Inchiesta Art Brut. Intervista con Barbara Safarova di abcd
abcd art brut, associazione fondata nel 1999 dal regista Bruno Decharme per rendere accessibile al pubblico la sua collezione privata, non è né un museo (non ancora) né una galleria. È un gruppo di ricerca con base a Montreuil, uno spazio espositivo a Parigi e un’organizzazione gemella a Praga. Le sue attività, che includono mostre, seminari, libri e documentari, sono tutte dedicate alla “conoscenza e diffusione dell’art brut”, come anticipa l’acronimo e come ci spiega Barbara Safarova, direttrice di abcd Paris.
Tutto è cominciato a partire dalla collezione del regista Bruno Decharme. Ci racconta come sono andate le cose?
Di fatto, abcd è il nome di un gruppo di ricerca – in francese, “association” – che sta per “art brut diffusion & connaissance”: il suo scopo sono la diffusione e la conoscenza dell’art brut. Non siamo un museo ma una specie di laboratorio di idee, o think tank, dedicato alla scoperta e allo studio delle opere di art brut per mezzo di conferenze, lezioni, mostre, pubblicazioni e produzione audiovisiva (documentari). È stato Bruno Decharme, regista e collezionista francese, a fondare abcd nel 1999, parallelamente alla prima grande mostra della sua collezione – Folies de la Beauté, a Isle-sur-la-Sorgue, nel sud della Francia. Da allora abbiamo curato decine di mostre, sia in Francia che all’estero, pubblicato cataloghi e libri, prodotto oltre quindici cortometraggi-documentari dedicati agli artisti e un lungometraggio, Rouge Ciel. An Essay on Art Brut.
Quanto tempo avete impiegato per passare dalle parole ai fatti?
Siamo una piccola organizzazione, i nostri collaboratori sono in ampia parte volontari e da ciò derivano certi vantaggi, per esempio la flessibilità. Se ci piace un progetto, possiamo realizzarlo molto in fretta. Far diventare abcd una realtà non ha richiesto molto tempo: l’associazione è stata creata alcune settimane dopo aver preso la decisione. Detto questo, i collaboratori non possono farsi sostituire. Non siamo un museo: un lavoro del genere richiederebbe tutt’altro supporto logistico e investimenti. La collezione viaggia e viene esibita grazie alle attività dell’associazione – anche se il sogno nel cassetto è proprio quello di farla diventare un museo, in Francia o all’estero.
Da quanti pezzi è costituita la collezione? Può dirci qualcosa sul modo in cui selezionate i nuovi lavori?
La collezione conta più di 4mila pezzi che arrivano da tutto il mondo. L’opera più antica risale al 1867, anche se si arricchisce quasi quotidianamente di nuovi lavori realizzati da artisti viventi. Include opere di creatori già collezionati da Dubuffet, come Aloïse Corbaz, Adolf Wölfli, Janko Domsic, Miguel Hernandez, Guillaume Pujolle, Jeanne Tripier, Auguste Forestier. Bruno Decharme, tuttavia, ha la sua idea di art brut: i lavori che gli interessano di più sono quelli in cui vegono proposti dei sistemi mentali, dei modi diversi di organizzare l’universo. Penso alle opere di George Widener, Lubos Plny, Horst Ademeit, Zdenek Kosek. Bruno è il solo a decidere quali opere entreranno a far parte della collezione. Non abbiamo nessuna lista di criteri sociologici o estetici da applicare per la selezione del lavoro.
L’associazione ha varie sedi: una a Parigi, una a Montreuil, una a Praga. Ci spiega come funzionano?
La base operativa è a Montreuil: lo spazio di cui disponiamo, lì, è dedicato alle mostre più piccole, spesso monografiche, in genere per lavori nuovi di artisti già conosciuti. Occasionalmente organizziamo anche conferenze, seminari e dibattiti dedicati all’art brut; abcd Prague è un’organizzazione gemella, creata per allestire la prima mostra della nostra collezione a Praga, presso la City Gallery. Da allora, sotto la direzione di Terezie Zemankova, abcd Prague ha sviluppato le sue attività e organizzato una serie di mostre importanti: una selezione di lavori dalla collezione Prinzhorn, la prima personale di Adolf Wölfli con un importante catalogo sia in ceco che in inglese, una mostra di artisti giapponesi intitolata Art Brut from Japan, e una serie di monografiche più piccole (Lubos Plny, Anna Zemankova, Karel Havlicek). In questo momento stiamo lavorando insieme per preparare la mostra Art Brut Live, che si terrà la primavera prossima a Praga presso il DOX [museo di arte contemporanea inaugurato nel 2008, N.d.R.].
Risposta del pubblico: avete notato differenze tra Parigi e Praga?
Rispetto al pubblico francese, quello ceco ha meno conoscenza storica sul tema – anche se i surrealisti cechi erano molto interessati all’art brut, e infatti c’è un’importante collezione di opere di medium raccolta dal regista e artista surrealista Jan Svankmajer. Il pubblico comunque dimostra grande interesse: in termini di affluenza di pubblico, la prima mostra della nostra collezione realizzata a Praga presso la City Gallery ha superato tutte quelle precedenti, sia di arte moderna che contemporanea.
Rispetto alla sua formazione (filosofica con un dottorato in estetica), quali sono gli aspetti dell’Art Brut che le interessa maggiormente indagare attraverso l’attività seminariale di abcd Paris?
I seminari di cui sono responsabile sono organizzati in collaborazione con il Collège International de Philosophie, un’istituzione interdisciplinare che propone dibattiti su qualsiasi argomento – politico, scientifico, sociale – indagandolo dal punto di vista filosofico. L’art brut si addice a questa impostazione, perché se si dovesse analizzare dal punto di vista di una sola disciplina, per esempio la storia dell’arte, ne deriverebbe un discorso limitato. Ogni ciclo di seminari si concentra su un aspetto o tema specifico: il collezionismo, l’inclusione di lavori provenienti da contesti geografici e culturali diversi, la curatela, le questioni etiche, ecc. Rispetto al mio punto di vista, estetico-filosofico, cerco sempre di invitare persone che saranno in grado di arricchirlo: curatori, psicoanalisti, scrittori, storici dell’arte, artisti.
Outsider Art e Art Brut: qual è, per il vostro gruppo di ricerca, la differenza tra i due termini e perché preferite usare le iniziali minuscole?
Non usiamo mai la parola “outsider art” in riferimento alla nostra collezione: è un termine che ha finito per indicare un campo molto più ampio dell’art brut, e include anche le opere degli artisti autodidatti che vivono ai margini della scena culturale. Noi invece siamo concentrati sull’art brut, che però non consideriamo né come una categoria storica né come una lista di criteri a cui un artista debba necessariamente corrispondere (da cui le minuscole). La nostra definizione della parola è stata plasmata dai lavori presenti nella collezione. Lo usiamo come concetto-guida per guardare a nuove direzioni e territori creativi.
Ci parla del materiale audiovisivo prodotto da abcd, cui è dedicata un’ampia sezione del sito?
La produzione di film fa da sempre parte delle nostre attività. Io ho lavorato come produttrice cinematografica per oltre vent’anni, Bruno è un regista. Abbiamo realizzato documentari non solo sull’art brut, ma anche sulla musica sufi in Pakistan e su quella gitana nell’Europa dell’Est. Fare film sull’art brut è un modo per riflettere sulle opere, conoscere i loro creatori, comprendere meglio il loro universo, il modo in cui concepiscono l’atto creativo. È importante che il pubblico capisca che questi lavori derivano da un impulso che non ha niente a che vedere con l’opera d’arte per come normalmente la intendiamo.
Sara Boggio
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