Biennale di Venezia. Il padiglione della Svizzera spiegato da Susanne Pfeffer
Sarà Pamela Rosenkranz a rappresentare la Svizzera alla Biennale di Venezia. Susanne Pfeffer, oggi direttrice del Fridericianum di Kassel, sta seguendo e curando il percorso di un’artista che trasforma elementi sociologici in reazioni sostituenti. Soluzioni linguistiche, compositive e speculative. Qui trovate l’intervista.
L’attuale direttrice del Fridericianum di Kassel, Susanne Pfeffer, sta lavorando da diversi mesi come curatrice del percorso espositivo che convoglierà alcuni lavori di Pamela Rosenkranz (Uri, 1979; vive a Zurigo) all’interno del Padiglione svizzero alla 56. Biennale di Venezia.
Susanne Pfeffer è nata ad Hagen nel 1973 ed è stata, fino al 2007, curatrice dei KunstWerke di Berlino. Rappresenta oggi una delle figure curatoriali più di ricerca a livello mondiale. Dopo aver studiato storia dell’arte con il professor Bredekamp a Berlino e aver iniziato a lavorare nel 2001 a Colonia, come assistente alle esposizioni alla Kölnischer Kunstverein, ha assunto l’incarico di assistente curatore di Udo Kittelmann al Museum für Moderne Kunst a Francoforte. Dal 2004 al 2006 è stata direttore artistico della Künstlerhaus Bremen, dove ha curato numerose prime personali ad artisti quali Matthias Weischer, Emily Jacir, Jonathan Monk e David Zink Yi, senza dimenticare le presentazioni artisti quali Hans Richter e Kenneth Anger. Dopo aver curato nel 2006 Deutsche Wandstücke a Museion e aver contribuito a numerosi progetti espositivi (Absalon, Nature after nature e Speculations on Anonymous Materials, progetto con lavori di Pamela Rosenkranz), è diventata consulente curatrice per il PS1 di New York.
Alcuni mesi fa la Swiss Arts Council Pro Helvetia ha nominato Pamela Rosenkranz per rappresentare nel 2015 la Svizzera alla Biennale di Venezia. Per la sua mostra l’artista sta collaborando strettamente con la curatrice tedesca, direttrice del Fridericianum dal 2013: “Sono interessata a come Pamela riflette sui cambiamenti tecnologici e rappresenta le trasformazioni ad essi associate, tanto nella filosofia contemporanea, quanto nella scienza, nell’economia globale e nell’atteggiamento consumistico, riuniti all’interno del suo lavoro. Rosenkranz ci mette a confronto con materiali e concetti che, attraverso la loro ubiquità, sono diventati determinanti per una consapevolezza del nostro tempo. Dimensione che rimane una componente sempre più difficile da percepire”.
Ci descrivi titolo e temi scelti per il Padiglione svizzero alla 56. Biennale d’Arte?
Lavorando con materiali come solood, visorb, aspirina, acrilico, metilene, spandex, silicone e titanio, Pamela Rosenkranz affronta e si appropria di questioni che riguardano la sfera umana. Mentre noi, al contrario, non siamo quasi mai avvezzi, esperti o semplicemente informati sulla maggior parte di questi materiali; eppure il loro utilizzo comune e diffuso cambia la costituzione fisica e psichica del comportamento umano. Nel suo lavoro al Padiglione svizzero, Pamela Rosenkranz rifletterà sul soggetto umano trasformato in nient’altro che una traccia fluida, un’associazione seriale generata da materiali sintetici. Ci farà prendere coscienza attraverso implicazioni di ricerche neurobiologiche che ci racconteranno quanto un materiale in sé non possa più essere lungamente concepito come un’entità fissa, ma come un soggetto interessato da cambiamenti costanti.
Avevi già collaborato con Pamela Rosenkranz nel 2013. Quali strategie, quale dialogo stabilirai nuovamente con lei?
La mostra Speculations on Anonymous Materials che è stata realizzata al Fridericianum di Kassel nel 2013 è stata accompagnata da una serie di conferenze, per la prima volta a livello mondiale, con l’intento di avvicinare e mettere a confronto approcci dell’arte internazionale che interpretassero il tema dei materiali anonimi. Elementi che sono stati creati a causa dei rapidi e incisivi cambiamenti tecnologici. In breve, il progetto si è trasformato in una sorta di mostra collettiva su come il ruolo dell’arte sia cambiato in un mondo d’immagini soffuse e auto-generate. La sua funzione non è più quella di dar vita a un’unica, originale immagine, ma l’arte deve cercare e rappresentare una riflessione all’interno di un sistema de-soggettivizzato supportato da riserve esistenti di oggetti, immagini e spazi.
C’è una frase, una citazione di Pamela Rosenkranz coniata per l’occasione di Speculations on Anonymous Materials che, fin da allora, ha giocato un ruolo fondamentale per la sua futura mostra al Padiglione svizzero dei Giardini: “Ritengo sia più interessante parlare di arte in termini di materiali che determinano ogni lavoro, piuttosto che un’identità in sé e per sé dell’arte”. Il progetto per la Biennale rappresenta un dialogo continuo tra Pamela Rosenkranz e me, uno scambio che varierà nella forma e nel contenuto su temi che dipenderanno dagli aspetti della materia che entusiasmano di più entrambe.
La storia e l’estetica dell’architettura del Padiglione svizzero attiverà un dialogo con i lavori di Pamela Rosenkranz?
Il Padiglione svizzero è stato costruito dall’architetto Bruno Giacometti nel 1951-52. Il dettaglio pionieristico delle sue stanze eleganti è rimarcato dal funzionalismo e dalla compostezza che si esprimono con un certo riguardo nei confronti di qualsiasi artista chiamato a esporre all’interno. Ritengo sia molto interessante poter fare esperienza di come Pamela Rosenkranz intervenga molto sottilmente sull’architettura del Padiglione, lavorando con il favore di una totale semplicità dello spazio, traendo allo stesso tempo vantaggio da esso e trasfigurando l’identità dei vuoti a disposizione.
Visivamente, che tipo di esperienza compiremo?
Pamela Rosenkranz è assolutamente interessata a qualsiasi tipo di spostamento, di trasformazione dovuta all’evoluzione delle tecnologie. Lei legge molte pubblicazioni scientifico-filosofiche, vi riflette e traduce un discorso scientifico in un lessico completamente nuovo, dalla forma non-familiare, non conforme ai nostri canoni di lettura. Ritengo sia molto affascinante vedere quanto lei stessa sia coinvolta dalla scienza e quanto in profondità sedimenti conoscenze acquisite durante le ricerche per il suo lavoro. Comunque Pamela si dimostra sempre critica verso quelle branche delle discipline che appartengono alle neuroscienze e includendo questa sorta di giudizio in maniera costante nella sua pratica artistica.
Esprimi un pensiero o formula un desiderio che accompagni i visitatori al Padiglione svizzero?
Mi auguro che, visitando il Padiglione svizzero, la gente sia incoraggiata a porsi questioni differenti, che non avevano considerato o sulle quali non erano mai riusciti a soffermarsi in precedenza.
Ginevra Bria
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati