La morte non è nel non poter comunicare,
ma nel non poter più essere compresi.
Pier Paolo Pasolini
…l’ho intitolato “L’umano e l’androide, un contrasto tra
la persona autentica e la macchina riflessa”,
ma avrei potuto sottotitolarlo “Un incontro con la realtà”.
Philip K. Dick
Il nuovo secolo richiede evidentemente esseri fatti così: disumani. Androidi.
Persone-non persone che coltivano finzioni di sentimenti e di emozioni. Che coltivano la superficialità, che coltivano con pervicacia un’esistenza superficiale: è richiesto, l’efficienza lo richiede. Non c’è spazio per la profondità, tantomeno per la cultura o la critica: sono tutte scocciature, fonti di irritazione. Inutili – neanche dannose.
E noi siamo, da questo punto di vista, creature evidentemente deformi, mostruose, depravate e storte: nel nostro ostinarci triste a scavare in una forma di esistenza che non ha più ragione d’essere, a scavare dimensioni che non servono più a nessuno e linguaggi che non parla né comprende più nessuno. L’imbarbarimento culturale che stiamo sperimentando già da parecchio tempo è l’incapacità mentale, sempre più diffusa, di concentrarsi su un problema, su un fenomeno, di confrontare i diversi punti di vista su di esso – di ammettere intanto che esistano diversi punti di vista, che essi possano esistere – e di discuterli a partire da una propria, formata, motivata, elaborata posizione.
La disabitudine alla complessità. L’ostilità feroce alla possibilità di lasciarsi trasformare dagli oggetti culturali e ancor più dalle idee – che cosa di maggiormente ineffabile, inafferrabile eppure potente? –, di lasciarsi cambiare internamente; alla possibilità che la nostra identità personale, e persino quella collettiva, non siano monolitiche, date una volta per tutte e immobili, ma soggette a continuo cambiamento.
Stranamente – ma neanche tanto, poi, se ci pensiamo – Pier Paolo Pasolini e Philip K. Dick percepirono, nello stesso momento (la prima metà degli Anni Settanta) questo avvento, l’arrivo di questa forma di vita inedita e spaventosa: l’invasione degli androidi, degli umanoidi. Per entrambi, in modi diversi, questa percezione ha assunto la forma della divinazione (divina invasione), della premonizione, della prefigurazione: per Dick un’invasione mistica molto letterale, che modificò radicalmente la sua interpretazione della realtà circostante; per Pasolini, lo sprofondare nel territorio mitico e mitografico intravvedendo la nuova barbarie. La neo-preistoria che arrivava – che era già lì: “Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. Scrivo ‘Potere’ con la P maiuscola […] solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. […] L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti ‘moderati’, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una ‘mutazione’ della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma ‘totale’ di fascismo” (Pasolini, 24 giugno 1974. Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, sul “Corriere della Sera” con il titolo il Potere senza volto, pubblicato anche in Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975).
Allora, negli Anni Settanta, gli androidi erano forse minoranza; oggi sono indubbiamente maggioranza. E in tutti i modi stanno dicendo a noi, stanno cercando di far capire a noi la nostra mostruosità, la nostra inadeguatezza al nuovo mondo apparato e predisposto. Come nel romanzo di Richard Matheson da leggere e rileggere, Io sono leggenda (1954: un’altra premonizione), noi siamo i vampiri, noi siamo i mostri da eliminare e da rimuovere.
Noi dovremmo fare la cortesia di estinguerci, possibilmente in silenzio.
Essi vivono. Essi dominano. Essi conducono il mondo – un mondo di ferro: “Tu devi divertirti. Non esiste altro. Siamo divertiti e felici di essere dei barbari: la abbiamo costruita pezzo per pezzo, con fatica, a una velocità prodigiosa, questa barbarie, questa civiltà. È bella. È artificiale e naturale al tempo stesso”, dice lo Zio Bubba al protagonista di Fine Impero di Giuseppe Genna.
Christian Caliandro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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