Lo strano caso di Zana Briski
Nel 2004 ha commosso il mondo con il documentario “Born Into Brothels”. Dieci anni dopo il suo sito Internet è una pagina bianca e ha scelto di vivere lontanissima dai riflettori. Distaccata dal mondo occidentale e dal mercato dell’arte, siamo riusciti a incontrare Zana Briski prima del suo ennesimo viaggio con destinazione la natura selvaggia.
Il 2004 è stato un anno cruciale per la tua carriera. Il tuo documentario Born Into Brothels ha vinto l’Academy Award for Documentary Feature e tutto il mondo si è accorto di te. Ci racconti com’è andata?
Certo, da dove cominciamo?
Perché ti trovavi in India?
Ero là con nessuna intenzione in particolare. L’India non era per me una destinazione, ma un luogo di passaggio. Quando è iniziata questa storia mi trovavo a Calcutta, tutto qua.
Com’è nata l’idea del soggetto?
Stiamo parlando di qualcosa assolutamente non nel mio radar. Il documentario non è partito da una mia idea. Tutto è cominciato quando un bambino mi ha sorriso e mi ha detto: “Mi insegni come si scatta una foto?”.
E tu?
E io ho accettato. Quindi è arrivata l’idea di dare delle camere ad alcuni bambini, così da immortalare luoghi e vite come nessuno aveva mai fatto prima.
Quanto hai vissuto in India?
Per motivi diversi ho fatto avanti e indietro per dieci anni. Non era quello che avevo in mente di fare nella mia vita.
Grazie a questa tua lunga parentesi indiana è arrivato un riconoscimento mondiale di pubblico e di critica.
Ho vinto 32 premi per Born Into Brothels. Ancora sono molto grata e sorpresa di questo.
Niente male per una regista non professionista all’esordio.
Sono una fotografa. Questa è la mia professione. L’opera documentarista è stato un genere di imprevisto capitato viaggiando e incontrando gente.
I soggetti preferiti dei tuoi scatti.
I miei soggetti non preferiti sono gli essere umani. Quello che invece amo cercare è la natura il più lontano possibile dal mondo civile. Mi piace in particolare fotografare gli animali.
Dicono che prima di fare la foto a un insetto gli chiedi il permesso.
È così.
Cosa succede durante il cerimoniale osservativo che anticipa le tue foto?
Succede che riesco a provare un forte sentimento di rispetto e riverenza nei confronti di questi esseri viventi e agli attimi che mi stanno facendo vivere. Ci tengo a fotografare gli animali nel loro habitat, durante una loro azione assolutamente non antropizzata. Mai messo in una trappola o alterato il gesto di un animale.
Ti crediamo. Stai per partire ancora?
In Africa. Voglio andare in Namibia. E anche in Congo. Poi chissà.
Da quale Paese comincerai?
Questo non l’ho ancora deciso. Faccio sempre tutto all’ultimo minuto. Compro il biglietto a vado all’aeroporto.
Missione del viaggio?
Vivere.
E fare arte?
Fare foto, sì. Già all’età di dieci anni ho capito che avrei fatto la fotografa. Non sono capace di lavorare per qualcuno o fare qualcos’altro. La fotografia è un dono che ho ricevuto.
Tornerai fra noi?
Sono una nomade. Mi piace spostarmi. Capiterà che torni ancora a New York, perché no?
Alessandro Berni
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