Quando l’architettura incontra il cibo. Da Expo al Maxxi
Un viaggio attraverso l’architettura legata alla dimensione simbolica, funzionale e rituale del mangiare. A partire da due mostre che a Expo si relazionano in diversa maniera: alla Triennale di Milano e al Maxxi di Roma.
Nel 2013 Beppe Finessi curava per il Mart di Rovereto la mostra Progetto Cibo. La forma del gusto, un itinerario ampio e diversificato attraverso il design del cibo, prendendo spunto da una brillante metafora di Munari che nel 1963 citava un frutto come progetto eccellente. Bruno Munari diceva infatti che “l’arancia è un oggetto quasi perfetto dove si riscontra l’assoluta coerenza tra forma, funzione, consumo. […] L’assenza di qualunque elemento simbolico espressivo legato alla moda dimostra una coscienza di progettazione”.
Sono trascorsi due anni e il tema di Expo è proprio l’alimentazione. In questi mesi molto si è parlato di cibo ed Expo è l’occasione per relazionarsi all’argomento anche attraverso le architetture che danno una nuova forma a un intero brano di città.
Vi proponiamo allora un viaggio attraverso l’architettura legata alla dimensione simbolica, funzionale e rituale del mangiare, a partire da due mostre che a Expo si relazionano in diversa maniera.
Iniziamo da Arts & Foods, una mostra interdisciplinare e multisensoriale curata da Germano Celant e allestita da Italo Rota che occupa l’intero Palazzo della Triennale di Milano e per questo è pensata come primo padiglione concettuale e di ricerca di Expo. Celant articola un percorso di stampo enciclopedico, una collezione onnivora di elementi per indagare le relazioni esistenti fra tutte le arti e il cibo. Se il visitatore è affetto da un certo gusto feticistico come chi scrive, potrà godere delle ricostruzioni di interi ambienti del convivio, tra cui la curiosa camera da pranzo di Gerardo Dottori di Casa Cimino, che fa tornare alla mente il Manifesto della cucina futurista, primo tentativo di unione tra cibo, musica e letteratura. Marinetti infatti parlava del luogo dedicato al pasto come scena teatrale in cui l’arte culinaria fosse capace di stimolare non solo il gusto, ma tutti i sensi e le energie dei convitati.
Altro oggetto architettonico stupefacente è la Maison des Jours Meilleurs, casa temporanea di 57 mq che Jean Prouvé ha studiato e costruito nel 1956 per i momenti di emergenza abitativa. Una struttura precostruita e iperfunzionale, montabile in poche ore da sole due persone, che ruota intorno al nucleo della cucina e dei servizi. O ancora sullo stesso tema lo sperimentale Meuble Cousine Atelier creato nel 1952 da Le Courbusier e Charlotte Perriand per l’Unité d’Habitation di Marsiglia. Per arrivare ai giorni nostri con alcuni disegni e collage poco noti di Richard Meier o il Fishdance Restaurant realizzato da Frank Gehry a Kobe e in mostra rievocato dalla grande installazione GFT FIsh del 1987.
Ma se volete inoltrarvi in uno studio più approfondito, l’occasione è data dal saggio in catalogo (Electa) di Manfredo di Robilant, che analizza il rapporto nell’architettura del Novecento tra edifici e culture alimentari a partire da quello che fu definito il più costoso ristorante mai costruito, il famoso Four Seasons che Philip Johnsons progettò per il Seagram Building di Mies van der Rohe, fino alle contemporanee sperimentazioni per l’architettura vinicola di grandi star come Herzog & de Meuron o Renzo Piano.
Si propone invece soprattutto come territorio di riflessione architettonica, con veloci incursioni nell’arte e nella fotografia, la mostra Food. Dal cucchiaio al mondo, appena inaugurata al Maxxi di Roma. Curata da Pippo Ciorra, si concentra maggiormente sugli effetti non solo spaziali ed estetici, ma anche sociali e geopolitici indotti dalla produzione, distribuzione e consumo del cibo. In che modo queste azioni incidono su paesaggio naturale e urbano? Come influenzano la sperimentazione architettonica? Il discorso si sviluppa a partire da icone architettoniche come La casa della guardia campestre di Ledoux fino a The French Laundry, il ristorante californiano che Snøhetta ha progettato per lo chef Thomas Keller. Passando dalla White Limousine dei giapponesi Atelier Bow-Wow, lussuoso e minimale ristorante trasformabile e trasportabile che attraversa e trasforma lo spazio pubblico a ogni tappa in una performance culinaria. O ancora la recente struttura che MVRDV ha pensato per accogliere il mercato di Rotterdam, che con straordinaria potenza scenografica coniuga spazio per il cibo, spazio pubblico e spazio abitativo.
Di grande interesse, tra gli studi condotti per l’occasione, la sezione dedicata all’agricivismo e all’agricoltura urbana curata dallo storico dell’urbanistica americano Richard Ingersoll e l’installazione del gruppo di critici e curatori olandesi Crimson Architectural Historians che, attraverso una complessa infografica, racconta l’evoluzione dell’architettura percorrendo la storia del granaio, punto d’incontro iniziale tra cibo e costruzione.
Emilia Giorgi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #25
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