Un club metafisico per la Domus Academy. Intervista a Gianluigi Ricuperati
Del Metaphysical Club vi abbiamo parlato qualche giorno fa, dandovi succose anticipazioni su un progetto “stellare” della Domus Academy, fortemente voluto dal suo dean Gianluigi Ricuperati. Con lui oggi approfondiamo l’argomento. E abbiamo colto l’occasione per ragionare anche su Torino, sui musei, sulla moda…
Diciamolo: negli ultimi tempi la Domus Academy aveva perso parecchio smalto. Perché a tuo avviso?
Non voglio parlare del passato. Né di quello glorioso – Mendini, Branzi – né di quello più recente, che comunque ha visto un’istituzione come la Domus resistere a decenni di profondi cambiamenti culturali, economici e sociali. Posso dire questo: da quando sono arrivato, a metà 2013, abbiamo visto un aumento progressivo di studenti, una maggiore soddisfazione, una presenza sui media più significativa, e ora con questo Metaphysical Club un definitivo ritorno della scuola nel campo di battaglia delle idee, a livello globale, sui temi del design, dell’architettura, dell’arte ecc.
È merito di un lavoro collettivo, e della fiducia che Laureate, attraverso il suo CEO Marc Ledermann, ha riposto in un piano strategico che comincia a dare i suoi risultati. Tutto ciò che facciamo lo facciamo perché gli studenti abbiano una reale possibilità di migliorare il proprio percorso professionale, cioè la propria vita. Il tasso di “occupazione professionale” dei nostri studenti è pressoché del 100%: l’obiettivo di tutto il nostro lavoro è di arrivare al doppio, cioè formare menti così ambite sul mercato che possono permettersi di scegliere, e non solo di essere scelti.
Cosa si può fare a Milano che non si può fare da altre parti e viceversa?
Lo spirito del luogo conta. Ma è anche vero che l’Italia non vive un momento di grande dinamismo culturale, e proprio per questo è più faticoso fare un lavoro culturale globale. Ma è anche l’unica ambizione che ho, ora, anche come scrittore. I confini linguistici sono sempre più angoscianti. E comunque sono particolarmente soddisfatto per la temperatura emotiva che sta raggiungendo la scuola in questi mesi: grazie a personalità come Patricia Urquiola, e ora al Club, e a tutto il resto. Stiamo facendo un lavoro contro le correnti, anche se forti di una tradizione piuttosto intensa.
Grande valore ha – devo dire – la presenza energetica e calma di Italo Rota, che ha sostenuto e sostiene ogni nostra mossa in modo particolarmente generoso, da Anti-Crono, cioè un padre che non vuole divorare i propri figli: caratteristica non comune, come sappiamo, nel nostro Paese, per gli esponenti della sua generazione.
In ogni caso prevedo una primavera stellare a Milano: alcuni padiglioni dell’Expo sono bellissimi, la mostra di Celant sarà epica, quella di Gioni pure, e l’apertura della Fondazione Prada – di cui mi ha parlato l’amico Shumon Basar, advisor del progetto – darà il colpo al cuore finale. In questo quadro, inserirsi nella nostra piccola portata e capacità, è un onore e una missione.
Hai appena lanciato il Metaphysical Club: una definizione in cinque righe (e non rispondermi che non si può definire!).
Una congregazione laica dello spirito visionario e pragmatico del XXI secolo: osservatori, che sono anche protagonisti, che sono anche insegnanti. Un gruppo di menti straordinarie che genererà una conversazione capace di guidare la scuola attraverso idee e non discipline. Un gruppo di riferimento per gli studenti, che avranno a disposizione almeno due volte all’anno alcune delle persone che stanno facendo la storia nei loro campi.
Qui sono quasi tutti maschi, ma poi c’è il Tomorrow’s Club che invece è composto prevalentemente da donne. Significa che il futuro è donna? O che alle posizioni apicali continuano ad arrivare soprattutto uomini?
Ci sono tre donne straordinarie, Alice Rawsthorn, Patricia Urquiola, Leanne Shapton: e ne arriveranno altre, nel 2015. Il club è aperto, e aggiungeremo nuovi nomi di grande qualità: e molti saranno donne.
Nel Tomorrow’s Club invece la proporzione è già schiacciante, e posso solo dire che questo mi rende felice. Siamo già in pieno XXI secolo, e il XXI secolo è già adesso il secolo delle donne. Per questo l’inconscio malato dei maschi produce femminicidi e violenze: ultimi rantolii di una perfida malattia millenaria, per fortuna giunta al termine.
Torniamo al MC: possibile che in un cercle del genere non abbiate chiamato un filosofo?
Mi piacerebbe Peter Sloterdijk. Mi piacerebbe Chantal Mouffe. Mi piacerebbe Franca D’Agostini. Il dialogo tra filosofi è il modello intimo e implicito – anzi esplicito – del Metaphysical Club, che prende il suo nome da un consesso di pensatori importantissimo e da un bellissimo libro che ne racconta la storia, scritto da Louis Menand, Premio Pulitzer peraltro. Da romanziere e narratore amo il romanzo di idee, e vorrei che le vite dei nostri studenti fossero dei densissimi romanzi di idee, idee realizzate.
Raccontaci cosa succederà al primo incontro. Non i contenuti, ovvio, ma come si strutturerà il tutto.
Arriveranno a Milano, ci sarà un intervento principale, a cui risponderanno tutti gli altri con i propri punti di vista, e poi una conversazione libera, selvatica, possibilmente infinita.
La tua idea di “educazione” qual è?
Una conversazione libera, selvatica, magari infinita, con le proprie possibilità e il proprio tempo.
Finora abbiamo parlato di cose che accadono a Milano. Tu però sei di base a Torino e qualche tempo fa hai pubblicato un articolo che ha fatto arrabbiare tanti tuoi concittadini. Si stava facendo un bando per la direzione di Rivoli (bando che non portò a nulla) e tu scrivesti che era meglio chiuderlo quel museo. E ora cosa ne pensi, visto che di bando ce n’è un altro?
Io lavoro a Milano e nel mondo e vivo con la mia famiglia a Torino. Amo la città di un amore tenero ma non disperato. Anzi, a volte disperato. Diciamo che è difficile lavorare a Torino, ma ci sono delle potenzialità enormi. Ho molta speranza in due donne al governo della cultura e dell’industria di questo territorio, gli assessori regionali Antonella Parigi e Giuseppina De Santis. Ho meno fiducia e apprezzamento rispetto a ciò che è stato fatto negli scorsi anni con il Castello di Rivoli. La Lega di Cota d’altronde odia il contemporaneo, cioè il futuro libero, aperto, cosmopolita, selvatico, appunto. Cosa si aspettavano tutti? La tragedia – ancora prima delle spending review – è arrivata da lì: Andrea Bellini è stato l’ultimo vero direttore del museo, che ha interpretato il suo ruolo con un coraggio quasi stoico, e sono felice e onorato di aver contribuito in piccola parte a quel progetto. Poi l’hanno costretto con il soft power torinese ad andarsene, e lui sta facendo cose molto belle a Ginevra. Ora l’aria è cambiata.
Ma ripeto: se non si investe sul museo, è meglio tornare a vederlo come una residenza sabauda. D’altronde il libretto distribuito in occasione del trentennale – alla cena di fundraising – è una guida alla “residenza sabauda”: un segnale abbastanza esplicito. Il museo è stato non solo il primo museo d’arte contemporanea in Italia, ma uno dei primi poli di apertura dell’arte contemporanea a un dialogo democratico e popolare con i cittadini, i turisti, le comunità.
L’idea di fare un bando per Gam e Rivoli non è malvagia in sé, ma il bando non mi pare chiarissimo. E soprattutto: a dirigere la doppia struttura non dovrebbe essere una o un “curatore”, ma una o un visionaria/o della cultura. Capace di attivare collaborazioni con i più bravi giovani curatori sulla scena internazionale. Credo sia l’unica strada. Rigenerazione culturale e anagrafica, senza troppa esperienza. Che l’esperienza, in Italia, troppo spesso diventa insipienza. Nel 1984 il progetto era dotato di coraggio, non di esperienza. Gli esperti ci hanno sempre messo nei guai – a tutti i livelli – e soprattutto ora. E i musei non devono soltanto fare mostre rilevanti: devono essere attivatori di processi culturali e professionali che portino un territorio a una nuova “rilevanza”. Bisogna portare le menti, a Rivoli e alla Gam. Possibilmente straniere. Possibilmente diverse. Possibilmente inattese.
Domus Academy vuol anche – e forse soprattutto – dire moda. Allora ti chiedo cosa ne pensi di due cose che succedono a Roma: la mostra Bellissima al Maxxi, critica da più parti; e la “chiusura” di Altaroma. Due segnali piuttosto contraddittori, o no?
Domus Academy è in parti uguali design, architettura, moda. Ma è soprattutto luogo di coltura delle idee: tirassegno della contemporaneità, che parla una lingua che non si riduce quasi mai alla pertinenza disciplinare e professionale. Vedo una scuola capace di orchestrare un’opera-mondo fatta con i talenti di studenti curiosissimi, che vedono nell’Italia un locus amenus per l’invenzione, e non soltanto un magnifico inventario del tempo che fu.
La mostra Bellissima mi è piaciuta molto, uno di quei casi in cui la nostalgia può diventare un motore curatoriale anarchico e festivo. Su Altaroma posso dire che mi dispiace, e spero che si risolva al più presto. Ma le istituzioni culturali – lo dico sempre più spesso – vanno pa-tri-mo-nia-lizza-te. Chiamiamoli endowment. Chiamamoli fondi, o trust. Lasciamo perdere la precisione della terminologia tecnica, per ora. Il concetto è: fondi in grado di generare risorse attraverso meccanismi di rendita finanziaria a basso rischio, come se ogni istituzione avesse il suo patrimonio in banca, con una rendita al 3 o 4% annuo. Per arrivare a questo, ogni mezzo è lecito: vendere immobili, anche. Conta il software umano, in queste cose, più di tutto il resto. Quindi: soldi per mostre, personale (magari non a tempo indeterminato per una vita intera), curatela, pubblicazioni, sistema educativo ecc.
Quando la nostra democrazia – noi – capirà questo, la cultura si mangerà il malaffare e l’incompetenza di certa politica tutto di un colpo.
Marco Enrico Giacomelli
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