La settimana scorsa a Baden Baden. Reportage dalla cittadina tedesca
Chi legge avrà forse presente un vecchio film di Alain Resnais, “L’anno scorso a Marienbad”, retto da una narrazione ritenuta – a seconda dei giudizi – criptica o sconclusionata, in ogni caso agevolato nel suo successo dalla relativa innocenza di cui, al tempo, ancora parevano disporre le registrazioni visive. Chi scrive, dal canto suo, ha trascorso qualche giorno in un luogo assai simile e assonante a quello che offrì il nome alla pellicola, Baden Baden, traendone una serie d’impressioni varie, tra cui quelle che seguono: di nuovo, si lascia ad altri l’occupazione di distinguere più nettamente l’incongruo dall’enigmatico.
La vaghezza dello sguardo a Baden Baden è propria delle località termali: la si porta con sé anche dopo aver lasciato i vapori vagamente illuminati dei bagni, mentre corpo e spirito si riassestano a recepire le immagini nette presenti all’aria aperta. Poi, mentre la vista torna lentamente a fuoco, si può pure rilevare l’affinità sottile di simile esperienza con una via singolare dell’arte contemporanea, volta a costruire luci più o meno intense nella foschia, foriere di un sentimento d’attutito spaesamento, dove un senso sembra aggirarvisi senza che lo si possa mai completamente apprendere, ma presagire almeno sì (e il pensiero qui corre almeno al noto Weather Project di Olafur Eliasson o alle più appartate Indre Rom, le stanze interne del norvegese Per Bjørlo). Raccolti tra i calori soffusi e le arie dense d’acqua delle saune, capita in effetti di sperimentare baluginanti illuminazioni: può trattarsi di pensieri ritrovatisi improvvisi dalle parti dell’arte, oppure, alzando gli occhi dall’asciugamano, dell’indicazione delle uscite di sicurezza che gli istituti idroterapici dispongono lungo i percorsi di un benessere sempre più turistico.
A Baden Baden, va riconosciuto, gli amministratori locali sono stati più che mai attenti a combinare le suggestioni dei bagni a quelle dell’arte, con risultati che verrebbe da segnalare come modello alla nostrana Federterme nella speranza del riavvio un patrimonio di storia ricchissimo quanto facilmente a disposizione del presente, così contribuendo in misura pur minima, a partire dalle terme, a una ritrovata salute (anche culturale) del Paese. Se, infatti, nelle varie località termali italiane all’evocazione delle schiere di grandi artisti giunti da tutto il mondo a curarsi viene di solito assegnato meno valore dei fanghi usati per gli impacchi, nel caso della città tedesca le esperienze dei visitatori sono continuamente indotte da un’accorta regia amministrativa – a colpi di targhe, monumenti e dépliant – a combinarsi con la memoria collettiva degli artisti che qui passavano regolarmente le acque, dal Dostoevskji che trasfigurò Baden Baden nell’allucinata Roulottenburg de Il giocatore ai vari Gogol, Boulez, Turgenev, Brahms.
Tanti russi, curiosamente. Russi, del resto, risultano essere oggi la maggior parte dei facoltosi turisti che, quando non si distinguono all’interno dei bagni turchi per il loro stare a mollo con pesanti Rolex d’oro massiccio al polso, passeggiano lungo le luci commerciali del centro cittadino – dove, a sporgere lo sguardo, un comune appartenente al blocco Nato rimane piuttosto sorpreso quanto a merce esposta e relativi prezzi.
Più ancora degli accappatoi di Versace e le pianelle da bagno di Hermés, ad ogni modo, colpisce nelle vetrine la quantità di opere d’arte, anche di altissimo livello, disposte con un’attitudine da rigattiere più che da galleria. Capita così d’intravedere straordinari olii su tela di Max Pechstein o Victor Brauner, grandi disegni a sanguigna di Edgar Degas, acquerelli d’annata di Otto Dix, pregevoli composizioni Op Art di Victor Vasarely (per non parlare delle risme di litografie di nomi più commerciali, Marc Chagall e Joan Miró in testa, disponibili all’interno dei negozi), spesso disposti con apparente noncuranza tra schiere di orologi, gioielli, montagne di costose chincaglierie. La sensazione, insomma, è quella di un centro commerciale all’aperto per facoltosi pensionati o nuovi arricchiti, i quali in qualche modo il loro tempo e denaro tra un bagno e l’altro devono pur impegnarlo. Non che in ciò vi sia necessariamente qualcosa di negativo, ma ecco, assistere a un tale inatteso mercato fa riflettere con più immediatezza del solito su quanto per l’appunto al mercato resti delle spoglie apprensibili dell’arte, quando l’avventura della creazione sia terminata e dietro l’artista residuino le spoglie materiali del proprio tempo (con un costosissimo tourbillon di Patek Philippe a fare magari da cronometro proprio accanto in vetrina).
Il tempo e la fisicità umana, con la vaga sinteticità che rincorre queste righe estemporanee, si ritrovano al centro di una notevole mostra ospitata dal locale museo d’arte contemporanea, Experiment for Seven Body Parts: protagonisti sono i lavori di Eva Kot’átková, artista ceca (Praga, 1982) che da anni si dedica a una personale esplorazione dell’educazione e della cura del corpo. A cavallo tra la serialità foto-ricostruttiva di Eadweard Muybridge e la visionarietà meccanico-patafisica di Panamarenko, la Kot’átková ha allestito qui un’ampia collezione d’immagini e macchine legate al movimento fisico, indugiando sui meccanismi culturali-posturali condizionanti il corpo con uno sguardo che tiene insieme analisi sociale e svago inventivo. Difficile in effetti trovare un luogo più adatto di Baden Baden per riflettere, anche giocosamente, su una simile prospettiva: la mostra, di fatto, se ne sta a pochi passi sia dalle terme antiche che dal sontuoso casino.
L’impressione di sconcertante e insieme accogliente accumulazione, ricavata prima dalle gallerie fané del centro cittadino e poi dalla mostra principale della Staatliche Kunsthalle, si amplifica definitivamente nello spazio dedicato dal museo ai nuovi artisti e denominato 45cbm. Al momento della nostra visita vi si trovava un’esposizione di Laura Lesser (Leimen, 1984) dal titolo The Savage Hits Back, terminata a fine novembre.
Nel raccoglimento di un ambiente d’ombre, un tappeto intrecciato di simboli a fare da guida junghiana come una sorta di libro rosso calpestabile, la giovane artista tedesca ha organizzato una sorprendente Wunderkammer composta di lavori propri che risuonano di suggestioni altrui, dall’intaglio in legno della Totentanz di Hans Holbein alla grande copia su carta del fregio berlinese di Peter Cornelius, circondati da una congerie di oggetti e bozzetti all’apparenza selvaggia. Ancora una volta, come nella penombra surriscaldata delle terme, vista e comprensione si perdono qui dietro il gioco mutevole delle forme e delle cose, i pensieri a indugiare su quanto un principio di ordine – meglio, quale principio d’ordine – sia effettivamente confacente a un’esperienza estetica che affacci su cognizioni più ampiamente spirituali: di nuovo, poi, soccorre l’aria fredda dell’esterno per cambiare stato a idee e percezioni, proseguendo oltre lungo una via d’inverno.
Luca Arnaudo
Baden Baden // fino al 1° marzo 2015
Eva Kot’átková – Experiment for Seven Body Parts
STAATLICHE KUNSTHALLE
Lichtentaler Allee 8a
+49 (0)7221 30076400
[email protected]
www.kunsthalle-baden-baden.de
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