Le città? Sono tutte da ripensare
Dobbiamo far evolvere i centri urbani, ripensare le città. Dando uno sguardo in giro, vediamo che è in atto una modernizzazione degli habitat umani. Le persone sono cambiate, le abitudini e le esigenze di vita sono diverse. È necessario che il mondo intorno a noi si adegui. Mentre invece le città che oggi viviamo sono ancora basate su un modello abitativo diverso da quello che ci serve.
La società è evoluta. È aumentata l’età media, siamo più vecchi e malati; è diminuito il numero medio di componenti per nucleo familiare, siamo più soli, sparpagliati e meno ingombranti; sono cambiati i ritmi e gli stili lavorativi: il lavoro è in uno streaming continuo grazie al digitale, si è sempre in servizio e sono venuti meno i poli “manifatturieri” in senso estensivo, non si lavora più solo in un luogo e sempre nello stesso. Il modello di città a cui siamo abituati non ci soddisfa più.
Servono città diffuse con servizi distribuiti sul territorio, nuove forme di viabilità e mobilità. La “cura del ferro” – su cui al massimo si spinge l’Italia nella sua progettualità – è già vecchia di decenni. L’Italia forse soffre ancor più di altri Paesi l’avvicendarsi di tali fenomeni socio-evolutivi. Da una parte perché il tasso di natalità è più basso che altrove e l’immigrazione non è così alta da compensarlo. Dall’altra perché la crisi occupazionale mette sempre più persone sul mercato: ci si muove di più, si fanno più lavori contemporaneamente e si cambiano di frequente. Cosicché aumenta la domanda e la personalizzazione di servizi alla persona. Queste hanno bisogno di muoversi, scambiare, incontrare, ricevere.
Certo l’Italia è fatta di città d’arte, aggregati urbani pensati e costruiti centinaia di anni fa per altre esigenze, per altri numeri: pochi abitanti, tanti spostamenti ma lenti e di pochi veicoli. Noi già ci abbiamo fatto passare le auto, inserito fabbriche e grandi macchinari, aumentato le densità abitative, fatto crescere verso l’alto palazzi e quartieri. Oggi lo strumento dell’affollamento non è più sufficiente, abbiamo bisogno di ripensare il territorio, di progettare servizi intorno alle persone che non si vogliono muovere: perché sono anziane e non ce la fanno, perché sono giovani e fanno mille lavori tutti da una stessa sedia.
Tante città stanno guardando avanti, una per tutte Torino, con il coraggio di buttare giù ciò che non funziona più, con l’ardire di ridestinare. Ma sono ancora troppe le città che non riescono a muovere un sasso, chiuse nelle certezze date dalla storia, dai monumenti, rassicurate dalle scelte di chi li ha preceduti, dai fondatori.
Senza arrivare agli eccessi del fascismo, che in nome dell’innovazione ha cancellato secoli di memoria, bisogna rispondere al nostro presente, partendo dal passato, immaginando il futuro.
Fabio Severino
project manager dell’osservatorio sulla cultura
università la sapienza e swg
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #21
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati