Vincenzo Trione racconta i 3 stranieri al Padiglione Italia: Straub, Greenaway, Kentridge

“Codice Italia”, la mostra del padiglione italiano alla Biennale di Venezia, vedrà la presenza di quindici artisti provenienti dal nostro Paese. Ma Vincenzo Trione ha invitato anche tre grandi artisti internazionali. Perché, e perché proprio loro? Glielo abbiamo chiesto. E lui ci ha anticipato parecchi dettagli dei loro progetti.

Ci sono quindici artisti italiani al Padiglione Italia in Biennale. E poi tre stranieri. Perché?
Innanzitutto mi preme sottolineare che è la prima volta che il Padiglione Italia si apre a presenze internazionali.
Mi interessava individuare tre personalità di grande rilievo, che si servono di media diversi e che sono accomunati dalla fascinazione per la cultura e la storia dell’arte del nostro Paese. Ma l’aspetto interessante è che nessuno dei tre lo fa in maniera anacronistica: li accomuna il bisogno di acquisire delle memorie della cultura italiana e – si direbbe in termini sociologici – rimediarle attraverso altri linguaggi, che vanno rispettivamente dal cinema alla videoinstallazione ai disegni utilizzati come fotogrammi di un quasi-film.

Presenteranno opere inedite?
Sono tre opere assolutamente inedite, sì.

Che tipo di rapporto hai avuto con loro?
Un rapporto di grande disponibilità, se conti che i tempi sono stati strettissimi: li ho contattati a dicembre. Sono quindi entrati nel progetto con un rischio di produzione altissimo. Con loro ho avuto un confronto quasi quotidiano.

Biennale di Venezia 2015 - Padiglione Italia - Peter Greenaway

Biennale di Venezia 2015 – Padiglione Italia – Peter Greenaway

Entriamo un poco nel dettaglio, per quando possibile.
La presenza più misteriosa è quella di Jean-Marie Straub, che insieme a Godard è l’ultimo grande superstite della nouvelle vague francese.

Perché hai scelto proprio lui?
Perché ha vissuto a lungo a Roma e ha conosciuto molto bene tutta la cultura italiana, da Pasolini a Pavese.

In mostra cosa ci sarà?
Presenterà il rimontaggio di un suo lavoro storico, Lezioni di storia del 1972. Amir Naderi, un importante regista iraniano, lo ha rifilmato in una sala del MoMA. È un film importante perché in qualche modo racconta il senso di questa mostra.

Per quale ragione?
Perché da un lato c’è il passare del tempo che si imprime sulla pellicola, con una immagine quasi sgranata, e dall’altro è un film molto politico. Il titolo del lavoro è In omaggio all’arte italiana, dove “omaggio” va inteso come omaggio alla storia dell’arte italiana, ma anche omaggio all’arte dell’imbroglio, della truffa tipica italiana. È un dialogo fra due personaggi nella Roma dei primi degli Anni Settanta, che parlano e sono abbigliati come antichi romani: riportano passaggi da un dialogo di Brecht sulla corruzione della Roma antica ma sembrano che parlino della Roma contemporanea.


È il momento di Straub, della sua “riscoperta”?
Ti dirò: dopo che l’ho chiamato, anche Enwezor ha deciso di dargli uno spazio all’interno della mostra internazionale, ed è una delle figure che tutti stanno inseguendo qui in Biennale. Pensa che, senza sapere che sarebbe stato invitato al Padiglione Italia, vari degli artisti – che, come sai, presentano ognuna un’installazione e un archivio – hanno scelto proprio Straub come figura di riferimento. Roberto Andò, che dirige il dipartimento di documentaria del Centro Sperimentale di Cinematografia, mi diceva che vogliono dargli una laurea ad honorem. E quando è venuto Peter Greenaway a fare il sopralluogo, la prima cosa che ha chiesto è stata: “Quando potrò vedere il film di Straub?”.

Lui aveva già partecipato a manifestazioni di questo genere?
No, è la sua prima videoinstallazione, e conta che è un uomo degli Anni Trenta.

Lo citeremo come “giovane artista” allora…
È la definizione giusta!

Ci dici qualcosa anche sul lavoro di Greenaway?
Sì. Farà una videoinstallazione su sei schermi, accompagnata da musica, dove riattraversa momenti della storia della cultura, dell’arte e dell’architettura italiana da Pompei ai giorni nostri. In alcuni momenti sembra un viaggio nella memoria, in altri sembra invece un videoclip! C’è una grande attenzione alla grafica in questo suo lavoro ed è senz’altro un luogo immersivo.

Biennale di Venezia 2015 - Padiglione Italia - William Kentridge

Biennale di Venezia 2015 – Padiglione Italia – William Kentridge

E così arriviamo a William Kentridge.
Il suo è un lavoro che si sviluppa su tre piani. Il primo è il lavoro su Roma, Triumphs and Laments: l’aveva presentato al Maxxi come discussione ma non è mai stato esposto. Sono trenta disegni in cui rappresenta la storia di Roma dalla morte di Remo alla Dolce Vita e alla morte di Pasolini.

È il progetto di Tevereterno o sbaglio?
Sì, i primi disegni sono quelli.

E poi cosa porta in Biennale?
È un fregio di sette metri, ispirato alla Colonna di Traiano, nel quale rilegge ancora una volta la storia di Roma rimontando la sequenza di disegni di cui ti dicevo poco fa. Infine, a parete, un omaggio al corpo di Remo morto e uno stencil gigantesco, su cartone pressato, che rappresenta invece il corpo di Pasolini morto.

Senti, Aldo Tambellini invece lo consideriamo italiano a tutti gli effetti?
Sì, e infatti è all’interno di Codice Italia. Lui stesso si considera italiano: ha trascorso i suoi primi diciotto anni in Italia, si è formato all’Istituto d’Arte di Lucca… È culturalmente italiano.

Marco Enrico Giacomelli

www.labiennale.org

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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