Made in Rwanda. Un reportage africano
A vent'anni dal genocidio, il Ruanda è uno dei Paesi africani in maggior ascesa. Nella capitale Kigali sono nate gallerie e centri artistici, la scena fashion è in grande fermento e l’industria del cinema fa passi da gigante. Una fucina di giovani talenti con approccio “local” ma proiezione decisamente internazionale.
“La moda è tutta la mia vita”, dichiara da subito la fashion designer Joselyne Umutoniwase durante una chiacchierata nel suo atelier a Nyarugenge, vivace quartiere della capitale Kigali,“e la vita è la prima fonte di ispirazione per le mie creazioni”. Siamo in rue de la Justice, accanto allo Sky Hotel, ed è qui che Joselyne ha aperto l’atelier Rwanda Clothing assieme al marito tedesco Roman. Un paio di manichini in vetrina indossano le sue creazioni, fatte coi coloratissimi e inconfondibili tessuti africani wax, ma dal taglio di ispirazione europea. Dentro ci sono le sue clienti, giovani donne sedute a sfogliare il catalogo della prossima stagione e a prenotarsi le novità. Ancora oltre, sul retro, sarti e tagliatori a lavorare frenetici sui modelli.
Per arrivare fin qui abbiamo attraversato la città dalle mille colline, un saliscendi fatto di strade pulite ben asfaltate, di quartieri residenziali, caffè dall’architettura moderna, piazze circondate da cartelloni che pubblicizzano il nuovo volo diretto Kigali-Montréal. Il traffico è quello tipico delle metropoli africane, con i mototaxi che svicolano ovunque, la musica afro hip-hop diffusa dai minibus e dai baracchini delle ricariche telefoniche ai bordi della strada. A fare da sfondo, tutt’intorno, campi coltivati e un’umanità in cammino, uomini, donne e bambini di tutte le età.
Eppure il Ruanda non è un Paese africano qualsiasi. Vent’anni fa è stato il palcoscenico di uno dei più efferati genocidi della storia, che in cento giorni ha contato circa 800mila morti, per lo più Tutsi. Oggi, a vent’anni di distanza, è una delle nazioni più promettenti del continente, con un PIL che cresce a ritmi dell’8% all’anno. Grazie anche a intensi investimenti pubblici, il Ruanda sta lavorando sodo per tener fede al programma Vision 2020, lanciato nel 2000 dal presidente Paul Kagame, con l’obiettivo di trasformarsi in una nazione a reddito medio, abbassando la povertà e tenendo il Paese più unito.
La capitale Kigali è anch’essa oggetto di uno dei più ambiziosi progetti di pianificazione urbana del continente, il Kigali Master Plan 2040, che ha vinto premi a livello internazionale e potrebbe trasformare il Ruanda nello Stato leader del continente per urbanistica sostenibile, anche grazie all’avvio di un programma nazionale per lo sviluppo delle zone verdi, attraverso città satelliti che andranno a collegarsi alla capitale. Oggi la città dalle colline lussureggianti ha una popolazione di circa un milione e mezzo di abitanti, destinata a triplicarsi da qui al 2040, ed è diventata uno degli epicentri della creatività africana, sostrato in cui moda, arte contemporanea e design stanno sfornando alcuni dei talenti e delle realtà emergenti più interessanti della scena continentale.
La stilista dietro Rwanda Clothing fa parte della schiera di giovani creativi che compongono la scena artistica della città, dove negli ultimi anni sono nati atelier di moda, negozi dalle architetture contemporanee, gallerie d’arte e centri culturali indipendenti; una scena artistica che sta diventando volano promozionale del Paese, che per la sua sicurezza e pulizia è considerata la Svizzera dell’Africa.
La maggior parte degli artisti è autodidatta. Alcuni sono ancora legati al loro passato tragico, da cui traggono ispirazione, altri invece guardano con grande ottimismo al futuro. “La moda così come l’arte aiutano il Paese a farsi conoscere nel mondo”, dice entusiasta Joselyne.“Se compri un mio abito e a qualcuno piace, dirai che è made in Rwanda, e così il nome del Paese circolerà a livello internazionale”. Joselyne, classe 1987, ha iniziato il suo percorso nel cinema. Notata dal regista Volker Schlöndorff, nel 2010 vince una borsa di studio per partecipare in Germania a un programma di formazione per giovani filmmaker. Ma con sé porta anche una valigia piena di abiti da lei creati, e nel giro di tre mesi li vende tutti ad amici e conoscenti. Sulla scia dell’entusiasmo, nel 2011 fonda Rwanda Clothing e diventa la prima donna fashion designer professionista in Ruanda. “Vorrei che il mio brand di moda rappresentasse un giorno la cultura del Paese”, dice Joselyne, “e vorrei contribuire a un cambiamento culturale: aiutare lo sviluppo di una vera e propria scena della moda e dell’industria, che qui è ancora agli inizi”.
Joselyne era una bambina ai tempi del genocidio e i suoi ricordi sono feroci, ma oggi guarda con ottimismo al futuro. L’abbiamo incontrata per la prima volta alla cerimonia di apertura del Rwanda International Film Festival, nel luglio scorso, sulla terrazza al terzo piano della City Tower, dove ha sede anche il Century Cinema che proietta blockbuster in 5d. Il festival ha celebrato quest’anno il prioprio decennale, un percorso che lo ha visto crescere e diventare uno degli appuntamenti principali dedicati al cinema in Africa, con un’interessante selezione di titoli internazionali, e soprattutto vetrina dell’industria del cinema locale, ormai ribattezzata Hillywood per i passi da gigante compiuti negli ultimi anni.
Al cocktail incontriamo la community creativa e glamour di Kigali, a cui si mescolano gli stranieri che lavorano in città e i diplomatici del mondo delle ambasciate, invitati dal personaggio più famoso del cinema ruandese, Eric Kabera, presidente del festival, giornalista e attivista, diventato celebre per il film 100 days, in cui racconta meticolosamente gli eventi del genocidio nella sua fase finale. “La storia dell’industria cinematografica in Ruanda è un po’ come la storia del nostro Paese”,dice Kabera. “Non ci sono risorse, non ci sono esperti del settore, ma c’è la grande volontà di farcela. Dopo un passato dove ci siamo uccisi a vicenda, oggi ognuno di noi, e soprattutto chi fa cultura, gioca un ruolo importante in questa fase di ricostruzione. Il presidente Kagame ha imposto una disciplina molto severa, che è per tutti noi fonte d’ispirazione”.
L’ambizione di Paul Kagame di guidare in modo integerrimo la crescita del Paese è riconosciuta da tutti, così come la sua lotta a tutto campo contro la corruzione. Tanto che nel 2014 la Banca Mondiale ha insignito il Ruanda del primato di nazione africana dove è più semplice fare business, piazzandosi al 32esimo posto su scala mondiale e molte posizioni davanti all’Italia, che è 65esima. Forse quest’ambizione ha dei lati oscuri, legati alle limitazioni della libertà d’espressione, come talvolta emerge in qualche report della stampa internazionale, ma sicuramente lo stile Kagame sta facendo scuola e segna il passo nello sviluppo del Paese.
Beviamo un caffè assieme a Eric Kabera al Kwetu Film Institute, nel distretto di Gacuriro, che è in prima linea nella formazione di nuovi professionisti dell’industria cinematografica. Al primo piano si trova il vivacissimo Caffè Hillywood, che la sera si trasforma in sala di proiezione aperta al pubblico. Sul retro c’è un cantiere aperto, che nei prossimi mesi diventerà una sala dedicata al cinema indipendente. Un’altra location del festival è The Office, un hub creativo in una zona tranquilla di Kiyovu, all’ultimo piano di un edificio completamente bianco; e poi c’è il Club Rafiki, un centro dedicato ai giovani con uno spazio per lo sport, una biblioteca, una sala computer, un caffè. Qui il festival propone una sezione dedicata ai giovani, con film proiettati su un grande schermo gonfiabile, lo stesso che porterà le proiezioni fuori dalla capitale: prima a Rwamagana, a cinquanta chilometri a est di Kigali, e poi fino a Musanze, in prossimità del Vulcanoes National Park, casa dei gorilla di montagna per i quali il Ruanda è celebre in Occidente.
Oggi però nelle strade imperversano cartelloni pubblicitari con lo slogan “Rwanda Beyond Gorillas” perché, come ci racconta Clare Akamanzi – Ceo dell’RDB – Rwanda Development Board, istituzione governativa che guida lo sviluppo economico del Paese attraverso la crescita del settore privato – “il turismo è già molto importante in Ruanda, con entrate per 300 milioni di dollari, che vorremmo vedere duplicate da qui a cinque anni. Oltre ai gorilla abbiamo i parchi nazionali, i musei, una cultura ricca nell’artigianato, nella musica e nella danza, e stiamo lavorando molto anche nel settore dei congressi. Ma la risorsa chiave del Ruanda è la sua gente: il nostro obiettivo prioritario è formare giovani creativi, che sviluppino capacità e conoscenze in diversi settori, dall’economia alla politica, dalle scienze sociali e alla cultura. Questo è il vero futuro del Ruanda”. Clare Akamanzi è senz’altro uno dei simboli del Paese che cambia. È giovane, ha 33 anni, è donna ed è piena di energia, ha un background da avvocato in diritto commerciale internazionale e crede fortemente nel suo Paese e nella sua leadership. “Il presidente Kagame è il driver principale per lo sviluppo economico, sociale, culturale del Paese, e il suo più grande merito è quello di aver fondato istituzioni solide, che sopravvivranno al suo mandato e continueranno a consolidarsi nel tempo”.
Parlando di istituzioni in campo culturale, prima del genocidio del 1994 non esisteva nulla, tanto meno movimenti artistici: chi si dedicava all’arte lo faceva senza alcuna formazione e solo con la speranza di ricavarci da vivere cercando di vendere qualche lavoro ai pochi turisti di passaggio, esponendo in luoghi come lo storico Hôtel des Mille Collines, rifugio sicuro di molti durante il genocidio e reso famoso dal film Hotel Rwanda. “L’unico museo che esisteva già dal 1989 è il Museo Etnografico, conosciuto come Museo Nazionale del Ruanda”,ci racconta Alphonse Bartson Umuliisa, direttore generale dell’Istituto Nazionale dei Musei. “Oggi abbiamo tanti luoghi importanti: il Museo di Storia Naturale aperto nel 2004, la National Art Gallery di Rwesero a Nyanza nel 2006, il King’s Palace Museum a Kanombe aperto nel 2009 e il Museo dell’Ambiente che dovremmo aprire a breve”. Alphonse Umuliisa è direttore del polo museale dal 2010 e sostiene che il suo lavoro “è una grande sfida, perché i musei sono istituzioni nuove e spesso manca personale formato, così come la consapevolezza da parte dei ruandesi dell’importanza degli istituti d’arte”. E la sfida più grande di Alphonse è quella di portare la gente comune a visitare i musei: “Non vorrei che qui venissero solo i turisti, vorrei vedere la mia gente, i giovani e i bambini”.
L’esplosione delle gallerie e dei centri privati è però il fenomeno del momento. Nel 2007 il giovane artista William Ngendadumwe fonda l’Ivuka Arts Studio, la prima galleria indipendente aperta in città, e da qui prende il via il movimento di artisti e attivisti che ha cominciato a dar voce all’arte contemporanea in Ruanda. “Abbiamo deciso di rendere questo luogo più di un semplice spazio di lavoro o una galleria”, racconta il fondatore. “Così abbiamo aperto le porte ad altre attività in grado di coinvolgere gran parte della comunità; abbiamo creato gruppi di danza e musica, e iniziato a tenere corsi per bambini e adulti. Oggi abbiamo anche una classe di paint therapy pensata per le persone che portano ancora con sé il trauma del genocidio”.
Oggi l’arte è forse una delle lenti più interessanti per leggere la storia complessa del Paese e per esplorare i quartieri della capitale. Le sedi delle gallerie e dei centri culturali, gli store e gli atelier di moda e design sono sparsi sulle colline di Kigali: dai monolocali indipendenti in umili quartieri come Nyamirambo alle gallerie tirate a lucido in Kacyiru, il quartiere delle ambasciate, fino al giardino pieno di sculture in metallo che accolgono l’ingresso della cooperativa Uburanga Arts Studio a Kimihurura, zona hype in cui i giovani kigalesi vanno in discoteca. Bakunzi Jean Bosco, fondatore di Uburanga – che nella lingua locale vuol dire ‘bellezza’ –, sta lavorando a un murale coloratissimo insieme ai suoi giovani studenti. Ha fondato lo studio nel 2010, dopo aver scelto di fare l’artista di professione, “perché l’arte è bellezza, è cultura, aiuta a esprimersi ma allo stesso tempo può anche diventare una professione”. Bakunzi ha attivato residenze d’artista e corsi di formazione, ma organizza anche eventi culturali, incontri e conversazioni, perché “la pittura e la scultura sono mezzi che ci aiutano a metabolizzare il nostro passato e a guardare con fiducia al futuro. Ogni volta che sto via per un po’ da Kigali”,continua Bakunzi,“al ritorno ho l’impressione di vedere la città cambiata, diversa, più moderna, con una società un po’ più consapevole, e questo mi dà speranza”. Gli artisti come Bakunzi spesso lavorano e vivono nelle gallerie, accompagnano le persone nelle visite e organizzano loro stessi eventi e corsi di pittura per bambini e orfani, con progetti che hanno un ruolo sociale molto importante.
I fratelli Emmanuel e Innocent Nkurunziza hanno aperto l’Inema Arts Center nel 2012 “con la missione di utilizzare tutto il potenziale creativo e artistico esistente in Ruanda. ‘Inema’ in kinyarwanda significa dono”,ci racconta Emmanuel. “Conoscere l’arte per noi è un dono prezioso, da condividere con gli altri, e il nostro obiettivo è proprio quello di dare la possibilità a persone creative di esprimersi, e al tempo stesso vogliamo creare un’opportunità per il Ruanda di farsi conoscere a livello internazionale”. Esposizioni d’arte si trovano anche qua e là nella capitale, in luoghi di passaggio o frequentati dai turisti. Come negli spazi di Heaven Rwanda b&b, ristorante punto di ritrovo per gli internazionali che vivono a Kigali, una struttura ricettiva totalmente made in Rwanda, che ospita mostre in collaborazione con le cooperative di artisti del territorio e che sta per lanciare la prima hospitality academy del Paese, scuola di formazione focalizzata sul servizio al cliente, l’arte culinaria, il design e la gestione dell’ospitalità, per formare i futuri leader di un settore in rapida crescita.
Alla tradizione locale, ma reinterpretata con gusto moderno e cosmopolita, guarda anche Inzuki Designs, marchio di gioielli e accessori di design locale, fondato nel 2010 dalla giovane creativa Teta Isibo. “Inzuki è parte di un più ampio rinascimento culturale del Ruanda: in questo momento ne siamo tutti fortemente ispirati”, ci racconta Teta all’interno della sua boutique nel cuore della città.“Inzuki significa ‘ape’, sia perché chi produce i nostri prodotti sono cooperative di donne che lavorano armoniosamente in squadra, come le api, sia perché il nostro target è una donna giovane, dolce ma anche laboriosa e sicura di sé”.
Le donne hanno infatti un ruolo centrale in tutti gli aspetti della ricostruzione del Paese. Il governo conta la maggior percentuale di donne al mondo, che è arrivata a toccare nel 2014 il 64%. “La decisione di concentrarsi sulla parità delle donne”, afferma ClareAkamanzi dell’RDB, “non è solo una questione di diritti ma di praticità. Il presidente Kagame sta spingendo le donne a fare politica: è importante dare loro un’opportunità, per la loro capacità di contribuire alla trasformazione del Paese e allo sviluppo di una classe media”. La nuova middle class che sta emergendo comprende anche i membri della diaspora, come il giovanissimo imprenditore Matthew Rugamba, che ha da poco lanciato il suo brand di moda House of Tayo dopo aver studiato negli Stati Uniti. “Ero stanco di vedere la pietà negli occhi della gente appena dicevo che venivo dal Ruanda”, dice Matthew, “così ho deciso di creare qualcosa di bello e di diverso, per cambiare la percezione della gente”. La creazione di punta di House of Tayo è il bow tie, il papillon, “perché chi lo indossa acquisisce automaticamente una sorta di dignità, è simbolo di classe, prestigio. Dietro un papillon c’è sempre un professore, un battesimo o un matrimonio, un diploma o una prima al teatro. Sono tornato per prendere parte alla ricostruzione del mio Paese, a testa alta, indossando con orgoglio un papillon 100% made in Rwanda”.
Mr. Soprintendente
Il National Museum of Rwanda, primo museo del Paese, fu aperto dal governo nel 1989 e nel 2006 si è trasformato nell’INMR – Istituto dei Musei Nazionali del Ruanda, con lo scopo di preservare e promuovere il patrimonio naturale e culturale della nazione. Alphonse Umuliisa ne è direttore generale dal 2010. Lo incontriamo nel suo ufficio all’interno del Museo di Storia Naturale di Kigali, che soprintende assieme a ben altri cinque musei: il Museo Etnografico e la National Art Gallery a Nyanza, nel sud del Paese, il Presidential Palace Museum, ed è di prossima apertura il Museo dell’Ambiente. “Quando sono arrivato qui, dopo aver lavorato in istituzioni importanti a Londra, non c’era niente. I musei erano mal gestiti, con pochissimo personale e non specializzato”, ci racconta Alphonse. “Qui è tutto molto difficile: occorre formare il personale, insegnargli tutto, dal pulire le teche al customer service, fino alla parte didattica e di formazione sulle collezioni”.Ma è convinto che la cultura e l’arte siano driver fondamentali per lo sviluppo della società. “Gli africani hanno sempre avuto l’arte nel sangue, al momento non abbiamo purtroppo ancora istituti che insegnino la conservazione del patrimonio culturale, e non abbiamo neanche un’accademia d’arte vera e propria. Per questo le professioni artistiche sono ancora molto in basso nella scala dei valori”.
Alphonse ha davanti a sé più di una sfida per migliorare la situazione dei musei e della cultura in Rwanda. Appena arrivato si è battuto per spostare l’headquarter dell’istituto da Nyanza a Kigali, dove vive la maggioranza della popolazione, e ha incrementato il numero dello staff dei musei, da 19 persone a 105, e ora si dedicata alla formazione senza sosta. Il supporto del governo potrebbe essere maggiore: “Al momento è concentrato sullo sviluppo dell’economia e sull’educazione di base, e fa ancora troppo poco per la cultura e la preservazione dei musei, ma già il fatto di avermi portato qui dall’Inghilterra è un passo importante. Certo servirebbero molti fondi per ristrutturare alcuni musei, ma Roma non fu costruita in un giorno!”.
Come accade in altri settori, l’approccio del governo Kagame gli impone un budget preciso, deve presentare annualmente un action plan ed è chiamato a firmare i cosiddetti performing contracts e spiegare al governo con cura le azioni, i risultati attesi e poi raggiunti. Uno degli obiettivi più alti che si pone è quello di portare l’arte ai ruandesi e fare in modo che la popolazione locale cominci a frequentare i musei. “Stiamo lavorando sodo per raccontare la nostra storia attraverso i musei, l’arte, la fotografia. Presto apriranno al pubblico il Rwandan Liberation Museum e il Campaign Against Genocide Museum, proprio con lo scopo di raccontare in modo storico, obiettivo ma anche coinvolgente i fatti del genocidio. Siamo stati sempre abituati a leggere la storia in modo parziale: ci hanno insegnato a stare gli uni contro gli altri, ma adesso le cose devono cambiare”. Un’altra sfida importante è quella economica. Una delle prime scelte fu anche quella di far pagare l’accesso ai musei: “La gente mi prendeva per pazzo, in realtà ora abbiamo più visitatori di prima”. Quando gli chiediamo cosa ne pensa dei giovani artisti che ci sono in città, dice convinto che “abbiamo davanti un futuro brillante, ma abbiamo bisogno che l’arte trovi riconoscimento a livello scolastico e universitario, proprio come avviene da voi. I ragazzi hanno bisogno di una guida, per percepire l’arte come qualcosa di importante fin da piccoli. Un po’ come il calcio: nasce come un hobby, ma può diventare una professione economicamente molto remunerativa, se la si impara seriamente. Questo voi in Italia lo sapete molto bene”.
INEMA ARTS CENTER: fratelli d’arte
Chi visita la capitale Kigali in questo momento rimane colpito dall’esplosione di gallerie, artist run space e centri indipendenti fondati e guidati da artisti giovani, che spesso vivono e lavorano in questi luoghi, accolgono residenze d’artista, formano altri, organizzano eventi non solo legati all’arte ma anche alla musica e alla danza. Uno dei più recenti e attivi è l’Inema Arts Center,fondato nel 2012dai fratelli Emmanuel e Innocent Nkurunziza con lo scopo di fornire uno spazio agli artisti in cui condividere la loro creatività con la comunità nella quale vivono.
“La nostra più grande passione è l’arte, l’amore per le persone, l’orgoglio della cultura ruandese”,racconta Emmanuel.“Pensiamo quindi che il nostro compito sia quello di condividere con gli altri, e allo stesso tempo cerchiamo di educare i giovani che saranno la futura generazione di artisti. È così che vogliamo contribuire al cambiamento sociale ed economico del nostro Paese”.Nati in Uganda da genitori ruandesi, sono tornati a vivere a Kigali nel 1997 con i genitori e gli altri quattro fratelli. “È attraverso le tante sfide della vita che ho scoperto l’arte, qualcosa di incredibile, che aiuta a esprimersi, a conoscersi meglio, aiuta ad accettare la realtà e a contribuire a cambiarla”, aggiunge Innocent.
L’Inema Arts Center è un collettivo di artisti ma anche una galleria, uno studio dove lavorano pittori e scultori, un luogo dove le donne di una cooperativa locale si riuniscono per creare oggetti di artigianato (il programma si chiama Nziza); è uno shop alla moda, dove assieme ai dipinti si possono acquistare oggetti, libri e cartoline; è un centro per lezioni di danza tradizionale intore; è una scuola per giovani e orfani che imparano a sviluppare la loro creatività attraverso programmi come Art with a Mission; è un luogo per mostre e una struttura che accoglie fino a dieci residenze d’artisti.
I due fratelli sono ottimisti e credono nel cambiamento sociale e culturale che sta avvenendo nel loro Paese: “Il futuro è brillante il Ruanda è in grande trasformazione, ed è questo che ci dà la spinta. Siamo in questo nuovo spazio da due anni e abbiamo già avuto riconoscimenti dal governo ma anche a livello internazionale”. Emmanuel e Innocent sono giovani e hanno capito che per poter emergere, oltre a un grande lavoro di comunicazione sui social network, hanno bisogno dell’appoggio del governo: “Collaboriamo con il Ruanda Development Board per la promozione del turismo in Ruanda, questo a sua volta ci aiuta a entrare nei loro canali promozionali come in-flight magazines e newsletter”.
Emmanuel sogna collaborazioni al di fuori del suo Paese: “Vogliamo portare il nostro lavoro e quello degli artisti che gravitano intorno al centro al di fuori del Ruanda, stiamo cercando forme di supporto locali e internazionali. Noi facciamo del nostro meglio per promuovere il centro: quest’anno siamo al primo posto su Tripadvisor tra le sedici esperienze migliori da fare a Kigali. Vogliamo mantenere questo primato, anche quando la competizione aumenterà”.
Lisa Chiari e Roberto Ruta
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #22
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