Il Salone del Mobile visto da Giorgia Zanellato
Sta per partire per una residenza trimestrale a Roma, presso l’American Academy. Ma nel frattempo è riuscita a portare in fiera e in città una decina di progetti. Vulcanica e pratica, curiosa e rispettosa: definitela come preferite, basta che non usiate l’espressione “giovane designer”. Lei è Giorgia Zanellato.
Come arrivi quest’anno all’appuntamento della design week? Quali sono le novità che presenti tra fiera e Fuori Salone?
Quest’anno il Salone mi trova di corsa e impegnata per un grande appuntamento che mi attende subito dopo: il 20 aprile inizierò infatti una residenza di tre mesi all’American Academy in Rome. Tuttavia il Salone resta sempre l’evento di design più importante dell’anno e non potevo mancare.
E quindi cosa porti?
Il progetto a cui tengo di più è una collezione di oggetti disegnati per la Galleria Luisa Delle Piane, Mirage, un lavoro sperimentale sull’uso del neon. Un’azienda olandese, The Cottage Industry, ha deciso di editare uno dei vasi della mia collezione Narciso che verrà presentato alle Officine Della Torneria. Altra galleria con cui collaboro quest’anno è Secondome, con cui presento una serie di tre vasi in metallo e vetro chiamati Pharaohs, ispirati ai copricapi dei faraoni. Nuovi gioielli per la collezione Leaves Collection saranno acquistabili al Superstudio e alla Rinascente, editati dal marchio Maison 203.
Insieme a Daniele Bortotto, con cui abbiamo aperto lo studio Zanellato/Bortotto, presento una serie di arredi realizzati in collaborazione con il carcere di Bollate, parte del progetto Bolle Bollate. Mentre con Fabrica partecipo a due importanti eventi: FuHa, in collaborazione con Daikin, e Housewarming, in collaborazione con AirBnb, un’indagine, attraverso performance e oggetti, sul tema dell’accoglienza.
Quest’anno il Salone del Mobile ha una valenza particolare in virtù della concomitanza con Expo. Che aspettative hai su Expo?
Expo 2015 è un evento che tutti attendiamo con ansia e di cui personalmente ho curiose aspettative. Essere attivi nel mondo del design non richiede obblighi ma sicuramente qualche responsabilità. Abbiamo il privilegio di essere uno strumento di comunicazione che, anche se in modo molto sottile, può dare messaggi forti in diversi campi e toccare temi come quello di Expo 2015.
I tuoi lavori sembrano sempre calati in un contesto concreto, mai slegati da un uso possibile. Che rapporto hai, in veste di progettista, con la normalità?
Sono una persona molto pratica. Un progetto diventa significativo quando ne è chiara la sua funzione, che può essere pratica ma anche estetica ed emotiva. Nella vita di tutti i giorni cerco di circondarmi di oggetti e situazioni che mi rendano facile la giornata.
Si dice spesso che i giovani designer italiani sono soffocati dalla generazione dei maestri. È vero? O si tratta di un cliché?
Da designer italiana, sono molto orgogliosa della nostra storia e di come la generazione dei maestri sia stata rilevante. Oggi i tempi sono cambiati, i designer si sono moltiplicati, e sicuramente affermarsi è diventato più difficile. Non credo che il problema siano i grandi maestri, quanto la difficoltà di essere riconosciuto come professionista. Mi è spesso capitato di essere definita giovane designer assieme a colleghi di quarant’anni. Quando un designer può definirsi davvero tale? Credo che questo approccio sia più legato all’Italia che ad altri Paesi e spero che questo cliché venga presto superato.
Per i progetti Acqua Alta e Local Icons (in mostra al Maxxi fino al 7 giugno), entrambi sviluppati con Daniele Bortotto, hai lavorato sull’interpretazione dei potenziali inespressi di Venezia e Roma. Che rilevanza ha per te il genius loci?
Acqua Alta e Local Icons sono tra i progetti per me più soddisfacenti dal punto di vista progettuale. Analizzare la storia, i territori, i colori, le persone presenti in un luogo può dar vita a un’enorme scelta di strade da percorrere. Il design può porsi come strumento utile per valorizzare questi tesori legati a un luogo e soprattutto per farli conoscere maggiormente.
I tuoi lavori hanno una dimensione geometrica molto definita. Ti senti vicina a un’estetica privilegiata? Oppure preferisci sviluppare i tuoi prodotti a partire da un concept?
In un progetto, la ricerca delle forme è sicuramente di fondamentale importanza. Il mio approccio alle forme geometriche è indiscusso, ma mi piace sperimentare molto anche con colori e materiali, ed è l’insieme scaturito da queste tre componenti a crearne l’estetica finale. Raramente però il mio punto di partenza è una forma: mi riesce più naturale partire da un’idea, un concetto o una storia da raccontare; la forma viene dopo. L’uso di forme riconoscibili come quelle geometriche permette di mettere a fuoco tutte le componenti del progetto, non solo l’estetica.
Le tue abitudini al Salone: quali sono gli appuntamenti o le location che non ti perdi mai? Quale la perla nascosta che ti senti di consigliarci?
Negli ultimi anni, il tempo libero che avevo a disposizione è stato sempre molto limitato e le mie scelte sono sempre state influenzate dal passaparola tra amici e colleghi che incontro per la città o più probabilmente al Bar Basso, unico appuntamento fisso e indiscusso. Una cosa che cerco però di non mancare è il giro delle gallerie di design più importanti, perché spesso riservano progetti inaspettati e curiosi.
Giulia Zappa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24 – speciale design
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