Nei sei mesi dell’Esposizione Universale del 2010 il Padiglione italiano ha accolto più di 7,3 milioni di visitatori. Questo successo si è tradotto nella volontà di farlo continuare a esistere anche nel post-Expo attraverso la donazione da parte del Governo italiano alla municipalità di Shanghai. La struttura è stata affidata alla gestione di Shanghai Expo Group, agenzia che, di concerto con l’Ambasciata italiana in Cina e con il Consolato Generale d’Italia a Shanghai, ha deciso di convertirla nello Shanghai Italian Center, una realtà dedicata alla promozione delle relazioni culturali ed economiche tra la Cina e l’Italia. Il 3 maggio, dopo tre anni di attività, l’esperienza di It’s è giunta al termine. In che modo, in questi anni, l’Italia ne ha beneficiato?
Lo Shanghai Italian Center è stata un’importante piattaforma nei rapporti bilaterali tra Italia e Cina, soprattutto in una Shanghai sempre più interessata a scoprire il nostro Paese, ora più che mai sinonimo di cultura, cibo e soprattutto made in Italy. Il Padiglione ha agito in due direzioni: da un lato ha dato la possibilità ai visitatori di apprendere qualcosa di nuovo sull’Italia attraverso le mostre permanenti e temporanee, dall’altro ha fornito una cornice unica, e difficilmente riproducibile altrove, agli eventi che vi hanno avuto luogo: basti pensare alle cene di gala all’ombra della cupola di Brunelleschi o alle conferenze con, alle spalle, l’orchestra verticale.
Il bilancio di questi anni è sicuramente positivo. Da questo momento in poi il Padiglione ospiterà altre attività, ma speriamo comunque che continui a essere di grande beneficio a chi lo utilizzerà.
Insieme a quello italiano sono stati donati alla municipalità di Shanghai anche altri padiglioni. Ma, dei pochi sopravvissuti alla Shanghai World Expo, solo quello italiano, a partire dalla sua riapertura nel maggio 2012, può vantare un ricco calendario di eventi e mostre. Qual è il destino dell’intera area Expo?
L’area originariamente occupata dall’Expo del 2010 era di 5,3 kmq, divisi sulle due sponde del fiume Huangpu: una zona quindi molto vasta. Una volta terminata la manifestazione, molti padiglioni sono stati, come previsto, smantellati, e altri sono stati riconvertiti in nuovi progetti. Il Theme Pavilion, ad esempio, è ora lo Shanghai World Expo Exhibition and Convention Center e nella stessa zona sono presenti importanti spazi come l’ex Expo Center, ora sede per congressi, la Mercedes Benz Arena, ora palazzetto per grandi eventi, oltre alla River Mall di recente apertura. Non bisogna infine dimenticare il Padiglione cinese, adesso China Art Museum, con cui è stato dato alla città un nuovo museo d’arte moderna. Inoltre sono previsti nell’area anche spazi per uffici, strutture ricettive e parchi di intrattenimento. Lo Shanghai Italian Center, così come altre strutture, fa appunto parte di questo progetto a lungo termine di riadattamento della zona ex-Expo in una parte integrante della città. Ci vorrà del tempo, ma i risultati saranno di certo interessanti.
Il Museo Ferrari ha dato un enorme contribuito alla forza attrattiva del centro, soprattutto agli occhi del pubblico cinese. Come è stato accolto il primo museo distaccato dell’importante casa automobilistica?
Il Museo Ferrari ha avuto come obiettivo principale quello di presentare ai visitatori le due anime dell’azienda: la prima che abbraccia la passione, l’eleganza e il fascino, la seconda che si concentra sullo sviluppo tecnologico e la continua ricerca dell’eccellenza. Il pubblico cinese è stato entusiasta di questa opportunità: il numero di fotografie scattate nel Museo Ferrari supera di gran lunga quello di qualsiasi altra sala del centro!
Tra i partner un ruolo chiave è stato svolto dalla Triennale: in cosa è consistita la collaborazione con l’istituzione italiana?
La Triennale di Milano ha saputo interpretare al meglio l’esigenza di trasmettere ai visitatori cinesi un’idea di Italia a 360 gradi, andando al di là dell’immagine classica composta da pasta, moda e città d’arte. Con questo non voglio dire che siano elementi da cui prescindere, ma è stato importante sfruttare la curiosità del pubblico cinese per comunicare anche altro. Per esempio, la mostra Tradizione e Innovazione. L’Italia in Cina ha offerto uno spaccato sull’arte orafa, sulle tecnologie a favore della sostenibilità ambientale, sulla varietà alimentare e sul contributo italiano nello sviluppo delle conoscenze dell’oriente, da Marco Polo in poi. Il tutto, ovviamente e rigorosamente, made in Italy. La mostra La Verità dei Materiali. L’Italia in Cina è stata invece orientata a far scoprire al pubblico cinese la capacità italiana di convertire materiali per così dire comuni, come il legno, la plastica e la pietra, in oggetti unici e ad alto valore creativo. E devo dire che i risultati sono stati notevoli.
Ancora oggi colpiscono le strutture rimaste all’interno di It’s dopo l’Expo 2010: l’orchestra verticale, la ricostruzione della cupola del Brunelleschi e del Teatro Olimpico di Vicenza del Palladio. Com’è stata coniugata la natura del Padiglione con i nuovi contenuti?
Quando la struttura fu riconvertita nello Shanghai Italian Center, la necessità era quella di interferire il meno possibile con gli spazi e le geometrie preesistenti, che evidentemente avevano fatto del Padiglione italiano uno dei più apprezzati anche dal punto di vista architettonico. È stata quindi una scelta naturale quella di mantenere alcuni elementi caratterizzanti come la riproduzione del Teatro di Vicenza, la sezione della cupola del Brunelleschi e l’orchestra verticale. I visitatori hanno apprezzato questa scelta così come hanno riconosciuto la novità dei contenuti delle sale.
Quali sono state le strategie adottate per il coinvolgimento del pubblico di It’s e quali i numeri raggiunti?
Lo Shanghai Italian Center è stato visitato da quasi mezzo milione di visitatori ogni anno, in parte individuali, in parte organizzati in gruppi da agenzie turistiche locali. La zona ex-Expo è particolarmente gettonata fra i turisti cinesi che, memori dell’esperienza della Shanghai World Expo, hanno fin da subito voluto riviverne gli spazi, come il Padiglione cinese, l’ex Padiglione Arabia Saudita e i parchi sul lungofiume costruiti per l’occasione e tuttora molto frequentati.
Cosa potrebbe riprendere Milano dal “modello Shanghai” e cosa dicono i tuoi colleghi cinesi dell’Expo milanese?
Shanghai ha beneficiato in modo notevole dell’esperienza dell’Expo 2010, la città è migliorata in molti aspetti della vita quotidiana urbana, a partire dall’ampliamento della rete metropolitana fino all’abbellimento del verde pubblico. L’Expo 2010 è stata la finestra sul mondo della Cina, un Paese dove una grandissima fetta della popolazione non ha modo di vivere direttamente esperienze internazionali e ha quindi avuto nell’Expo un’occasione unica di crescita e apprendimento. La Cina ha in generale molta fiducia in manifestazioni di questa grandezza e lo ha dimostrato partecipando all’Esposizione Universale di Milano con ben tre padiglioni. In molti qui hanno il biglietto per l’Expo italiana.
Alessia Di Clemente
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