Mr. Turner. Mike Leigh fra nomination e presentazione ad Artefiera
Il progetto di un film su Joseph Mallord William Turner è rimasto sospeso per un bel po’ prima che Mike Leigh, tra i massimi esponenti del realismo inglese contemporaneo, ne potesse arrivare alla realizzazione. Il risultato è stato una sorpresa non solo per gli addetti ai lavori di Cannes, dove ha concorso per la Palma d’Oro, ma anche per il pubblico generico dei cinema e per i critici di mezzo mondo.
La responsabilità di raccontare la vita di un pilastro della storia dell’arte poteva facilmente scivolare nell’agiografia tout court, tipica dei biopic in genere. Non per Mike Leigh che, dribblata la maniera, ha “inventato” l’onestà narrativa per un genere a cui è di solito estranea, riportando sullo schermo la biografia di un uomo realmente esistito, che studiamo nei libri e di cui non si può certo dire che fosse uno stinco di santo.
Leigh ha alle spalle altri due film storici in costume, Topsy-Turvy e Il segreto di Vera Drake. Nel primo caso si trattava pure di artisti, ma William Turner rappresenta il lato opposto della medaglia. Nonostante l’eccentricità, il pittore di Leigh porta con sé un costante senso di gravità, una consapevolezza diversa dai personaggi delle opere precedenti. Quella che il regista mette in scena in Turner (il titolo italiano, chissà perché, perde il “Mr.”) è la paradossale dicotomia di un essere “imperfetto e vulnerabile, inaffidabile e a volte rozzo, falso, egoista e cattivo”, che riuscì però a cogliere ed esprimere il sublime della natura. Questo fulcro trascendente è la genialità del film e il suo fascino irresistibile.
Accompagnato nel viaggio dal suo attore feticcio Timothy Spall, Leigh trascina lo spettatore non solo in un’altra epoca, ma nella mente del protagonista, nei suoi occhi, nel suo modo di vedere. Supportato da uno dei suoi collaboratori di lunga data, il fotografo Dick Pope (candidato nella specialità ai Bafta e agli Oscar 2015), fa un uso del digitale davvero pittorico, colmando la distanza fra la tela e la pellicola cinematografica classica. Prende allora vita sullo schermo un tripudio di giallo/dorati, di controluce polverosi e di schiume biancastre, di moti ondosi e di caldi, vaghi tramonti. I costumi, straordinari pure quelli, portano la firma di Jacqueline Durrane (anche lei candidata, fra gli altri, ai Bafta e agli Oscar).
Il tutto senza rispettare una precisa scaletta, col preciso intento di evadere la didascalia scolastica, ma seguendo un ritmo privo d’indicazioni e spiegazioni, che non narra le vicende di un eroe, ma attinge ad aneddoti di una vita comune, di fatti intimi e silenziosi, di qualche caustica affermazione del nostro protagonista girovago, amante dell’acqua e della natura. Un uomo capace a stento di parlare, il cui verso più ricorrente è una specie di grugnito (esemplare la scena in cui il padre-assistente fa prima la barba alla testa del porco da cucinare e subito dopo a Turner), che “si sbatte” la governante e si fa una doppia vita con una locandiera vedova. Piccoli fatti meschini di cui tutti – scagli la prima pietra chi non ha mai peccato – siamo colpevoli.
Fra tutte le digressioni, due risaltano su tutte: il divertente episodio dell’affronto ai “rossi” di Constable, dove una pennellata/macchia si trasforma in una boa marina grazie alla maestria dell’artista (è il caso di Helvoetsluys) e quando, per dipingere una tempesta, il protagonista si fa legare all’albero maestro di un veliero. Poetico l’interesse di Turner per la scienza, che acquista, calata all’epoca della storia, quasi una veste magica: che siano le proprietà magnetiche della luce violetta, piuttosto che le idee sulla fotografia nascente o l’osservazione delle rivoluzioni dell’industria e dei trasporti (ispirazione di Rain, Steam and Speed).
Ma sopra ogni cosa risplende, e mai termine fu più adatto, la genesi delle opere, un tema affrontato di recente, anche se in maniera diversa, da Wenders con Salgado. Chi sa in che circostanze sono nati Snow Storm – Steam-boat off a Harbour’s Mouth, Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying – Typhoon coming on o il suo più famoso The Fighting Temeraire? Chi può immaginare cosa c’è all’origine di un’ispirazione, che Death on a Pale Horse, per esempio, è la commistione emotiva tra la morte del padre dell’artista e la visita a un bordello? Dove si assiste alla spettacolarizzazione del processo creativo (Staffa, Fingal’s Cave) e poi alla sua ridicolizzazione in un teatro popolare londinese, in cui l’opera “informe” di Turner viene sbeffeggiata, si affronta un’altra rilevante questione: quella, sempre dolorosa per un’artista, della sua condizione di visionario e anticipatore dei tempi, per questo spesso incompreso e disprezzato dai coevi, anche quando di stirpe reale.
Così si giunge all’epilogo di un racconto che copre un quarto di secolo. Mr. Turner è dell’essenza stessa del cinema: disegnato con la luce e con le ombre, con il bene e con il male. È lo specchio dell’uomo e dell’artista, in cui anche noi , a volte, ci riflettiamo. In quei 150 minuti del film “giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua”.
Federica Polidoro
Mike Leigh presenterà “Mr. Turner” in anteprima nazionale ad ArteFiera a Bologna il 25 gennaio.
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