Biennale di Venezia. Cui Qiao racconta il padiglione cinese
È la prima volta che il curatore del Padiglione della Cina – quest’anno disegnato da OMA – alla Biennale di Venezia è una donna, giovane, cosmopolita e non troppo legata alle accademie nazionali. Abbiamo intervistato Cui Qiao.
Cui Qiao è la curatrice del Padiglione della Cina alla Biennale di Venezia 2015. Nata come corrispondente internazionale in Germania, ha saputo costruire una carriera che l’ha portata a ricoprire posizioni importanti, come direttrice del Goethe Institute in Cina e vicedirettore dell’UCCA – Ullens Centre of Contemporary Arts, il principale spazio privato dedicato all’arte contemporanea nel distretto 798 di Pechino. Il padiglione cinese delle passate edizioni ha sempre fatto discutere, soprattutto in patria: troppo istituzionale, incapace di rappresentare la vera forza espressiva dell’arte cinese e legato a pittori presenti sulla scena ormai da quasi trent’anni. Il progetto di Cui Qiao prova a dimostrare che l’arte contemporanea cinese ha raggiunto alti livelli di sperimentazione, e di pittori dalle belle arti non ne invita nessuno. L’abbiamo intervistata per farci spiegare le sue scelte.
Poco prima di entrare all’interno del Padiglione della Cina, il pubblico si chiederà a che cosa si riferisca il titolo della mostra, Other Future. In realtà la traduzione letterale di 民间未来 è Civil Future. Perché hai deciso di giocare sui due concetti “altro” e “civile”? Come si collegano al tema principale della Biennale di Okwui Enwezor, All the world’s Future?
Ciò che la Cina mostra a livello internazionale non è mai scontato. Può essere un mondo dinamico dal punto di vista politico-economico, oppure un continuo cambiamento sociale e ambientale. Eppure tutti si chiedono: “Cos’ha in serbo il futuro per la Cina?”. Se per un attimo ci potessimo allontanare dal frenetico sviluppo cinese, con le sue politiche e contraddizioni, e ci soffermassimo sulla sua quotidianità, forse si riuscirebbe a riscoprire il vigore della Cina – che è rimasto incondizionato, nonostante le mille vicissitudini – e la sua straordinaria forza creativa.
Il titolo della mostra guarda proprio a questo possibile “altro futuro”: pone l’accento sul ruolo dell’arte nella società, sul suo rapporto con l’attualità e i cambiamenti, su quanto sia indipendente la realizzazione di un artista multi-disciplinare, su quali siano le fonti d’ispirazione degli artisti cinesi ecc. Tutte questioni che mirano a capire il futuro civile della nostra nazione.
E per quanto riguarda il termine “civile”?
Quello che qui viene identificato come civile non ha nulla a che fare con la sociologia, piuttosto si riferisce all’esistenza di ogni membro di una società civile, difficilmente classificabile in una categoria fissa. Inoltre si collega al concetto più aperto e tollerante di “civile” come qualcosa di spontaneo e legato alla libertà creativa. La parola futuro invece non si riferisce a un’utopia, piuttosto all’interazione tra il vecchio e il nuovo e alle infinite possibilità che si creano nei diversi tessuti sociali. In sintesi, Other Future è una sorta di viaggio in progressione: per la maggior parte degli artisti, la visione del mondo trascende spazio, tempo e cultura, e riesce a rappresentare il futuro di tutti i Paesi.
Perché hai scelto proprio questi cinque artisti? Tra i selezionati c’è ad esempio il famoso direttore d’orchestra Tan Dun, impegnato in una performance il 7 maggio.
Il padiglione cinese ha invitato tre artisti e due gruppi: Liu Jiakun, Lu Yang, Tan Dun, Wen Hui del Living Dance Studio e Wu Wenguang dalla CCD Workstation.
Ogni artista è un esploratore al di fuori della sfera ufficiale, ognuno con un interesse diverso e con diverse ricerche all’attivo. Anche se difformi, hanno una cosa che li unisce: prendono tutti spunto da vite comuni e dalle tradizioni culturali, cercando un’innovazione interdisciplinare che si amalgami bene al tessuto contemporaneo. La loro percezione dell’arte e della società contemporanea rivela l’energia dinamica delle comunità artistiche cinesi, tutte tese a un superamento delle convenzioni.
Ci puoi fare degli esempi?
Liu Jiakun è un architetto attento ai problemi di attualità sociale; i lavori di Lu Yang sono controversi e innovativi; Tan Dun, oltre a essere un compositore, è anche un artista molto attento alla diversità e alla miscellanea che si sta creando da queste diversità; CCD Workstation e Living Dance Studio invece si focalizzano sul ruolo dell’artista nella società e sono gli iniziatori di una memoria storica legata al campo della danza e alla documentazione video.
Nelle edizioni passate della Biennale, il padiglione è stato curato da importanti critici d’arte come Peng Feng e Wang Chunchen, i quali hanno dato un grosso contributo alla storia dell’arte contemporanea cinese. Nonostante ciò, le loro edizioni vennero a volte criticate per essere state troppo “ufficiali” e incapaci di esprimere la reale scena artistica nazionale. Come hai cercato di evitare queste critiche? Pensi di esserci riuscita?
L’organizzazione per cui lavoro e che ha vinto il progetto per la Biennale di quest’anno, la BCAF – Beijing Contemporary Art Foundation, è una realtà privata e indipendente che, a partire dalla sua fondazione nel 2008, si è sempre impegnata a organizzare eventi artistici e incontri che potessero promuovere think thank incentrati sul coinvolgimento di idee innovative e nuove pratiche artistiche.
Con questo progetto abbiamo cercato di presentare al meglio la creatività attuale cinese, includendo le nuove frontiere ma anche i conflitti presenti al loro interno. Il giudizio esterno, essendo un’opinione, non si può prevedere. Noi siamo totalmente soddisfatti di quanto stiamo presentando, perché è il 100% di quanto avevamo messo in programma. Abbiamo anche avuto molti commenti positivi da parte di esperti e critici a livello internazionale. Siamo sempre aperti a ricevere critiche su quanto abbiamo presentato: ogni giudizio è d’aiuto e non è mai visto in senso negativo, anzi la sincerità e la libertà d’espressione sono per noi punti fondamentali.
Che ricordo vorresti rimanesse ai visitatori della Biennale dopo aver visto Other Future?
Ogni persona ha un interesse individuale e una comprensione della realtà differente, basata sulla propria esperienza personale: sarebbe impossibile aspettarsi un’interazione collettiva. Più sono gli spunti, maggiore sarà il messaggio che trapela dalla mostra.
C’è però un aspetto che sicuramente mi piacerebbe trasparisse e venisse percepito: ogni artista ha una sua visione e un’unica delicatezza espressiva rivolte a importanti tematiche sociali. Nei loro lavori emerge compassione, innovazione, uguaglianza, senso critico, indignazione e un rapporto molto più stretto con il passato. Ognuno di essi prende spunto dalla natura della realtà delle cose, ma con uno specifico punto di vista. I loro lavori sono reali e controversi, ma ci incoraggiano a fronteggiare il nostro futuro.
Sara Bortoletto
http://other.future.bcaf.org.cn/en
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