Attese disattese. Sull’arte italiana alle aste
Una serata dai “guanti bianchi” con il record storico del 100% del venduto. Questo il risultato della Milan Modern and Contemporary di Christie’s del 28 aprile, l’appuntamento annuale che la casa d’aste di Pinault dedica all’arte contemporanea italiana nelle sontuose sale di Palazzo Clerici. Ma poi succede che…
100% di venduto. Peccato che questa sia stata l’unica sorpresa della Milan Modern and Contemporary di Christie’s, in una serata cadenzata dalle “spettacolari” aggiudicazioni a cifre da capogiro che poi, confrontate con quelle raggiunte oltreoceano, lasciano sorrisi piuttosto che vive risate. Un catalogo che potrebbe essere quasi adottato come manuale scolastico per la sequenza delle opere del dopoguerra italiano con le solite “attese disattese” di record oltre il milione di euro per nuovi artisti viventi.
Bonalumi, Castellani e Fontana, con aggiudicazioni in grado di raddoppiare le quotazioni di partenza, presenti anche nella Italian Sale in programma da Sotheby’s. I soliti protagonisti del dopoguerra italiano, come se il valore dell’arte italiana fosse relegato a quel decennio. Senza denigrare il merito del concettualismo astratto, giunge spontaneo chiedersi se, oltre al valore economico, sia importante riconoscere il merito artistico della pittura. Come mai, allora, il valore di un De Pisis, l’artista che viaggiava tra la pittura e la letteratura dialogando tanto con i fauves quanto con il Cinquecento veneziano, non compare nei cataloghi d’asta di Chrtistie’s e Sotheby’s per le Italian Sale del 2015.
Una monotonia nella scelta degli artisti che, oltre a tralasciare i maestri della tradizione, non investe su artisti contemporanei, nel senso letterale del termine, riducendo a una semplice utopia la speranza di vedere nelle prossime top 500 degli artisti viventi qualche italiano in più oltre a Rudolf Stingel.
Dietro al successo dorato dell’Italian Sale di Christie’s si nasconde l’opacità del mercato d’arte italiano che il rapporto di TEFAF Art Market Report 2015 non smentisce attestando allo 0,8% la rappresentanza italiana nel mercato a livello globale. A questa situazione si aggiunge la perdita di appetibilità per i grandi collezionisti stranieri i cui sguardi sono sempre più rivolti verso il Brasile che, pur rappresentando solamente lo 0,6 percento del fatturato mondiale dell’arte contemporanea, è un Paese sul quale scommettere.
Mentre l’Italia, che oggi rappresenta solo il 2% delle esportazioni globali di arte, continua a perdere i grandi collezionisti internazionali per tutti i motivi fiscali e burocratici noti, gli organizzatori delle fiere ArtRio e SP-Arte, consapevoli dei disincentivi che le tasse d’importazione comportano, cercano una mediazione con il governo per abbassare la tassa sulle importazioni di arte al 23%.
Se sul Brasile puntano i riflettori sia i musei internazionali che le gallerie, comprese quelle dei tanti italiani che hanno lasciato l’Italia per la mancanza di prospettive investendo in quello che è considerato come uno dei più grandi attrattori dell’arte globale.
E mentre il sistema brasiliano si anima di giovani artisti e gallerie dal profilo internazionale, in Italia ancora si ricerca di definire un codice nazionale, un’identità del e sul passato. Vincenzo Trione, nel Padiglione Italia della 56. Biennale di Venezia continua a riflettere sul valore dell’arte italiana ma, pur affermando di ispirarsi all’amico Bertolucci, non ha realizzato alcuna regia nel presentare gli artisti così diversi tra loro anche nel rimando al passato; quel che ne viene fuori non è propriamente una mostra quanto un saggio artistico-letterario di warburghiana memoria.
Nell’allestimento delle stanze, Trione non fa altro che replicare Mnemosyne o una bacheca Facebook, dipende solo dalla prospettiva da cui la si guarda.
Per Trione il Dna italiano comincia dall’Arte Povera rivalutata dal mercato delle aste solo dall’11 febbraio del 2014 quando con Eyes Wide Open Christie’s compì un’azione di marketing singolare nella realizzazione di un catalogo ammirevole, capace di far rivivere tutte le emozioni e i processi legati all’acquisto delle opere in vendita e alla loro collocazione in casa dei proprietari.
E proprio nella serata a Palazzo Clerici dal record storico del 100% di venduto, l’Arte Povera di Boetti e Pistoletto ha figurato insieme ai soliti artisti del dopoguerra italiano.
Star della serata è stato sempre il celebre “artista dei tagli”, Lucio Fontana, con ben due opere aggiudicate oltre 1 milione di euro; in particolare Concetto Spaziale, attese del 1964 aggiudicato a 1,2 milioni di euro, con una crescita superiore del 140% rispetto al precedente passaggio in asta da Sotheby’s.
Se è successo all’Arte Povera, possiamo sperare che una rivalutazione da parte del mercato di altri artisti possa nuovamente accadere; possiamo augurarci di essere sbalorditi ancora una volta non per il rialzo delle cifre di aggiudicazione per i soliti nomi, ma per il coraggio di correre il rischio di presentare opere dall’indiscusso valore artistico e non solamente finanziario.
Stefano Monti
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