Conversazioni d’arte. Laura Tansini, Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen
Decimo e ultimo appuntamento con le conversazioni fra Laura Tansini e alcuni dei più importanti artisti del secolo passato e in corso. La lista si chiude con la coppia formata da Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, incontrati nel loro studio di Manhattan. Mentre nelle scorse settimane ci sono stati Jeff Koons, Agostino Bonalumi, Pierre Alechinsky, Mario Merz, Richard Serra, Jannis Kounellis, William Kentridge, Tony Cragg ed Anthony Caro.
Nel saggio in catalogo della vostra mostra al Guggenheim, Germano Celant ha scritto che i vostri oggetti “sentono“: siete d’accordo?
Claes Oldenburg: È un fatto difficile da provare… Gli oggetti che noi scegliamo non sono astratti: hanno precise qualità figurative ma, date le dimensioni, non sono più oggetti reali; questo ci permette di presentarli in situazioni anomale ma del tutto credibili. Non sono oggetti surreali, perché l’oggetto è ingrandito ma non distorto; a parte le dimensioni e l’intensità del colore, è tale e quale l’originale. I cambiamenti che noi apportiamo consistono nel togliere la “funzione”, talvolta nel semplificarli; sono oggetti riformulati, ma mai oggetti fantastici.
Coosje van Bruggen: Si tratta anche di “intensificare” le caratteristiche dell’oggetto: nei colori, che sono molto importanti e hanno una tessitura “sensuale” che cambia con la luce nell’arco della giornata; e nella dimensione e posizione che – in rapporto con le caratteristiche architettoniche del luogo – è studiata per creare dinamismo, movimento. La nostra epoca è caratterizzata dalla velocità, dall’accelerazione, e noi desideriamo esprimerlo.
Spesso le vostre sculture-oggetto – ad esempio Trowel I (Otterlo, 1971 e 1976), Spitzhacke (Kassel 1982), Balancing Tools (Vitra International AG, Germania 1984), Bottle of Notes (Middlesbrough 1993), Inverted Collar and Tie (Francoforte 1994) e molte, molte altre – sono posizionate in modo da dare un’impressione di precarietà, di instabilità.
C. O.: Vedi, noi crediamo nell’equilibrio, ma siamo anche convinti della necessità dello squilibrio per creare quella tensione che è movimento, ed è quella a dare vitalità dell’oggetto.
Per decidere la dimensione della scultura elaborate al computer l’immagine dell’oggetto nel luogo?
C. O.: Nooo, la “sentiamo”! È la nostra immaginazione che elabora i dati e le caratteristiche architettoniche e paesaggistiche e trova il giusto oggetto e la giusta dimensione.
Può accadere che, per ragioni tecniche, in fase di costruzione della scultura dobbiate modificare misure e posizione?
C. v. B.: Agli inizi capitava, ma ora – con tutta l’esperienza che abbiamo accumulato – non accade più.
Preferite operare nel paesaggio – intendo in un parco – o in una situazione urbana?
C. O.: Entrambe le situazioni ci interessano, ma riteniamo più interessante lavorare in una situazione urbana, dove siamo costretti a relazionarci con strutture preesistenti, spesso in contesti caotici, anonimi…
C. v. B.: … spesso il luogo, la situazione urbana nella quale costruiremo la nostra scultura è imperfetta. Ci piace lavorare in una situazione imperfetta, utilizzando le caratteristiche negative per eliminarle con la nostra scultura; creando squilibri e asimmetrie che invitano il passante a fermarsi, a camminargli intorno, a “sentirla”. E ci piace lavorare per piccole comunità, dove il nostra lavoro è apprezzato da persone che ne avranno cura.
Siete ottimisti circa l’interesse della gente per le opere d’arte…
C. O.: Dobbiamo esserlo! È la base del nostro lavoro, dal momento che pensiamo che la gente, la comunità che ci commissiona una scultura, l’amerà, e noi potremo stimolare la loro immaginazione. È questa idea che ci ha portati a uscire dal sistema dell’arte, dalle gallerie, dal museo, dal lavorare per mesi e mesi a opere che scompaiono nelle collezioni private. Desideriamo che tutti possano vedere il nostro lavoro. La nostra idea è di togliere l’arte dal piedistallo, farla uscire dai musei e dalle gallerie, e inserirla nello scorrere della vita.
C. v. B.: Io non credo nel lavoro “pubblico”, fatto per le istituzioni, ma nel lavoro privato in una situazione pubblica. Nei musei l’artista non ha autorità, non ha controllo sul proprio lavoro una volta che lo ha consegnato, mentre quando riceve una commissione da una comunità può imporre la propria volontà.
Siete voi – quando un determinato luogo vi stimola a creare una scultura – a proporre un progetto?
C. O.: No, lavoriamo su commissione.
Come avviene?
C. v. B.: Quando riceviamo una commissione, andiamo a visitare il luogo, ne studiamo le proprietà fisiche e architettoniche, le qualità culturali e storiche, alla ricerca di abbinamenti che ci permettano di trovare nella “banca dati” della nostra memoria e immaginazione l’oggetto giusto. Ci vuole molto tempo per trovare l’oggetto giusto…
Può accadere che solo in fase di realizzazione vi rendiate conto che l’oggetto scelto non è quello giusto?
C. O.: È escluso che si prenda in considerazione l’oggetto sbagliato. Solo quando siamo sicuri che si tratti dell’oggetto giusto per quel luogo iniziamo ad elaborare il progetto. È un processo lungo, che richiede molto, molto tempo.
Quindi, quando ricevete una commissione, il committente – privato, comunità, museo, campus universitario – sa solo che avranno una vostra scultura ma non sanno cosa rappresenterà. Ne discutete o devono accettare la vostra proposta?
C. v. B.: Si procede per gradi: quando abbiamo pensato all’oggetto per quel luogo, sottoponiamo un disegno, e in questa fase del progetto siamo abbastanza aperti alla discussione.
C. O.: Segue un contratto e un pagamento a fronte del quale presentiamo, entro un termine stabilito, il progetto, che consiste in una maquette in scala ridotta della scultura, la scelta dei materiali e il budget di spesa per realizzarla. In genere la maquette è molto semplice.
Può capitare che il committente non sia d’accordo e chieda dei cambiamenti?
C. O.: Se accadesse rinunceremmo alla commissione.
Per quanto riguarda la costruzione della scultura e la scelta dei materiali, come procedete?
C. O.: discutiamo ogni dettaglio con gli ingegneri: materiali e colori sono estremamente importanti. Per esempio, non si devono vedere giunture, l’oggetto deve apparire perfettamente liscio, come fatto di un unico pezzo. Per questo è molto importante usare la vetroresina, ed è importantissimo il colore, che sceglie Coosje.
C. v. B.: In genere siamo sempre presenti durante le varie fasi della costruzione e controlliamo ogni cosa. Il colore – che io personalmente mischio, utilizzando le vernici per le automobili, fino a quando non trovo quello che va bene per quella scultura – è la pelle della scultura. Deve essere bello e avere qualità… tattili.
Laura Tansini
Estratto da un articolo pubblicato su “ArteIn” numero 86 (2003)
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati