Un posto tranquillo: lo studio di Carlo Mattioli a Parma
Cercava un luogo dove lavorare indisturbato. Fuori dalle costrizioni dei gruppi di artisti, fuori dalle feste e dalle relazioni sociali della Capitale. Carlo Mattioli lo trovò a Parma, e fece del suo studio uno scrigno prezioso accessibile solo a pochissimi eletti. Dal 20 marzo gli eredi lo hanno aperto al pubblico, e Artribune vi racconta chi è questo pittore fuori dagli schemi e dalla notorietà.
Nasce a Modena nel 1911, Carlo Mattioli. Un paio di decenni dopo si iscrive all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma (tra gli insegnanti in quegli anni c’è Guido Marussig) e a Parma si fermerà per tutta la sua vita di pittore (muore nel 1994). La città gli offrirà in un primo periodo grandi stimoli culturali e poi, sciolto il gruppo di Officina Parmigiana e dispersi i protagonisti nel resto d’Italia, un luogo sereno e tranquillo in cui poter dipingere senza essere disturbato.
Nei primi Anni Quaranta frequenta i poeti Mario Luzi e Oreste Macrì, entrambi giunti in Emilia per insegnare, e proprio in quel periodo si comincia a formare Officina Parmigiana – così definita da un intervento di Pier Paolo Pasolini del 1957 – attorno alla quale gravitano i nomi di Attilio Bertolucci, Pietrino Bianchi, Alberto Bevilacqua, e numerosi altri letterati e intellettuali. Inserito in tale contesto, Mattioli non può non venire in contatto con l’editore Ugo Guanda, per il quale comincia a disegnare le prime copertine e dal 1950 diventa inoltre il grafico di “Paragone” e ha contatti costanti con Longhi e Arcangeli.
Il pittore si circonderà sempre di esegeti e letterati, più che di artisti: basti citare le amicizie con Vittorio Sereni e Giovanni Testori, anche se un grande affetto lo ha legato a Carlo Carrà e a Giacomo Manzù (delizioso un volume, intitolato appunto Mattioli nello studio di Manzù, che contiene trentasei studi sull’opera dello scultore bergamasco).
Nel frattempo, era il 1956, Mattioli vince il Premio internazionale per il disegno alla Biennale di Venezia e si inserisce nell’ambiente di Giubbe Rosse di Firenze, dove conosce Piero Bigongiari. Non solo: gestisce per lungo tempo la piccola galleria Battistero, è tra i primi in Italia a ospitare le opere di Giorgio Morandi e lì, di notte, organizza serate musicali clandestine per ascoltare la musica proibita dal fascismo.
La produzione pittorica di Carlo Mattioli è, come si può intuire dai brevi accenni alla sua vita, ampia (solo gli oli e le tele sono più di 2.500) e stratificata: pur rimanendo sempre fortemente ancorato alla figura, ha tangenze strette con certe forme del movimento Novecento – anche se non vi aderirà mai, come non aderirà a nessun filone in particolare – per poi accostarsi all’Informale, metabolizzandolo in uno stile personalissimo che emerge soprattutto negli anni Sessanta. Ma le sue radici affondano nel Seicento, in Caravaggio, di cui riproduce con varie “esercitazioni” il Cestino di frutta, e si estendono fino ai suoi contemporanei tra cui Carrà e Rosai.
A Parma Mattioli donò con grande riconoscenza nuclei di opere importantissime – 40 dipinti e 400 disegni solo allo CSAC dell’Università, e poi i dipinti religiosi per le chiese – ma non è mai stato “parmigiano”. Intellettuale formatosi tra le due guerre, ha gravitato attorno a un orizzonte nazionale e internazionale evitando i localismi della provincia e diventando un protagonista della pittura del Novecento.
Marta Santacatterina
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