Biennale di Venezia. Il padiglione della Svezia raccontato da Lina Selander

L’artista svedese Lina Selander disporrà di uno spazio di circa 300 mq all’Arsenale, adiacente al percorso del direttore della Biennale, Okwui Enwezor. Grazie al sostegno del Moderna Museet, una sua personale mostrerà un nuovo film e riunirà, in un solo percorso, una serie di lavori realizzati tra il 2011 e il 2015.

Alcuni mesi fa, il Moderna Museet di Stoccolma ha annunciato che una mostra personale di Lina Selander (Stoccolma, 1973) avrebbe caratterizzato il contributo espositivo della Svezia alla 56. Biennale di Venezia. A seguito di un invito da parte del direttore della Biennale, Okwui Enwezor, Salander allestirà il proprio progetto in Arsenale, dato che il padiglione scandinavo quest’anno sarà appannaggio della Norvegia.
Selander è fra gli artisti svedesi più innovativi nel campo delle immagini in movimento. I suoi film e le sue installazioni spesso si focalizzano su congiunture della storia durante le quali un intero sistema o uno spazio fisico collassano e in quell’attimo qualcosa di nuovo comincia a emergere. Ogni suo lavoro si costituisce come un archivio denso di fatti e osservazioni, occasionalmente in dialogo con altri film o passi letterari. Il montaggio preciso e ritmico, così come l’uso del manto sonoro, genera un’unica temporalità e una forte pressione interna, con l’intento di cogliere balzi intuitivi tra associazioni di senso e significati.

Lina Selander, Model of Continuation, 2013 - still da video

Lina Selander, Model of Continuation, 2013 – still da video

Raccontaci della tua mostra a Venezia: titolo, lavori, impostazione…
Il titolo è Excavation of the Image: Imprint, Shadow, Spectre, Thought. Sono stata invitata da Daniel Birnbaum e Ann-Sofi Noring, da parte del Moderna Museet di Stoccolma, che organizza e sostiene operativamente il Padiglione svedese. Lena Essling è invece la curatrice che sta seguendo il progetto.
Mi hanno chiesto di realizzare un’esposizione includendo nuovi e vecchi lavori, quindi presenterò diverse serie di opere che andranno dal 2011 al 2015. Saranno tutti lavori distinti, ma la mia idea è di presentarli come in una sorta di metamontaggio onnicomprensivo, che ben si adatta alla forma espressa dai lavori singolarmente e a uno sguardo d’insieme, perché ci sono temi e anche immagini in comune. Tutti i lavori ruotano tanto in una direzione quanto in quella contraria, attorno allo statuto dell’immagine come rappresentazione, memoria, oggetto, impronta, superficie, oppure investigando le nostre relazioni con essi. Questi elementi esaminano la rappresentazione ufficiale di eventi storici, di linguaggi visuali e di apparati che li hanno prodotti, sottolineando il fatto che la storia, sotto molti aspetti, non è altro che la traccia di dispositivi atti alla registrazione di eventi e tecnologie.
Inoltre, i lavori condividono una connessione con i desideri e i fallimenti relativi a un senso della modernità, attraverso le istanze ripercorse da disastri come Chernobyl e Hiroshima, giustapposte a  immagini della natura e fungendo da riferimento incrociato tra gli effetti visivi della fotografia e i processi geologico-nucleari per creare nuovi sedimenti di significato. Infine verrà presentato un piccolo volume nel quale è pubblicato un dialogo tra me, Oscar Mangione e Kim West, assieme a un testo sul mio lavoro di Raymond Bellour.

Lina Selander, The Offspring Resembels the Parent, work in progress – still da video – in collaborazione con Oscar Mangione

Lina Selander, The Offspring Resembels the Parent, work in progress – still da video – in collaborazione con Oscar Mangione

Ora dicci invece come hai pensato l’allestimento.
Lo spazio a disposizione è all’Arsenale, dove due anni fa c’era il padiglione libanese con il lavoro di Akram Zaatari. È una sala enorme, molto bella. I visitatori incontreranno i miei lavori in una sorta di installazione cinematica, spazialmente unita e, allo stesso tempo, divisa da drappeggi che seguiranno le pareti di mattoni. Per l’allestimento sto collaborando con il duo di architetti svedese-norvegese Studio Nav, per trovare soluzioni che riescano a ospitare durevolmente l’enorme flusso di visitatori e che prevedano un buon piano di automantenimento dell’esposizione.

Qual è la tua definizione di sistema al collasso?
Il mio lavoro dedicato ai sistemi in stato di collasso è una sorta di montaggio di un sistema. Nei miei film ho sempre lavorato e interpretato luoghi ed eventi ultradocumentati nella storia, dove anche un solo minimo componente improvvisamente è collassato, cambiando le vite di migliaia di persone. Come nell’ex Unione Sovietica, oppure con la super-inflazione in Germania negli Anni Venti.

Lina Selander, Silphium, 2014 – still da video – in collaborazione con Oscar Mangione

Lina Selander, Silphium, 2014 – still da video – in collaborazione con Oscar Mangione

E quale definizione daresti di memoria? Come può essere evocata, immaginata dalla tua pratica artistica?
La memoria è fortemente connessa ai dispositivi elettronici che ne tracciano la storia. Nel mio lavoro questo aspetto diventa una presenza, una condizione e dunque un soggetto in sé e per sé, come un’archeologia mediatica. Ma è un concetto evocato anche in altri modi, attraverso alcune dimensioni storiche di tipo verticale, come le stratigrafie o i fossili. Nella mia pratica esiste una parte dedicata quasi giornalmente alla ricerca e i lavori sono costituiti come se fossero archivi. Inoltre sussistono sempre connessioni apparenti tra i concetti di memoria e documentazione, che mantengono lo stesso rapporto proporzionale tra film e fotografia.
La memoria è anche sempre connessa all’economia, come oggetto che passa di mano in mano. Il nome della dea greca della memoria era Mnemosyne, che in latino venne inglobato nel verbo monere, ricordare. Radice che poi ha interessato le parole money, moneta, muntze e la parola che in svedese significa denaro: mynt.

Visivamente, di cosa faremo esperienza?
Mi auguro venga recepita come un’esposizione equilibrata e composta. I miei film non sono mai unidirezionali e la persona che li attraversa ottiene sempre molto in cambio.

Lina Selander

Lina Selander

In quale senso il tuo percorso potrebbe connettersi al tema principale della Biennale, All the World’s Futures?
Numerosi miei lavori vengono a patti con i desideri e i fallimenti della modernità, senza dimenticarsi di analizzare i progetti espansionistici coloniali. Il fatto che la nostra storia, sotto molti aspetti, corra di pari passo con le tracce lasciate dagli strumenti che l’hanno registrata: questo potrebbe essere un punto di convergenza tra il mio lavoro e la scrittura codificata della storia.
In ogni mio studio sul capitale, la connessione storica ed etimologica tra la memoria e la moneta risulta centrale. Sono sempre stata molto attratta dal verbo coniare e dalle immagini che vengono stampate su ogni moneta. Nel caso di Silphium, una pianta medicinale attualmente estinta sulla quale è incentrato uno dei miei ultimi lavori, le immagini impresse sulle pellicole fanno riferimento alle tracce lasciate dalle piante. Questo è stato il punto di partenza, che però ha poi sviluppato un processo di sembianti praticamente infinito; facendo diventare quelle piante medicinali dei testimoni, dei fantasmi, come se Silphium fosse sopravvissuto e guardasse a quel mondo che lo ha eradicato. Le brecce che ci circondano si trovano dietro ogni angolo del paesaggio globale di oggi, rievocando i rottami evanescenti di catastrofi precedenti, impilate ai piedi dell’’angelo della storia in Angelus Novus.

Potresti esprimere un pensiero o formulare un invito che accompagni il pubblico al Padiglione svedese?
Basterà rimanere un istante affinché i miei film restituiscano così tanto indietro.

Ginevra Bria

www.modernamuseet.se
www.linaselander.com

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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