Narkomfin: vita, morte e miracoli di un capolavoro del Costruttivismo
Un complesso abitativo a Mosca. Un capolavoro d’architettura che non piaceva a Stalin, ma che Moisei Ginsburg e Ignati Milinis portarono comunque a termine. Ora, dopo anni di abbandono, sta vivendo di nuova vita. Fra mille difficoltà. Il racconto della nostra corrispondente, Anna Kostina.
Quello tra il 1920 e il 1930 è stato, per l’architettura sovietica, un decennio cruciale. Con la nascita del Costruttivismo, noi russi finalmente eravamo l’Avanguardia. La nostra architettura veniva celebrata in tutto il mondo, eccetto che in patria. Da noi, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, il cosiddetto Stile Internazionale era una vergogna, per via dei forti legami con la cultura dell’Occidente. Soprattutto, non piaceva a Stalin. Il compagno sollecitò gli architetti a coltivare un linguaggio autonomo, il cosiddetto Gotico Staliniano. E il suo impero si riempì così di “torte nuziali”.
Il complesso di Narkomfin è stato costruito a Mosca tra il 1928 e il 1930 e fa parte di ogni serio manuale d’architettura del XX secolo. Moisei Ginsburg e Ignati Milinis l’hanno progettato per i dipendenti del Commissariato delle Finanze del Popolo, il Narkomfin appunto. Rappresentava un nuovo modo di vivere, una casa innovativa che riusciva a combinare due funzioni: abitativa e pubblica.
Gli appartamenti erano piccoli ma studiati nel dettaglio e pieni di luce grazie alle ampie finestre a nastro, insolite a Mosca in quegli anni. Alcuni appartamenti misuravano solo 36 mq, altri arrivavano a 80. Erano “le celle K, F…”. Tutte a doppia altezza: 2,3 e 4,6 metri. Non dovevano essere spaziose: si presupponeva che la gente trascorresse la maggior parte del tempo negli spazi comuni. Caffè-refettorio, salotto, palestra e lavanderia si trovavano in un edificio adiacente, collegato alla residenza da un corridoio.
Ginzburg progettava pensando alla giornata di un compagno-inquilino: doveva alzarsi la mattina presto e recarsi subito sul tetto per fare esercizio fisico. Le cucine erano piccolissime perché “opzionali”, si poteva mangiare insieme nel caffè-refettorio. Peccato che i residenti non condividessero questa logica e preferissero cucinare nelle singole “celle”, lavare i vestiti a casa e fare a meno della ginnastica.
Sul tetto c’era una presenza anomala per quei tempi, una vera penthouse. Ci abitava il primo interlocutore degli architetti, Nikolai Milyutin, Commissario del Popolo per le Finanze. Il progetto di Ginzburg non prevedeva alcun appartamento in quell’area, destinata agli impianti di ventilazione ma rimasta vuota per la mancanza di denaro. Milyutin, essendo un tipo creativo, decise allora di progettare il suo appartamento da solo, prendendo ad esempio la pianta della “cella K”.
Narkomfin ha avuto il suo momento d’oro quando, oltre a Milyutin e Ginzburg, ospitava il pittore Alexander Deyneka. Il declino è cominciato dopo la Seconda guerra mondiale, per arrivare fino ai giorni nostri. Oggi il complesso somiglia a una fortezza in rovina che funziona seguendo logiche misteriose. Un’utopia infranta, ma l’idea della ginnastica sul tetto si è avverata. In cima al complesso, infatti, ci sono un bar e uno spazio per fare yoga.
Nel 2006, il presidente del gruppo Kopernik – Alexandr Senatorov – ha iniziato ad acquistare singoli appartamenti arrivando ad accumulare 2.200 mq dei 4.000 totali. Altri 1.300 sono proprietà del Comune di Mosca e i restanti sono suddivisi tra cinque proprietari. Inizialmente Senatorov voleva restaurare la casa sulla base del progetto di Alexandr Ginsburg – nipote di Moisei Ginzburg – e farla diventare un boutique-hotel. Il progetto, però, è stato accantonato per mancanza di denaro e varie incomprensioni tra l’architetto e il committente.
Narkomfin fa parte dell’elenco Unesco dei cento edifici a rischio di scomparsa. Necessita di un intervento di restauro in tempi rapidi. Ha già perso quasi tutti i pezzi originali. Era una perla, un’idea architettonica sviluppata fino all’ultimo dettaglio: portasapone, caloriferi, vasche da bagno con zampe di leone. Tutto sparito, rubato e rivenduto come pezzi da rottame.
Sono stati fatti dei lavori, senza permessi e in gran segreto. Hanno sostituito le finestre a nastro installandone di nuove che non riprendono il disegno originale. È vero, al posto dei vetri c’erano ormai pezzi di cartone marcio, ma ci sarebbe voluto più rispetto per l’idea degli architetti. La chiave del loro progetto erano proprio le finestre. Senatorov in un’intervista dice che si tratta di “una soluzione temporanea”: ma perché pagare due volte, se l’obiettivo è risparmiare?
Ora tocca a un altro studio d’architettura russo occuparsi di Narkomfin. Si tratta di Kleinewelt Architekten (Georgiy Trofimov e Nikolay Pereslegin). Hanno presentato un progetto a ottobre del 2014, precisando di non avere nulla a che fare con i lavori abusivi eseguiti in passato. Georgiy e Nikolay promettono un restauro scientifico che non modificherà le facciate né la struttura interna. “È un edificio residenziale ma con uso pubblico e cercheremo di mantenere questa idea. Nella parte pubblica pensiamo di aprire uno showroom o un museo della casa di Narkomfin, probabilmente anche un bar. Ci sarà anche un mini-albergo, così tutte le persone che amano questa casa avranno l’opportunità di penetrare nella sua atmosfera“.
L’altra notizia positiva è il workshop Il ritorno della casa, organizzato lo scorso ottobre nella “cella N18”. Fra i partecipanti c’erano gli studenti di culturologia, design e arte e, nonostante il poco tempo a disposizione (due giorni soltanto), sono venuti fuori progetti solidi e concreti: un nuovo logo della casa con una proposta per promuoverlo; l’idea di costruire nel cortile una cella-museo virtuale in scala 1:1 e creare un cinema sul tetto con una ETFE – Etilene TetraFluoro Etilene, una pellicola plastica resistente alla corrosione in un ampio spettro di temperature. Altri tre progetti hanno uno scopo artistico: creare un “supporto” alla casa agganciando al tetto grandi palloni riempiti di elio, realizzare opere di Land Art nel cortile e organizzare performance di slacklining (camminate sul filo) sul tetto.
Narkomfin ha ancora tanti problemi burocratici da risolvere, ma questo workshop ha davvero qualcosa in comune con lo slacklining: la sensazione di sfida e rischio che avevano anche i costruttivisti quando proponevano un nuovo tipo di vita. Il ritorno della casa ha attirato l’attenzione dei mass media e dei moscoviti, lasciando la speranza di un futuro migliore per Narkomfin.
Anna Kostina
photo Natalia Melikova
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati