Alberto Burri. Il trauma della pittura al Guggenheim di New York
Dal 9 ottobre, al Solomon R. Guggenheim Museum di New York sarà possibile visitare la più prestigiosa retrospettiva degli ultimi trentacinque anni dedicata all’artista umbro. Uno degli omaggi maggiormente significativi, nel centenario della sua nascita.
L’Europa, attraverso il Parlamento Europeo, ha reso omaggio ad Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) nel centenario della sua nascita il 28 gennaio alle ore 13, in una sessione in cui sono intervenuti, insieme ai parlamentari dell’Unione, l’ambasciatore italiano e i vertici della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Il Parlamento Europeo si è fatto promotore di una mostra dedicata a Burri, inaugurata proprio il 28 gennaio nella sede del congresso europeo. Dieci le opere esposte, appartenenti a Oro e Nero, creato da Alberto Burri nel 1993 per la donazione alla Galleria degli Uffizi di Firenze avvenuta nel 1994.
Nel frattempo, a New York, Alberto Burri: The Trauma of Painting si preannuncia come la maggiore retrospettiva dedicata all’artista negli Stati Uniti da oltre trentacinque anni. Tra Catrami, Muffe, Gobbi, Bianchi, Legni, Ferri, Combustioni plastiche, Cretti e lavori su Cellotex, la mostra intende riposizionare il ruolo di Burri fra gli artisti del dopoguerra italiano ed europeo. Artribune ha intervistato la curatrice, Emily Braun, distinguished professor della CUNY – City University of New York.
Perché intitolare The Trauma of Painting la mostra per il centenario di Alberto Burri?
Burri è emerso all’inizio dell’arte del dopoguerra europeo. Come parte della sua professione di medico, si confronta con lesioni e ferite. Per di più viene catturato nella campagna nordafricana e fatto prigioniero di guerra negli Stati Uniti. Sofferenza e sconfitte, quindi, fanno parte della sua formazione.
Sin dagli inizi, i critici di Burri notano nella sua iconografia povertà e ferite. Burri infatti esprime il trauma sia fisico che emotivo dell’Italia del dopoguerra proprio nell’utilizzo radicale dei materiali semplici e bistrattati. Allo stesso modo, le convenzioni pittoriche come il supporto e lo sfondo sono traumatizzate come parte dell’obiettivo artistico.
Come e quanto il pubblico americano recepisce e conosce la storia di Burri? È solo materia per collezionisti e addetti ai lavori?
Nonostante Burri e il suo lavoro non siano così familiari al pubblico americano come possono essere altri artisti del dopoguerra europeo come Giacometti e Dubuffet, Burri è decisamente noto a storici d’arte, curatori e pubblico generale. Infatti, agli inizi degli Anni Cinquanta, il giovane Burri espone proprio negli Stati Uniti con mostre collettive e personali tra musei e gallerie private, dove ottiene un immediato riconoscimento. Burri e Fontana sono stati, tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, gli artisti italiani maggiormente riconosciuti, non solo in patria. La loro fama è stata poi eclissata, in certa misura, da una nuova generazione di artisti, quelli dell’Arte Povera. Ma la storia dell’arte è ciclica e adesso la ruota è girata ancora a favore di Burri.
Quali sono, a suo avviso, gli aspetti maggiormente pionieristici nelle modalità compositive di Burri? E come emergono nel percorso di The Trauma of Painting?
È in qualche modo fuorviante categorizzare Burri nell’Informale; e, benché lo anticipi, non può essere annoverato fra i Neodada. Burri mantiene una posizione singolare, si può dire a se stante. La posizione singolare di Burri emerge dal modo in cui lavorava, diventando ispirazione per molti altri artisti non solo del suo tempo, secondo modalità che si confrontano con materiali, processi e iconografie singolari.
La mostra e il catalogo includono una nuova ricerca organizzata sul lavoro di altri studiosi di Burri come Villa, Sweeney, Argan, Trucchi, Brandi, Calvesi, Corà, e della curatrice della Fondazione Burri, Chiara Sarteanesi. La mostra si propone di esaminare non solo l’utilizzo dei materiali, iconografie e processi artistici dell’artista dai Sacchi ai Monocromi, ma anche di contestualizzare Burri approfonditamente nella storia del Modernismo. Il nostro team include Carol Stringari, deputy director e chief conservator del Solomon R. Guggenheim Museum. Insieme stiamo analizzando, per la prima volta, come Burri costruisse le superfici e quali materiali specifici impiegasse – componenti essenziali per capire la sua precocità e importanza nel contesto internazionale.
The Trauma of Painting è una delle retrospettive più complete mai organizzate su Burri. Quali serie di lavori esporrete?
In questa retrospettiva, che occuperà l’intera Rotunda di Frank Lloyd Wright, verranno incluse le serie principali di Burri, dai Catrami ai Nero su Nero Cellotex. Inoltre, abbiamo commissionato un documentario speciale sul Cretto di Gibellina, documentario che verrà proiettato nel percorso espositivo.
Sarà un’ampia rassegna che coprirà gli anni dell’intera carriera dell’artista, includendo tutte le tipologie di supporti espressivi utilizzati. Forse potrà non essere considerata come la più comprensiva (ad esempio, abbiamo deciso di non includere i disegni, le grafiche, il teatro e le sculture), ma risulterà come uno studio dettagliato dell’opera di Burri, che usufruirà di una larga rete interpretativa di esperti.
Da quanto tempo state studiando e analizzando gli archivi e i documenti conservati a Città di Castello? Ne è emerso qualche ritrovamento inaspettato?
Abbiamo iniziato a lavorare a questa mostra più di tre anni fa. Personalmente ho compiuto numerose visite alla Fondazione Burri, Palazzo Albizzini, e mi ritengo molto fortunata ad avere il pieno supporto del suo board, sia del suo attuale presidente Bruno Corà, sia del suo predecessore Maurizio Calvesi. Inoltre, siamo stati ampiamente assistiti dalla curatrice della Collezione, Chiara Sarteanesi, e da tutto lo staff della Fondazione.
Sono rimasta totalmente colpita dalla bellezza, degna di nota, della Collezione e dalle modalità secondo le quali Burri si dedicava a ogni dettaglio, curando nei particolari gli spazi dei musei. Rappresentano elementi utili a comprendere come un determinato artista percepisse le proprie opere e il loro sviluppo. Ad esempio, i lavori della serie dei Nero su Nero Cellotex, stagliati sulle pareti nere dell’Essiccatoio, sono stati per me una rivelazione. Sono rimasta colpita anche dalla completezza della sua biblioteca e dall’archivio, da come ogni libro, catalogo, edizione, volume di saggistica e articoli di giornale siano stati perfettamente archiviati. In aggiunta al lavoro condotto sui materiali di Palazzo Albizzini, ho svolto ricerche anche in altri archivi in Italia e negli Stati Uniti, trovando molti materiali inediti, che verranno pubblicati per la prima volta nel catalogo. L’associate curator della mostra, Megan Fontanella, ha ritrovato della documentazione su una primissima mostra di Burri negli Stati Uniti, inaugurata negli Anni Cinquanta.
Da dove provengono i prestiti? Principalmente dall’Italia e dall’Europa? Da collezioni pubbliche o private?
Entrambi, e non solo dall’Italia e dall’Europa, ma anche dagli Stati Uniti. In Italia, i prestiti provengono da GNAM, GAM e ovviamente un gran numero da Palazzo Albizzini. Musei, fondazioni e collezioni private, nazionali e internazionali, prestano generosamente. Il Solomon R. Guggenheim Museum, dopo Italian Futurism 1909-1944, sta per inaugurare una nuova mostra dedicata a un altro artista d’avanguardia, rinforzando il proprio legame estetico con l’Italia.
Secondo lei, perché le istituzioni italiane risultano sempre poco coordinate e convincenti nel sottolineare le proprie radici rispetto all’istituzione newyorkese?
Le istituzioni italiane sono molto convincenti nel presentare mostre importanti, da progetti fondamentali su Burri a tanti contributi espositivi durante il centenario del Futurismo nel 2009.
Come collaboreranno le istituzioni italiane nel celebrare il centenario della nascita di Burri a New York?
Insieme alla Fondazione Burri, partecipano, con importanti prestiti, diverse istituzioni pubbliche. Sia Riccardo Viale, direttore uscente dell’Istituto Italiano di Cultura a New York. che Isabella del Frate Rayburn, importante ambasciatrice dell’arte italiana negli Stati Uniti, sono stati la chiave di volta nel portare l’idea di una retrospettiva di Burri al Guggenheim.
Potrebbe cortesemente esprimere un pensiero di accompagnamento a The Trauma of Painting?
Dopo una così lunga assenza negli Stati Uniti, siamo felici di mostrare lo straordinario lavoro di Burri in una retrospettiva più che dovuta.
Ginevra Bria
New York // dal 9 ottobre 2015 al 16 gennaio 2016
Alberto Burri – The Trauma of Painting
a cura di Emily Braun
SOLOMON R. GUGGENHEIM MUSEUM
1071 Fifth Avenue at 89th Street
+1 212 4233500
[email protected]
www.guggenheim.org
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati