Davide Servadei e la Bottega Gatti. Dove la maiolica diventa opera d’arte
Nella bottega diretta da Davide Servadei, l’artigianato è arte. Dagli inizi del Novecento la Bottega Gatti di Faenza rappresenta l’eccellenza della maiolica in Italia e nel mondo. Filippo Tommaso Marinetti e poi Balla, Burri, Matta, Carla Accardi e oggi Paladino, Echaurren, Giosetta Fioroni e Luigi Ontani. Sono solo alcuni dei grandi nomi che si sono affidati e si affidano alla loro competenza.
La Bottega Gatti è punto di riferimento per la produzione, la ricerca e la diffusione dell’arte ceramica in Italia e negli anni si è accreditata come la fornace degli artisti. Il ruolo fondamentale di guida è di Davide Servadei, pronipote e prosecutore di Riccardo Gatti, che nel 1928 fondò la Bottega Gatti di Faenza. Luogo di grande tradizione, ma anche di sperimentazione, ha sempre accolto gli artisti nella conoscenza della ceramica fin dai primordi. Tra questi anche gli esponenti del movimento futurista tra i quali Balla, Marinetti, Dottori. Oggi Davide sta continuando questa attività e ha all’attivo collaborazioni con artisti quali Paladino, Echaurren, Ontani, Fioroni e tanti altri.
La Bottega nasce nel 1928: si può dire che la tua famiglia possiede un Dna che custodisce un grande e prezioso sapere. Ma quanti artisti passano dalla Bottega Gatti? In quanti hanno fatto incursioni nel mondo della ceramica?
Io sto facendo nella contemporaneità quello che il mio avo ha fatto per tutta la vita. Fin da subito la Bottega diventa con Riccardo Gatti un vero e proprio punto di riferimento per gli artisti. Lui aveva aperto agli artisti futuristi che sperimentavano in questo luogo. Riprendere il rapporto con gli artisti è stato un mio desiderio che è nato giorno per giorno, mettendo a punto il giusto equilibrio tra arte, tecnica e artigianato. In molti hanno così voluto e potuto transitare per questa materia e ancora oggi questo fermento è in evoluzione.
Artigianato e arte: quanto pesa la consapevolezza tecnica nella realizzazione dell’opera?
Una distinzione tra artigianato e arte è d’obbligo ma è anche anacronistica. Quello che sono riuscito a verificare nel mio ambito di lavoro è che l’artista si preoccupa di vivere una contemporaneità attraverso il suo lavoro e la materia ne è strumento. La ceramica, forse per la sua complessità, ha generato degli equivoci di metodo e troppo spesso ho visto in questo Paese artisti legati alla ceramica non esprimere un linguaggio, piuttosto un linguaggio della materia.
In ogni caso, l’artigianato ha grande ruolo nello sviluppo di questo materiale. Ho rispetto per l’artigianato, sono presidente di una istituzione sindacale che tutela gli artigiani, ed è solo dalla difesa di questo territorio che l’arte a tutto tondo può trarre i grandi vantaggi che oggi sta vivendo.
Questa infinita diatriba non aiuta il mercato dell’arte, inoltre il collezionista è diffidente rispetto alla presunta fragilità della ceramica. Ci vorrebbe in Italia un artista come lo fu Picasso, che rivoluzionò a livello mondiale la percezione della ceramica. In Italia chi spinge in questa direzione?
Picasso sicuramente ha intercettato la ceramica el’ha fatta diventare linguaggio artistico. Ma a mio avviso sempre un passo indietro rispetto ad altri suoi tipi di lavori, e la differenza del valore commerciale lo dimostra. In Italia è accaduta la stessa cosa con Fontana, Melotti ecc. Hanno acceso la curiosità, hanno realizzato opere in ceramica ma con una incidenza sul mercato inferiore ad altri loro lavori.
Oggi è in corso un cambiamento. Per fare un esempio, Paladino e Ontani con la loro forza artistica stanno imponendo opere nelle quali il dato “ceramica”, sia per valore che per qualità artistica, è al pari di opere che rispondono ai loro linguaggi primari. Questa dovrebbe essere la direzione.
Paladino, Ontani, Fioroni ma prima ancora Matta, Cerone e Accardi, tra i tanti: che tipo di collaborazione si sviluppa in Bottega tra te, i tuoi collaboratori e l’artista?
Ogni artista ha un approccio diverso con la materia. Sicuramente arrivano in Bottega animati da una grande curiosità e questo regala loro un grande vantaggio rispetto a quello che è il mondo della ceramica, che ha fatto sì che la tecnica prendesse il sopravvento sull’opera. Questo con gli artisti che arrivano nella bottega non accade, perché il nostro impegno è fornirgli tutti gli strumenti tecnici per lasciarli liberi di muoversi nei loro binari stilistici e concettuali.
Molte mostre costruite e realizzate nella Bottega sono passate attraverso gli spazi espositivi del MIC di Faenza. Che rapporto intercorre tra te, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza e il territorio?
Il rapporto con il MIC ha una storia lunga che risale al 1929, quando il mio prozio fece donazione di ceramiche futuriste. È un rapporto importante, per vicinanza, attitudine, cultura… Ho grande rispetto di quel museo, perché lì dentro sono rappresentate tutte le culture ceramiche di tutti i Paesi del mondo e di tutte le epoche.
Sento la fortuna di questo legame perché ho studiato lì dentro, il museo era per me e per noi studenti del Ballardini un’aula di storia della ceramica e oggi è fonte di ispirazione a solo un chilometro da casa. È inoltre meta d’obbligo che condivido con gli artisti che passano dalla bottega e con i quali lavoro. Il MIC rappresenta soprattutto una fonte enciclopedica concreta di cifre formali e pittoriche da cui attingere. Faccio un esempio: quando c’era da studiare e realizzare le grottesche con Pablo Echaurren, siamo andati insieme a vedere i centinaia di manufatti decorati a grottesche custoditi nel museo.
In una intervista Giosetta Fioroni dice di te che, con i tuoi suggerimenti, porti gli artisti dove sono le loro aspirazioni e che questa è la tua bravura. Tu cosa sei: un traduttore, interprete o mediatore delle esigenze degli artisti? Sei a disposizione degli artisti o dell’opera d’arte?
Rispetto al mio tipo di collaborazione, direi che non sono tutto quello che hai detto ma certamente il mio obiettivo è diventarlo. Con la squadra (due sorelle e sei collaboratori) accettiamo le sfide che si presentano ogni volta cercando di mettere a punto il rapporto linguaggio e materia che ci viene chiesto. Il sapere che nella Bottega mettiamo in campo deve essere al servizio dell’opera, non deve sopraffarla.
Questa apertura ha permesso a molti artisti di avventurarsi in questo campo, con il disappunto di troppa gente che ha equivocato il mio tipo di professione che mette a favore dell’arte un sapere millenario fatto di ricerca e sperimentazione. Personalmente sono dispiaciuto. Mettere a disposizione un sapere è un atto di umiltà a vantaggio di un mondo troppo spesso ripiegato su se stesso.
Jasmine Pignatelli
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