Nepal 2015. Macerie di memorie
In questi giorni il mondo assiste con il cuore a pezzi a una tragedia di dimensioni apocalittiche. L’intera aerea himalayana, colpita da scosse di terremoto di una violenza devastante, sembra volersi ripiegare su se stessa, rientrando all’interno di quella profondità da cui era stata originata. Portandosi dietro uno spaventoso numero di vittime e un’enorme quantità di tesori artistici.
NASCITA DEL NEPAL MODERNO
“Qualcuno mi ha domandato che cosa interessa a noi del Nepal. Ed io rispondo: dove c’è un uomo, uno solo, lì siamo anche noi, dove c’è memoria di un passato lì troveremo la modulazione nuova delle stesse illusioni, l’inveramento diverso, ma non discordante, degli archetipi dello spirito umano” (Giuseppe Tucci, Nepal: alla scoperta del regno dei Malla). Il Nepal, così come fu brillantemente descritto dal padre degli studi orientalistici in Italia, Giuseppe Tucci, oggi non esiste più. Con emozione rileggo le pagine che per anni mi hanno fatto sognare luoghi segreti, un tempo quasi inaccessibili. Parola dopo parola, ripercorro il viaggio di Tucci nella valle di Kathmandu, attraverso sentieri non tracciati, percorribili solo con l’aiuto di esperti carovanieri, alla scoperta dei capolavori artistici e architettonici lasciati dalla dinastia dei Malla (1200-1769).
Certo, dai tempi dei viaggi di Tucci negli Anni Trenta, il Nepal era già cambiato molto. All’epoca di quelle prime missioni, nel Paese vigeva una diarchia in cui il monarca aveva solo una funzione di rappresentanza, mentre il governo era in mano a ministri dalla carica ereditaria, appartenenti alla famiglia Rana, il cui potere era stato ottenuto nel 1846 attraverso un colpo di Stato. La famiglia Rana si era adoperata per mantenere il Paese nell’isolamento, cosi da poterlo controllare con più facilità e solo verso la metà del XX secolo, quando in seguito alle dimissioni dell’ultimo ministro ereditario il Nepal era tornato a essere una monarchia, i contatti con il resto del mondo si erano gradualmente intensificati.
Quest’apertura è passata attraverso la costruzione di aeroporti, di cui tuttavia uno solo internazionale, e il potenziamento della rete stradale, che hanno reso il Nepal più facile da raggiungere per centinaia di migliaia di visitatori. Purtroppo però, il problema dell’isolamento non è stato mai del tutto risolto ed è per questo che all’indomani della tragedia consumatasi ci si interroga con grande inquietudine proprio sul come raggiungere le numerose zone che si trovano quasi completamente tagliate fuori dal resto del Paese.
LA DEVASTAZIONE A KATHMANDU
Il bilancio di questa tragedia è spaventoso: migliaia le vittime e danni economici incalcolabili, che vanno ad aggravare in maniera insostenibile la condizione già precaria di questo Stato. Il Nepal è diventato una Repubblica Democratica Federale soltanto nei primi Anni Zero, dopo anni di guerra civile fomentata dai guerriglieri del Partito Comunista Maoista Nepalese. Si tratta tuttavia di una democrazia ancora instabile, che fatica ad avere l’appoggio incondizionato di tutta la popolazione e che in una situazione grave come quella attuale rischia seriamente di essere messa in discussione.
Quelle che vediamo oggi sono scene apocalittiche in cui quasi nulla sembra essere sfuggito alla rovina, ma a fianco alla tragedia umana se ne è consumata un’altra di cui riusciremo a comprendere pienamente l’entità solo tra alcune settimane: la devastazione di uno dei patrimoni artistici più ricchi e affascinanti al mondo.
Se sul web l’immagine che rimbalza più frequentemente è quella della torre Dharahara, uno dei monumenti più noti e riconoscibili di Kathmandu, voluta nel 1825 dal ministro Bhimsen Thapa e peraltro già parzialmente ricostruita dopo il terremoto che aveva scosso il Paese nel 1934, altre e ben più gravi sono le perdite dal punto di vista storico-artistico per la capitale nepalese.
Ha subito danni irreparabili l’intera valle di Kathamandu, in cui si trovano oltre un centinaio di monumenti di grande interesse tra complessi architettonici buddhisti e induisti, templi lignei e in pietra, pilastri e stupa. Alcune delle immagini più drammatiche sono quelle della piazza Basantapur, dove l’80% dei monumenti storici è stata distrutta. In particolare molte foto si soffermano sul templio induista Maju Dega, costruito nel XVII secolo, oggi completamente raso al suolo, come il vicino Kasthamandap. Quest’ultimo era uno degli edifici emblematici della capitale: costruito all’inizio del XVI secolo, in piena epoca Malla, dal sovrano Laxmi Narsingha Malla, il Kasthamandap rappresentava uno dei migliori esempi di pagoda nepalese e sicuramente la più grande. Il tempio, dal cui nome sarebbe derivato quello della capitale, era un edificio a tre piani che si diceva fosse stato costruito con il legno di un solo albero. Al suo interno era conservata un’importante scultura del saggio shivaita Guru Gorakhnath, universalmente considerato uno dei padri della disciplina dell’Hatha Yoga. Fortunatamente, sono stati riscontrati solo danni lievi al Pashupatinath, un altro antico complesso architettonico dedicato al culto shivaita, il cui nucleo centrale viene fatto risalire all’inizio del V secolo.
Il canale Euronews rimanda immagini aeree riprese da un drone che mostrano chiaramente i danni allo Swayambhunath, anche detto Tempio delle Scimmie. Costruito in epoca Licchavi (300-879), precisamente nel V secolo, per volere del re Manadeva I, lo Swayambhunath è uno tra i più frequentati complessi architettonici buddhisti nepalesi ed era stato recentemente ristrutturato. È costituito da un’importante stupa che non sembra aver subito particolari danni e da una serie di architetture minori, alcune delle quali invece appaiono gravemente danneggiate.
LA SITUAZIONE A BHAKTAPUR
Immagini drammatiche arrivano non solo da Kathmandu ma anche dalle altre due città reali, precedenti capitali del Nepal: Bhaktapur e Patan. Fondata all’incirca nel IX secolo, Bhaktapur divenne capitale del regno dei Malla intorno al XII secolo e mantenne una posizione privilegiata fino alla conquista delle milizie Gorkhas nel 1769. L’antica planimetria della città seguiva un’originale forma a conchiglia, il cui nucleo era inscritto in un ideale triangolo, simbolo esoterico della trinità (o trimurti). Agli angoli di quest’area sorgevano tre templi dedicati a Ganesha, divinità protettrice di Bhaktapur. Al centro, la Durbar (piazza centrale) riconosciuta patrimonio dell’Unesco, su cui si stagliano il Palazzo delle 55 Finestre e una serie di templi induisti e buddhisti di grande pregio. Il centro della città offre, o meglio offriva, anche splendidi esempi di architettura Newar. Questo stile, usato dalle popolazioni indigene del Nepal (chiamate appunto Newar), è caratterizzato dall’uso di piccoli mattoni argillosi per la costruzione delle pareti, mentre tutti gli altri elementi (colonne, travi portanti, verande, finestre, scale) sono realizzati in legno riccamente intagliato e spesso abbellito con decorazioni dalle colorazioni vivaci. Agli elementi lignei si alternano quelli in bronzo dorato su cui sono spesso scolpite immagini religiose o simboli esoterici.
Difficile oggi stabilire quanti di questi edifici siano rimasti in piedi. La Durbar, così come le aree limitrofe, appaiono completamente devastate. Diverse immagini mostrano che il Nyatapola Temple è riuscito a restare miracolosamente in piedi. Fatto costruire nel 1702 dal re Malla Bhupatindra, con i suoi cinque piani è l’architettura a pagoda più alta del Nepal. La stessa sorte non è toccata purtroppo al Vatsala Durga Temple, uno splendido esempio di architettura Shikhara, costruito nel XVII secolo, nel mezzo della Durbar di Bhaktapur, che è invece stato completamente raso al suolo.
Solo danni di lieve entità per il Changu Narayan, uno dei più antichi complessi architettonici induisti del Nepal, la cui esistenza è documentata già ai tempi del re Hari Datta Vermala, sovrano appartenente alla dinastia Licchari, che governò il Paese tra il 496 e il 524. Situato in un villaggio nel distretto di Bhaktapur, il Changu Narayan conserva al suo interno numerosi bassorilievi, steli e sculture a tutto tondo, tutti capolavori dell’arte nepalese realizzati tra il V e il VIII secolo, di cui al momento non si conoscono le condizioni. Da alcune immagini messe a disposizione dal Living Traditions Museum si evince tuttavia che i danni subiti al templio sono solo superficiali. In questo panorama di devastazione, fa piacere constatare che, nonostante la distruzione a volte totale delle architetture, diverse preziose sculture conservate all’interno di esse si sono miracolosamente salvate. È il caso di una scultura di Buddha semi-sommersa dai detriti il cui viso sorridente rimbalza tristemente sul web.
LA SITUAZIONE A PATAN
Incalcolabili anche i danni subiti da Patan. L’ex capitale del regno Malla, conosciuta anche come Lalitpur, ovvero la città della bellezza, non potrà mai più tornare come era una tempo. Fondata nel III secolo a.C. e pertanto considerata uno dei centri abitati più antichi in Nepal, Patan e la sua Darbar, patrimonio dell’Unesco, è oggi invasa dai detriti e totalmente stravolta. Proprio nell’area adiacente la Durbar, a differenza dei vicini Hari Shanker e Uma Maheswar, pur avendo subito danni, il tempio Krishna Mandir è rimasto in piedi. Fatto costruire nel 1637 dal sovrano Malla, Siddhi Narasigh, il tempio rappresenta uno dei più begli esempi di architettura Shikhara in Nepal. Secondo la leggenda, il sovrano Siddi Narasigh aveva fatto costruire il Krishna Mandir in seguito a un sogno in cui il dio Krishna e la compagna Radha stavano in piedi di fronte un maestoso palazzo in quel luogo preciso di Patan. L’importanza di questo edificio è proprio nella qualità delle sculture in pietra che ne decorano gli esterni.
Difficile stimare le condizioni di altri importanti monumenti. Al momento attuale, così come è giusto che sia, l’emergenza primaria è la popolazione. Bisognerà quindi aspettare per poter valutare con esattezza la quantità di monumenti e di tesori artistici che sono andati irrimediabilmente perduti e quelli che invece sarà possibile restaurare e recuperare. Ma pur in mancanza di dati completi e certi, si è già in grado di affermare, come ha del resto sostenuto in una recente intervista anche Irina Bokova, alto ufficiale dell’Unesco, che nessun disastro naturale nei tempi moderni ha causato una perdita paragonabile a quella consumatasi nei giorni scorsi in Nepal. Questo tragico evento si è portato via un pezzo della storia dell’umanità, lasciando dietro di sé infinite macerie di memorie che erano, usando le parole di Tucci, “l’inveramento diverso, ma non discordante degli archetipi dello spirito umano”.
Valentina Gioia Levy
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