Conversazioni d’arte. Laura Tansini e William Kentridge
Settimo appuntamento con le conversazioni fra Laura Tansini e i grandi artisti della contemporaneità. Finora al suo microfono sono passati Jeff Koons, Agostino Bonalumi, Pierre Alechinsky, Mario Merz, Richard Serra e Jannis Kounellis. Qui invece c’è il grande artista sudafricano, intercettato a New York durante la sua personale da Marian Goodman nel 2002
Il suo soggiorno a Umbertide: di cosa si tratta?
È un programma di residenza. Si è invitati a trascorrere tre o sei settimane; si ha a disposizione uno studio per lavorare ed è fatto per creare contatti fra gli artisti e anche con la gente del luogo. Per me, che amo l’Italia, è stato un gran piacere poter vivere e lavorare nella campagna italiana. Il lavoro che ho fatto a Umbertide non era comunque diverso dal lavoro che faccio a Johannesburg… Non era un lavoro correlato al luogo, non era un lavoro sull’Umbria.
Per la verità io non ho mai considerato il suo lavoro come quello di un artista che opera a Johannesburg, o in Germania o a San Francisco… È semplicemente il suo lavoro, e penso che potrebbe farlo ovunque.
Il luogo migliore dove lavorare èquello in cui l’atmosfera lo rende possibile, dove ci sono contatti con gli amici, dove l’atmosfera è quieta e propizia alla concentrazione… Insomma, il proprio studio, e il mio è a Johannesburg, dove ho fatto tutti i mei lavori.Sono a New York da tre mesi, ma qui ho lavorato molto meno…
La sua felicità nel creare disegnando mi fa pensare al piacere che provano i bambini…
Se lo chiede a mia madre, dirà che ho cominciato a disegnare quando avevo solo tre anni. Quasi tutti i bambini disegnano, ma molti diventando grandi abbandonano il disegno.Io non ho mai smesso.
Ma quando ha frequentato la scuola d’arte faceva pittura, i suoi inizi sono da pittore…
Sì, ho imparato a dipingere, ma non ho mai smesso di disegnare.
Lei viene da una famiglia di tradizioni borghesi, di avvocati. Forse la sua carriera non è stata ciò che suo padre si aspettava da lei.
Sì, mio padre era avvocato. Ma di sicuro non si è mai aspettato che lo diventassi anch’io.
Quindi non ha subito pressioni dalla sua famiglia? È stato libero di seguire la sua vocazione?
Credo che, se ci fosse stata maggior pressione, forse sarebbe stato meglio.Sarei stato un buon avvocato.
Ma è diventato un ottimo artista!
C’è stato un lungo periodo in cui mi sembrava di svolgere un’attività innaturale, mentre mi sembrava più naturale essere un avvocato.Pensavo di non aver diritto di essere un artista: un artista deve sapere cosa vuol dire, deve dire qualcosa di nuovo, deve avere immaginazione, e io non avevo nulla di tutto questo.
A proposito di pittura: non ho mai visto i suoi dipinti.
Meglio così!
Che tipo di quadri erano?
I quadri che ho dipinto quando ero uno studente li ho buttati dieci anni fa… Delle volte faccio il “pittore della domenica”. Ho fatto visitaa un amico che aveva una scuola d’arte a Firenze e ho preso lezioni di pittura a olio; ho dipinto un paio di nature morte, ho dipinto il ritratto del mio amico e ho seguito le lezioni come uno studente… Sì, qualche volta mi piace dipingere, ma come “dilettante” per me è un’attività completamente differente dal disegnare; quando dipingo, se il risultato è piacevole mi sembra un buon lavoro, ma non è un “modo di pensare”.
Disegnare invece è per me strettamente legato al tentativo di seguire il pensiero, di tenere traccia del processo evolutivo del pensiero, mentre dipingere è una cosa completamente differente.
In effetti i suoi disegni si dipanano come pensieri: ciascuno nasce dal precedente e ne genera un altro, che dà vita a un altro ancora, che si tramuta in un altro e così via, per poi alla fine tornare all’inizio, con un processo circolare che è quello del mandala.Questo fa pensare un’estrema concentrazione e rapidità nel disegnare.
Io non posso “pensare” la pittura, mentre il disegnare per me è un modo di pensare.
Lavora da solo o ha degli assistenti?
Ho un’assistente, ma per le questioni amministrative e organizzative e pratiche. Ho anche provato ad avere un’assistente per l’animazione. Si occupava della macchina per le riprese e io facevo i disegni. Ma la cosa non funzionava per due ragioni. Se lavoro con un’assistente succedono due cose: primo, mi imbarazzo perché la faccio aspettare mentre io disegno l’immagine che dovrà fotografare, e quindi mi costringo a disegnare troppo velocemente; la seconda è che, se lavoro da solo, mi devo spostare in continuazione tra il disegno contro il muro e la macchina fotografica che si trova al centro della stanza, e questo continuare a muovermi mi fa venire delle idee, mentre se ho un assistente la sua presenza e il dover far presto diventa un elemento di grande distrazione.
Laura Tansini
Estratto da un articolo pubblicato su “ArteIn” numero 83 (febbraio-marzo 2003)
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