Omaggio a Elisabetta Catalano. Il ricordo di Marco Delogu
A dieci giorni dalla scomparsa della grande artista e fotografa Elisabetta Catalano, il ricordo di Marco Delogu. Una memoria capitolina, da parte di un collega che offre un assist alla città di Roma: preparare una retrospettiva al più presto.
Elisabetta Catalano era un personaggio chiave della scena dell’arte romana. Aveva una curiosità fortissima e amava vedere le mostre, parlare con gli artisti e con gli scrittori, invitarli a cena e metterli sempre al centro della conversazione. Più che con il mondo del cinema, io l’ho sempre identificata per il suo interesse per le arti visive e la letteratura. Fabio Mauri e Alberto Moravia sono le prime icone che mi vengono in mente quando penso a lei, anche se il mio ritratto preferito rimane sempre quello di Cesare Tacchi.
Conobbi Elisabetta nei primi Anni Novanta; aveva appena fatto la sua retrospettiva alla GNAM e ricordo la doppia pagina che, a firma di Enzo Siciliano, La Repubblica le dedicò. Ricordo molto di lei: il suo studio di piazza SS. Apostoli, la casa di piazza Margana con la bellissima terrazza, e poi Capalbio. Elisabetta aveva una fisicità inconfondibile, era unica e bellissima. Nei primi Anni Novanta frequentavo Mario Schifano, che voleva che gli insegnassi a usare la polaroid 20×25 cm (non aveva pazienza e rinunciò subito); venuta a sapere ciò, Elisabetta mi invitò a cena con Gino de Dominicis perché anche lui voleva usare la polaroid di grande formato: stessa fine, zero pazienza.
Da quegli anni in poi ho sempre visto Elisabetta, e sempre insieme al suo Aldo. Lei mi chiedeva consigli su come fare un sito Internet, su nuove forme di distribuzione e molto altro. Io la ascoltavo raccontare i suoi incontri. Credo che ora gli vada tolta quell’identificazione con il mondo dei salotti romani che ha soltanto gettato una leggera polvere sul suo lavoro: Elisabetta era un’artista vera calata sempre nel suo mondo di scrittori e artisti, di cui conosceva ogni singolo lavoro.
Parlando con Laura Cherubini dopo aver appreso la tristissima notizia della sua improvvisa morte, discutevamo dell’arte di Elisabetta per il ritratto e Laura mi ha improvvisamente acceso una grande luce, raccontandomi di varie conversazioni dove Elisabetta le raccontava di ritratti scattati a persone non famose, del suo amore totale per il ritratto. È questo che voglio inseguire ora, la sua doppia appartenenza: la prima è quella con la scena culturale della quale Elisabetta era una doppia protagonista, e la seconda è quella del suo amore incondizionato per il ritratto di una scena più anonima che lei metteva insieme senza gerarchie.
Potrei scrivere pagine e pagine, ma finisco ricordando due cose: la fotografia di Pasolini e Laura Betti (copertina del libro di Emanuele Trevi) così bella in tutto, così perfetta e descrittiva dei caratteri dei due soggetti, sintesi del lungo lavoro di Elisabetta di tenere amicizia e interesse per tutto il suo mondo, da Pasolini a Trevi (anche questa fotografia si poteva realizzare solo in virtù di un’appartenenza a quel mondo, e sappiamo tutti come la Betti fosse complessa); la seconda è la grande apertura che Elisabetta ha sempre avuto nei miei confronti: sempre parole di incoraggiamento e sempre critiche vere e profonde al mio lavoro sia come fotografo e sia come curatore.
Sono passati oltre vent’anni dalla mostra alla GNAM e credo che Elisabetta meriti ora, sotto l’occhio attento e colto di Laura Cherubini, una nuova grande mostra, testimone di una grande stagione di Roma fatta da personaggi noti e meno noti: questo catalogo la città e il mondo della cultura devono fare propri.
Marco Delogu
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati