Non ci vediamo più dalla fame. È tutto nero, siamo accecati neri dall’ingordigia. Il nero è componente estetica fondamentale per somatizzare la moltitudine della scala cromatica (e gastronomica). Arte e cucina che indagano nel buco (nero) della creatività, tra opere di Ad Reinhardt, Kazimir Malevic, Ben Vautier e Mauro Panichella, libri di Alphonse Allais, frasi di John Cage e il bellissimo piatto Michelin dalle sembianze quasi petrolifere del famoso chef Davide Scabin.
Innanzitutto occorre precisare che il nero non esiste. Quello che noi chiamiamo nero non è altro che un grigio molto scuro: il nero assoluto non è raggiungibile in quanto si tratta di un’ipotesi della fisica e non di una realtà. Infatti – per definizione – il nero è il colore interno di un contenitore sigillato e raffreddato alla temperatura di zero gradi Kelvin, quindi in totale assenza di moto degli elettroni.
Nonostante questa premessa, la sua ambiguità nella sottrazione di tutta la luce e nella sommatoria di tutti i pigmenti colorati ha da sempre affascinato gli artisti, che hanno voluto lasciare le loro testimonianze “nero su bianco”. Ma c’è chi si è fermato al nero che necessariamente esprime recondite oscurità per rinunciare alla forma e al colore con un coraggioso passo verso l’essenza dell’assoluto.
Le tele nere di Ad Reinhardt negano e rivelano oltre il colore la purezza del Tutto.
Come afferma John Cage: “Niente soggetto, niente immagine, niente gusto, niente oggetto, niente bellezza, niente talento, niente tecnica (niente perché), niente idea, niente intenzione, niente arte, niente sentimento, niente nero, niente bianco […] Alleluia! Il cieco può di nuovo vedere, l’acqua è limpida”.
Come l’opera d’arte culinaria dello chef piemontese Davide Scabin, due stelle Michelin di fantasia organolettica al Combal.Zero, all’interno dell’artistico Castello di Rivoli, che mimetizza nel nero buio la tradizionale pasta alla carbonara: Black is Black è la creazione gastronomica che strizza l’occhio all’assoluto corvino, ovvero spaghetti al nero di seppia con carbonara al nero di seppia e caviale su tavoletta di antracite. In netto contrasto con il chiarore e la grassezza della classica “carbonara”, in questo caso il nero spiazza il cervelletto, ricoprendo il piatto di tetro minimalismo e totale oscurità ittica. La pasta monograno di Riccardo Felicetti diventa il monocromo di Davide Scabin.
Le opere di Reinhardt degli Anni Sessanta invece non sono completamente nere bensì una sfida ipnotica alla retina che soltanto a fatica riesce a individuare dei quadrati simmetrici e con neri che sembrano soltanto neri. Il nero puro, quello totalmente monocromo su una superficie omogenea, era nato nell’arte mezzo secolo prima. Kazimir Malevic ha realizzato nel 1914 il Quadrato nero commentandolo con queste parole: “Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l’embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente”.
Ma Malevic ignorava che qualcun altro lo aveva preceduto. Il primo di ottobre del 1882 infatti, a Parigi, s’inaugura l’Exposition des Arts Incohérents e Paul Bilhaud presenta una tela totalmente nera dal titolo Combat de nègres dans un tunnel. La quasi scontata ironia del commediografo stimola Alphonse Allais, il genio dell’umorismo del XIX secolo, che risponde con un intero libro in cui si succedono immagini monocromatiche facilmente raffigurabili con i soli loro titoli: Combat de nègres dans une cave, pendant la nuit (una pagina ovviamente tutta nera) ma anche Récolte de la tomate par des cardinaux apoplectiques au bord de la mer rouge (una pagina ovviamente tutta rossa).
Con un veloce salto nel buio, 132 anni dopo il nero continua a presentarsi nella sua invasiva uniformità nelle ultime opere di Ben Vautier e di Mauro Panichella esposte alla Galleria Unimedia di Genova. Nero al quadrato giacché la tecnologia del QR code permette di cliccare sull’opera e ritrovarsela sullo schermo: nell’esperienza retroattiva osserviamo e non esitiamo, rifocilliamoci oblianti!
Carlo e Aldo Spinelli
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