Per tutti coloro che pensano che la vita finisca con la pensione, Manoel De Oliveira è la dimostrazione del contrario. Nato nel 1908 a Porto, la stessa città in cui si è spento due giorni fa, nella sua lunghissima vita è stato pilota d’auto, viticultore, attore, industriale e documentarista. Dopo un viaggio in Germania per approfondire gli studi sul colore e con la fine del regime salazarista, che aveva impedito le sue aspirazioni cinematografiche, finalmente si è potuto dedicare alla regia.
Aveva 66 anni quando è arrivato alla fama: da allora ha conquistato tutti i riconoscimenti più importanti di settore. Nel 1985 gli stavano già preparando l’estrema unzione a Venezia, con un Leone alla carriera, ma nel 2008 gliene hanno dovuto ridare un secondo perché non solo continuava a fare film, ma non smetteva di stupire tutti con elegante ironia.
Di matrice letteraria e teatrale, era stato allievo di Bunuel e degno dell’attenzione di Pirandello. Ha attraversato con estrema intensità un intero secolo, con una prolifica, quanto stupefacente, media di un film all’anno. Legato profondamente alla storia e alla cultura del suo Paese, ha usato il cinema per riflettere sull’umanità, con profondità e insostenibile leggerezza. Non c’è stato tema della vita che non abbia toccato nei suoi cinquanta lungometraggi: morte, nascita, sentimenti, modernità, storia, attraverso un linguaggio letterario e teatrale, spesso lento, fatto di piani sequenza, dove l’immagine perde consistenza e si evolve in puro pensiero.
La sua attività più importante è rappresentata dalla tetralogia sugli “amori frustrati” composta da Passato e presente (1971), Benilde e la vergine madre (1974) e Amore di perdizione (1978) e infine Francisca (1981). Se ogni artista dovesse essere ricordato per una sola opera, allora quest’ultima sarebbe quella di De Oliveira.
I suoi attori feticcio sono stati Bulle Ogier, Leonor Silveira e Luis Miguel Cintra, Catherine Deneuve, Irene Papas e John Malkovich. È stato lui a scoprire Chiara Mastroianni, e pure il padre di lei fu diretto nel suo ultimo film dal maestro portoghese. Era il 1997 e il film si intitolava Viaggio all’inizio del mondo. Appena qualche mese fa, alla Mostra di Venezia, De Oliveira aveva presentato il cortometraggio O Velho do restelo, un intervento aforismatico sui due più grandi capolavori della lettertura iberica, che coincidono anche con la fine della sua storica potenza navale.
Nel 2005, lucido anticipatore dei tempi, girò un altro breve film, Do Visível ao Invisível, dove due persone di età parecchio differente si incontrano in un luogo qualsiasi di una grande città, ma non riescono a parlarsi perché il cellulare di entrambi continua a squillare. Alla fine i due, uno di fronte all’altro, si telefonano per riuscire a comunicare.
Se l’uomo è l’estensione del suo pensiero e il corpo è il limite dell’anima, l’immaterialità dello stile di De Oliveira si è riverberato su un’esistenza che è andata oltre il tempo, prima che quello mutasse lo stato della sua essenza.
Federica Polidoro
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