Il falò di Jannis Kounellis. Sulla Fòcara 2015
L'arte intesa come presentazione e non come rappresentazione. Il falò, interpretato nel suo significato ancestrale di rito pagano. Il fuoco come archè. Artribune ha intervistato Jannis Kounellis, protagonista della Fòcara di Novoli edizione 2015 che si è appena conclusa e che coniuga tradizione e arte contemporanea.
Jannis Kounellis (Pireo, 1936), greco ma ormai italiano di adozione, ha costruito per il più grande falò del Mediterraneo, la Fòcara di Novoli, un’installazione site specific all’interno della pira, fatta di pietre e ferro: uno scheletro dell’architettura agreste – fatta a sua volta di fascine di ulivo – che mette in luce la fattità del fuoco. In perfetta sintonia con i principi rivoluzionari e di rottura che sottendono l’arte povera.
Il fuoco come archè è un elemento ricorrente della sua poetica artistica. Come nasce questa fascinazione per il fattore primigenio per eccellenza?
Il fuoco, il falò, come quello di Cesare Pavese ne La luna e i falò, è pagano, ha radici antichissime, precedenti al significato religioso che gli diamo. E il falò parla in ogni lingua. Avevamo fatto una mostra in Italia dedicata ai quattro elementi [Fuoco Immagine Acqua Terra nel 1967 con Pino Pascali a L’Attico di Fabio Sargentini, N.d.R.] e avevo presentato il fuoco vivo nella Margherita di Fuoco.
A proposito della Fòcara di Novoli, rito ancestrale e religioso, è giusto secondo lei innestare l’arte contemporanea alla tradizione?
L’arte contemporanea non ha mai escluso la radice antica: è l’ultimo anello dell’antichità, come dimostra l’arte da Picasso a Mondrian, che non hanno negato la loro appartenenza, le loro radici.
Lei ha affermato che “l’artista non imita ma crea”: crede ancora nel valore della poiesis nell’arte contemporanea? E, in particolare, come ha ideato l’opera per il falò della Fòcara?
L’arte non è rappresentazione ma presentazione. Il fuoco “è”. Non è una rappresentazione. Poi bisogna vedere cos’è un artista. L’artista parla su un palcoscenico e mostra la sua idea di libertà e indipendenza. Ma non c’è una differenza tra la Fòcara e l’artista. Per la Fòcara sono intervenuto dall’interno: ho creato una croce fatta di pietre alla base del falò e delle travi che ho messo in tutto il perimetro.
Qual è il suo pensiero sulla funzione politica dell’arte, intesa come collegamento con ciò che riguarda la polis, la vita comunitaria?
L’arte è politica in quanto cultura.
Crede ancora nella valenza rivoluzionaria dell’Arte Povera?
Sì. Basta osservare l’attuale minimalismo cinese, che dall’Arte Povera trae ispirazione.
Cecilia Pavone
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