Biennale di Venezia. Il padiglione della Serbia raccontato da Ivan Grubanov
Con “United Dead Nations”, Ivan Grubanov presenta un progetto sulla memoria alla fine del tempo e della Storia. Il pavimento del Padiglione della Serbia ai Giardini della Biennale si trasformerà in un luogo che processerà i resti simbolici di dieci nazioni scomparse durante il XX secolo.
United Dead Nations è un progetto sulla memoria in tempi di fine della Storia. Attraverso un’installazione a pavimento, Ivan Grubanov (Belgrado, 1976) esaminerà in termini ideologici, politici e culturali i concetti di nazione e Stato, soffermandosi sul processo della loro creazione, regolamentazione e sparizione. Con casi studio come l’impero Austro-Ungarico (1867–1918), l’impero Ottomano (1299–1922), Gran Colombia (1819–1930), il Tibet (1913–51), la Repubblica Araba Unita (1958–71), il Vietnam del Sud (1955–75), la Repubblica Democratica Tedesca (1949–90), l’Unione Sovietica (1922–91), la Cecoslovacchia (1918–92) e la Jugoslavia (1918–2003).
Il titolo del tuo progetto per il Padiglione serbo alla 56. Biennale d’Arte di Venezia è United Dead Nations. Ci spieghi?
La mostra è composta da un’installazione che occupa per intero gli spazi interni del padiglione ai Giardini e che si focalizza principalmente sulla superficie del pavimento come locus dove sono raccolti alcuni avvenimenti: è uno spazio pubblico che suggerisce movimenti di corpi e scambi di idee.
Nel padiglione che ancora porta il nome del nostro ex Paese, la Jugoslavia, processo artisticamente i resti simbolici di dieci nazioni scomparse durante il XX secolo, stabilendo dunque uno spazio dedicato alle United Dead Nations.
In questo modo come cambia il concetto di identità nazionale? Come potrebbe essere rappresentato?
La nozione di rappresentazione e il suo significato mi sembra che siano decisamente cambiati negli ultimi anni. In verità, non sono state le arti a erodere la definizione di rappresentazione, ma la democrazia rappresentativa e il suo continuo fallimento nel tentativo di rap-presentare, di far emergere i veri desideri e i conflitti nella realtà del sociale. Il capitalismo e la sua paura irrazionale della democrazia diretta hanno completamente alterato la nozione di rappresentazione.
Nel mio lavoro, evito di utilizzare il concetto di rappresentazione nei pensieri, nei gesti o nelle azioni. Solitamente lo sostituisco con il concetto di incarnazione, così il termine impersonificazione diventa decisamente più calzante.
Cosa significano, per te, le geo-sfere? Questa nuova territorialità può essere evocata dalla natura? E dalla cultura umana?
I miei dipinti hanno sempre incarnato la funzione di registri di una presenza, sequenze rituali che indagano la verità e la conoscenza attraverso materiali e processi. Quel che è presente in questo progetto è me stesso, un individuo nelle terre-di-mezzo fra la storia e la politica. Processando le assenze istituzionali di questi ex Stati, creo una presenza che consustanzia e in maniera quasi forense testimonia il fatto che la presenza è una sequenza di assenze.
Quale tipo di scenario visivo si trova nel padiglione?
La mostra è un luogo in cui accade qualcosa. Il percorso registra i movimenti di un corpo, i moti del materiale della storia e della politica, la gestualità delle bandiere di dieci nazioni che hanno finito di esistere durante il XX secolo. Ma le dinamiche politiche turbolente che queste nazioni incarnano sono ancora presenti.
Le bandiere che utilizzo sono impregnate di reagenti chimici e pittura, e la superficie del pavimento registra le loro emozioni. Il segno e il significato stanno costantemente cambiando di posizione.
Quali territori attraversiamo all’interno del Padiglione serbo?
La condizione temporale del mio lavoro è davvero rilevante, perché incapsula la storia, come se fosse registrata in tempo reale nell’impronta e nel sanguinamento delle bandiere. C’è anche il tempo della Storia, e il tempo della situazione viscerale che prende vita in quella sala, il tempo di United Dead Nations, che racconta molto sul tempo che scorre al di fuori del Padiglione…
Immagino che quindi la storia, l’architettura e l’estetica del padiglione abbiano avuto un’importanza centrale nel tuo progetto?
Sì, l’intera installazione è concepita assieme al locus istituzionale ai Giardini dell’ex Jugoslavia e oggi il Padiglione serbo lo conserva nei suoi geni. Il punto di partenza del lavoro è la scritta Jugoslavia scolpita in italiano sulla facciata frontale dell’edificio. A partire da questa traccia, il lavoro si espande sull’idea di nazioni che non esistono più e sul loro simbolico contributo al Giardino dei Padiglioni nazionali.
Esprimi un pensiero o formula un augurio che accompagni il pubblico al percorso di United Dead Nations?
Penso solo a descrivere, a indicare un’oscurità epistemologica nell’attuale conoscenza.
Ginevra Bria
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