In memoria di Mary Ellen Mark
È scomparsa Mary Ellen Mark, la fotografa della sofferenza e della reinvenzione della realtà. Tim Burton ha espresso per primo il dolore per la sua morte, per chi aveva documentato la lavorazione di sette suoi film. Qui il ricordo di Clara Tosi Pamphili.
In un’intervista del 2013, Giuseppe Rotunno dichiarava che Mary Ellen Mark (Philadelphia, 1940 – New York, 2015) era una dei suoi fotografi preferiti. Si erano conosciuti sul set del Satyricon nel 1968, dove lui cercava di fotografare il buio e disegnava con la luce uno dei più importanti film di Federico Fellini e lei era stata inviata a fare un reportage per Look sul grande regista italiano. Era al suo primo incarico dopo essersi laureata in pittura e storia dell’arte in Pennsylvania, aver fatto un master di due anni in fotogiornalismo e aver passato un anno in Turchia.
Oltre al Satyricon le venne chiesto di documentare l’uso del metadone come pratica di cura dell’eroina a Londra, due situazioni apparentemente opposte, che hanno continuato a caratterizzare tutta la sua vita e la sua produzione. Il cinema e il reportage: l’attenzione ai dimenticati dalla società, alla documentazione dell’ingiustizia sociale, ma anche la passione per la documentazione della finzione, della costruzione dell’artificio soprattutto nei film di registi visionari.
Mary Ellen Mark è morta a 75 anni dopo un dura malattia. Non aveva perso il look da esploratrice, come quello della foto che la ritrae con al collo le macchine, rigorosamente analogiche, appoggiata al possente Marlon Brando di Apocalypse Now.
In viaggio continuamente, a esplorare i luoghi dell’emarginazione per fotografarla e renderla un dato concreto: così è la prima a fare un reportage su Madre Teresa di Calcutta, a fare ritratti della cultura omosessuale e del fronte di liberazione femminista e poi la guerra in Vietnam.
“Sono interessata alle figure borderline. Quello che voglio fare è provare la loro esistenza”, diceva nel 1987. Nel 1992 produce il film American Heart con la regia del marito Martin Bell, realizza pubblicazioni; sedici sue serie sono state esposte nei più importanti musei del mondo e vince premi importanti come il Robert F. Kennedy Journalism Award, il Cornell Capa Award e il Photographer of the Year Award. Ha collaborato con Life, New York Times, Paris Match, Rolling Stone, The New Yorker, Vanity Fair. La sua sensibilità di fotogiornalista le consente di realizzare un progetto meraviglioso per il National Museum di Reykjavik, nel 2007, Extraordinary child, sull’attività di due scuole per bambini disabili.
Così come ha sempre viaggiato nelle vite dei dimenticati, ha passato un mese sul set del Satyricon, dieci anni dopo farà lo stesso con Apocalypse Now: diceva che le piaceva andare in giro per il set con la sua Leica per documentare quello che succedeva, non per fare foto da poster agli attori. Con questo spirito di ricerca dello stato d’animo realizza un ritratto bellissimo di Rotunno e Fellini, una delle tante immagini che documentano il set, le pause, il trucco, l’energia del regista che “urlava sempre per farti muovere e andare con lui”.
Satyricon fu un’iniziazione perfetta: un film che racconta le abiezioni umane, i sogni, le babilonie e le negatività soprattutto dei due giovani protagonisti, amici che nel pericolo non si aiutano, figure sbandate e borderline anche loro. Un’interpretazione artistica del problema sociale che la condizionerà in tutti i suoi lavori, portandola a guardare l’individuo sia come vittima reale di ambienti precisi (ad esempio la scuola) che come entità al di là di ogni confine spaziale, temporale e sociale.
Oltre al lavoro con Federico Fellini, Francis Ford Coppola e Tim Burton, è stata fotografa di scena di altri set tra cui Conoscenza carnale, Qualcuno volò sul nido del cuculo e Alice’s Restaurant.
Clara Tosi Pamphili
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