Danno e beffa a Roma. Riflessioni sui tagli alla cultura di Ignazio Marino
Si avvicina la discussione del bilancio 2015 del Comune di Roma. Ignazio Marino è stato in gamba rispetto al suo predecessore, che approvava il bilancio dell'anno quando l'anno stava per finire. Ma al di là della forma, preoccupano i contenuti. E fa rabbia scoprire perché la città è costretta a tagliare la cultura.
-27%. Cifra più che rotonda. Eloquente. Chiara, netta e, chissà, forse definitiva. È l’ennesimo taglio al bilancio culturale della città di Roma che la Giunta di Ignazio Marino ha proposto per il 2015. Si tratta del terzo taglio consecutivo nell’ambito di una china che è iniziata, inesorabile, già dai tempi di Alemanno sindaco. La capitale del Paese sta di fatto rinunciando a una programmazione culturale minimamente confrontabile con quella delle altre capitali europee e occidentali. Il terzo taglio consecutivo, dicevamo, che porta il bilancio culturale della città – oggi affidato alle cure dell’assessore tecnico (probabilmente nessun politico sarebbe stato in grado di accettare tanto senza veder eroso il proprio consenso) Giovanna Marinelli – a una cifra che la metà di quella del 2012.
E già si ipotizzano i cespiti sui quali i tagli si abbatteranno, fermo restando che sforbiciate di questa entità non lasciano intonso neppure un museo, neppure un’istituzione. E così si taglia il già sofferentissimo Palazzo delle Esposizioni, si tagliano le manifestazioni sui territori e in periferia, si preannuncia che l’Estate Romana potrà svolgersi solo grazie ai privati (fosse poi Roma una città che facilita – per burocrazie e inefficienze – gli investimenti di quella natura), si prevedono oltre un milione di euro di ammanchi anche per un fiore all’occhiello della città come le biblioteche comunali, mentre cosucce come il Macro, la Pelanda, il Museo Bilotti non hanno neppure più nulla da farsi tagliare, avendo bilanci di fatto azzerati da anni.
Quel che più fa rabbia però non sono i tagli in sé (sono stati una storia europea, con poche eccezioni), non è neppure la constatazione di un’amministrazione totalmente disinteressata a percorrere l’unica possibile strada di riscatto internazionale e turistico della città. Quel che più fa rabbia è accorgersi del motivo per cui questi tagli si rendono assolutamente necessari. Il motivo è che Roma e chi l’amministra, da decenni decide di lasciare denari – tanti denari – nelle tasche di potentati, lobbies, gruppi di pressione e di potere, racket e autentiche mafie. Dal commercio ambulante ai tavolini all’aperto, dai parcheggi interrati alla trasformazione urbana, dal patrimonio immobiliare comunale alle sanzioni per chi commette infrazioni, dallo scandalo affittopoli alle regalìe per chi gestisce la gallina delle uova d’oro degli stabilimenti balneari di Ostia: centinaia e centinaia di milioni ogni anno vengono trascurati, si preferisce non andarli a prendere per non pestare i piedi a quello o a questo. È un patto criminale non scritto e ormai assurto a sistema immodificabile di governo della città: a valle di questo patto i tagli sono inevitabili e anzi fanno parte del gioco. In definitiva la città nei suoi spazi comuni e nei suoi servizi pubblici (la cultura tra questi) muore. Muore non solo la città in sé, ma lo stesso concetto di città. Scompare. Ci si ritrova in un assemblaggio (peraltro disordinato e neppure in modo divertente) di case, strade e persone che è altro da ciò che si definisce comunemente città. E non si parli di Far West perché lì almeno c’è lo sceriffo e di tanto in tanto agisce. Qui lo sceriffo sta dalla parte di chi usurpa, specula, depaupera, imbroglia e ruba. Tutt’al più fa finta di non vedere o si dà malato.
Basti pensare – ma sia chiaro, trattasi ahinoi solo un esempio tra mille – che la cifra tagliata quest’anno alla cultura equivale alla cifra che si potrebbe ricavare se si riqualificasse e si riformasse con durezza il famigerato scandalo del settore della cartellonistica a Roma. Un caso più unico che raro a livello globale che, grazie a una mala gestione operata per decenni connivenza con le lobbies, dà come duplice risultato un mancato introito per le casse della città e un paesaggio – anche in aree di pregio artistico e architettonico – deturpato a livelli difficili da raccontare e da commentare. A Roma non basta il danno di perdere soldi, si assomma anche la beffa di una città imbruttita da un mix atroce di ignoranza&camorra dove, proprio per conseguenza della bruttezza, mancano poi a valle le risorse per produrre bellezza e cultura.
Vogliamo terminare con un altro esempio? I trasporti pubblici: quest’anno l’unica voce di budget in crescita sarà quella dell’assessorato alla mobilità. 40 milioni in più che andranno girati quasi tutti ad Atac, l’azienda che gestisce bus, tram e metro dove molti viaggiano e pochi pagano, con conseguente buco di bilancio cronico. Si conteggiano 120 milioni di evasione. Cosa succede? La città la tollera, decide di non reprimerla, successivamente toglie soldi alla cultura, li dà alla mobilità per tappare quella falla che ha permesso si creasse. E così chi usa la metropolitana saltando il tornello (giusto per citare una delle recenti inchieste che ha avuto visibilità nazionale grazie a Striscia la Notizia) non fa che sottrarre al cittadino che paga regolarmente la chance di fruire di una vita culturale piena. Ed è grave che in primis i cittadini onesti siano totalmente indulgenti verso chi, de facto, li deruba. Legittimando tra l’altro l’indulgenza dell’amministrazione. Rileggete la cifra summenzionata: 120 milioni l’anno. Più del doppio dell’intero budget culturale della città. Solo di biglietti evasi su tram, bus e metro. Dunque, davvero mancano le risorse?
È del tutto evidente, in definitiva, che basterebbe correggere queste storture per fare di Roma una città ricca, con conti in ordine, con risorse da investire dove ha senso investirle (e dove, se non nel comparto culturale?). Si preferisce invece assestare la vita cittadina su altri parametri: una tassazione da Svezia e in cambio dei servizi da Burkina Faso. Ivi compresi i servizi culturali che, non dimentichiamolo, devono essere considerati servizi di base esattamente come l’asilo nido o l’assistenza agli anziani, fra l’altro tagliati anche loro.
Un tema forse più adatto a essere sviscerato da un cazzutissimo commissario governativo che da un sindaco…
Massimiliano Tonelli
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