Ecco perché dobbiamo salvare Palmira dall’ISIS
È una triste notizia di queste ore: anche l’antico sito di Palmira è caduto nelle mani dell’ISIS. Qui potete leggere una testimonianza di Ghiath Rammo, archeologo siriano. Anzi, archeologo e siriano…
PALMIRA: SALVARE UOMINI E OPERE
Da quando nel 2011 in Siria sono scoppiate le proteste e poi il conflitto, ho spesso polemizzato con i miei amici, colleghi, professori e familiari riguardo la scelta di difendere il patrimonio storico-culturale oppure il popolo. Da un lato c’è la storia dell’umanità, la testimonianza della nostra esistenza e del nostro futuro. A cosa serve un popolo senza il suo passato, la sua storia e la sua memoria? Dall’altro lato ci sono le anime: donne, bambini e uomini. A cosa serve un patrimonio senza uomini, senza donne e senza bambini che possano continuare a raccontarlo nel futuro?
Qualcuno potrebbe dire che possiamo, anzi dobbiamo difenderli entrambi. È vero, possiamo farlo, ma a volte la scelta non è facile e diventa un peso morale che grava sulle spalle, come sta succedendo ora a Palmira.
LA STORIA DELL’ANTICA PALMIRA
I resti della città stupiscono sia per la loro estensione che per il loro sorprendente stato di conservazione: l’antico sito riemerge poco a poco in tutta la sua grandezza e originalità. Tadmor, come viene chiamata oggi, fu per molto tempo il nome dell’oasi che, grazie alla sua posizione geografica, era una tappa d’obbligo per le carovane provenienti dall’Oceano Indiano e dirette verso il Mediterraneo e quindi l’Europa. Palmira era anche l’ago della bilancia tra Oriente e Occidente, contesa tra romani e sassanidi: una terra di confine tra diversi imperi. La città di Tadmor viene menzionata già in alcune tavolette datate XIX secolo a.C. e nel I secolo a.C., quando i Romani invasero la Siria e iniziarono a chiamarla Palmira, “la città delle palme”. Alla fine del 267 d.C. la situazione cambia: il potere viene assunto dalla regina Zenobia, donna ambiziosa che sostiene di discendere da Cleopatra. Nel 270 la regina s’impadronisce di tutta la Siria, conquista il Basso Egitto e le sue truppe giungono fino al Bosforo, finché nel 272 i Romani riescono a riprendersi Palmira, imprigionando Zenobia e conducendola a Roma.
Dalla Siria ogni giorno arrivano le notizie dei morti, da tutte le zone del Paese, senza distinzione, senza riguardare una precisa etnia, colpendo gli uomini di tutte le religioni e di tutte le fedi. Ci troviamo così a chiedere aiuto per mettere fine al conflitto e fermare la macchina della guerra, ma probabilmente nessuno prende sul serio questo appello, primi fra tutti i siriani, causa stessa del problema, e poi i player regionali e internazionali, che a volte non trovano un interlocutore e altre volte guardano ai propri affari, in assenza dell’Onu, la cui unica forza ormai è denunciare ed esprimere preoccupazione.
L’IMMOBILISMO DELL’ONU
Nel marzo del 2001 i talebani hanno distrutto i Buddha di Bamiyan davanti agli occhi di tutto il mondo, rimasto immobile e ammutolito. In Siria, nella città di Aleppo, perla del Medio Oriente dall’importante storia islamica e umanitaria, è stato distrutto il prezioso minareto del XII secolo all’interno della grande moschea degli Ummayadi, così come il suk, il più lungo mercato coperto del mondo. E anche qui, come in Afghanistan, sempre davanti agli occhi di tutti ma senza alcun tipo di intervento.
Da qualche settimana l’antica Palmira, che i siriani chiamano “la sposa del deserto”, era sotto l’assedio delle barbarie dell’ISIS e ora la città è stata occupata. Palmira è un centro strategico che collega, nella zona interna e meridionale del paese, l’est con l’ovest e in generale la Siria con l’Iraq. I combattenti del califfato vogliono anche controllare e conquistare la zona in cui vi sono i pozzi di petrolio e portare avanti una propaganda mediatica esattamente come hanno fatto nella zona di Mosul, distruggendo le città e numerosi siti e reperti archeologici.
Le autorità siriane dicono di aver portato tanti manufatti antichi di Palmira in zone sicure e al riparo dai saccheggi. Il regime cerca di usare la minaccia e l’attacco dell’ISIS a proprio favore, ponendosi dalla parte dell’innocente e sotto costante rischio di attacco, per poter essere lui stesso considerato l’ancora di salvezza, l’unico difensore dei diritti e dei principi dell’umanità.
Mentre noi, che viviamo fuori dalla Siria, abbiamo mostrato solo qualche parola di solidarietà, qualche post su Facebook o hashtag su Twitter: sono certamente bei gesti di solidarietà, ma purtroppo non possono salvare niente o nessuno senza un’azione tangibile. Ecco perché le forze internazionali dovrebbero muoversi e intervenire per salvare con tutti i mezzi possibili proprio Palmira, grande e importante patrimonio di tutta l’umanità, che non deve svanire nel nulla né i suoi abitanti essere dimenticati.
Ghiath Rammo
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