto artistico.

Monitor. Hai voluto mantenere il nome di quando ti occupavi essenzialmente di videoarte…
Appena laureata avevo aperto uno spazio. Era talmente piccolo che la prima cosa che mi è venuta in mente è stata che potevano starci dei video, come in un box. Nasce così, legato all’idea del video e al monitorare una situazione, con l’idea di sperimentare cosa possa esserci d’interessante nella scena video contemporanea. Quando ho aperto la galleria ho voluto mantenerne il nome. In un certo senso mi piace che non ci sia il mio nome, spesso la gente non sa neanche che sono io la gallerista. In questo modo la galleria diventa una realtà a se stante, con una propria identità.

Ludovica Capobianco


New York // fino al 30 dicembre 2014
Thomas Braida
MONITOR STUDIO
195 Chrystie Street (suite 502B)
[email protected]
www.monitoronline.org 

Roma // fino al 17 gennaio 2015
Nico Vascellari – Codalunga
MONITOR
Via Sforza Cesarini 43a-44
06 39378024
[email protected]
www.monitoronline.org 

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/39547/nico-vascellari-codalunga

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati