Quattro tesi sulla critica. Quelle di Michele Dantini
È possibile coniugare connoisseurship e critica sociale, filologia e politica? È la domanda che attraversa oggi l’intero ambito della teoria culturale. Come si fa critica d’arte? Come si costruiscono un assenso e un dissenso perspicaci, e si produce un’effettiva conoscenza?
Con “connoisseurship” intendo una competenza visiva esperta e specifica. In assenza di connoisseurship prevale la chiacchiera sociologica, la glossa dottrinaria, il commento alla poetica (o meglio la sua parafrasi). Questa è la prima tesi. Una rosa è una rosa è una rosa: cioè un’immagine che ci “parla” al modo delle immagini, attraverso dettagli visuali. Dovremmo saperlo, ma per lo più non lo sappiamo. Nell’avvicinarci a un’opera d’arte occorre quindi prepararsi a reagire con prontezza a tutto ciò che, nell’immagine, è inatteso, smisurato, iperindividuale. Tutto ciò che eccede o perfino smentisce le dichiarazioni d’intenti o i punti di vista ragionati. In breve: tenersi alla larga dalle “generalità” manualistiche e affidarsi alla “memoria involontaria”.
Con “critica sociale” intendo la capacità di sintesi e riduzione. Se facciamo critica sociale significa che abbiamo scelto di abbandonare il piano della pedissequità e della cronaca culturale. Questa è la seconda tesi. Non vogliamo occuparci (nell’occasione almeno) di singoli artisti o di singole opere ma adottare prospettive “sistemiche”. E discutere criticamente, con attitudini distaccate, il mondo della produzione artistica contemporanea, le politiche di marketing, il mecenatismo, i viscosi vincoli di fedeltà interni alle tribù.
Terza tesi. Il critico-interprete (o meglio il critico-scrittore: cioè il critico tout court) alterna o intreccia connoisseurship e critica sociale. Non è al servizio dell’artista, del gallerista, dell’amministrazione locale o del museo. Non ha cioè l’obbligo di essere “complice” – la citazione è da Celant – né si presta al calloso rituale della promozione. Zelo, devozione e professionismo corporate uccidono l’acutezza e impongono reticenza. Possiamo certo batterci per questa o quell’opera, questo o quell’artista, ma solo sul presupposto della nostra intima convinzione e attraverso la chiaroveggente perspicuità della nostra scrittura. Questa dev’essere libera. Ripeto: libera.
Quarta tesi, ultima e decisiva. Il destinatario della critica non è l’artista. È invece il pubblico inteso in senso normativo, la comunità di cittadini non specialisti che chiede e attende di essere documentata per poter valutare.
Così intesa la critica è un’arte esatta, una forma di letteratura non-fiction; e insieme il riconoscimento di un diritto che vale per l’umanità in generale.
Michele Dantini
docente universitario, critico e scrittore
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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