Il Tesoro d’Italia di Sgarbi ad Expo. Ecco perché non va

Michele Dantini è andato a visitare la mostra “Tesori d’Italia”, quella che Vittorio Sgarbi ha curato per Eataly a Expo 2015. Non ci aspettavamo faville, ma qui pare si sia andati ben oltre…

A CHI INTERESSA UNA MOSTRA A EXPO?
Mentre visitavo Il tesoro d’Italia, la mostra curata da Vittorio Sgarbi per Eataly a Expo 2015, mi sono chiesto più volte se davvero avrei poi avuto voglia di scriverne. Riluttavo per più motivi. In primo luogo perché duellare su temi stilistici o curatoriali può sembrare futile, oggi in Italia. Poi perché mi sarebbe stato difficile evitare striduli moralismi e ovvie contestazioni: della mostra si era detto di tutto e di peggio già prima che aprisse, e io stesso avevo firmato un appello contro il trasferimento ad hoc del San Paolo di Masaccio, conservato nel Museo pisano di San Matteo.
E poi perché la mostra è casuale, allestita in fretta e può sembrare a tratti irrispettosa del prestigio di opere e artisti. Non importa se il Tesoro d’Italia raccoglie singole opere e manufatti persino meravigliosi: la trascuratezza con cui li mette in scena rende contingente ogni dettagliato giudizio di merito.
Dunque perché scriverne? Certo non per polemizzare con Sgarbi, cosa che ritengo di nessun interesse. E allora?

Tesori d'Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015

Tesori d’Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015

UN DIVERSO PADIGLIONE ITALIA
Nel migrare da una sala all’altra di Tesoro d’Italia, nello sfarzo così poco attraente di velluti e broccati a noleggio, immaginavo una diversa Expo. Un Padiglione Italia affidato a un perspicace architetto, a Renzo Piano ad esempio, concepito a mo’ di museo temporaneo per accogliere una mostra di storia dell’arte italiana dalle origini a oggi, coinvolgente e scientificamente inappuntabile.
Attorno alle sale centrali, dedicate alle opere, avrebbero potuto esserci sale riservate alle più innovative tecniche e tecnologie di conservazione, restauro, ricerca e diffusione digitale delle opere d’arte messe a punto in Italia negli ultimi tre o quattro decenni. Niente Padiglione Italia (o meglio simil-Cina) quale lo vediamo oggi. Niente Albero della vita. Niente Tesoro d’Italia da Eataly.

Tesori d'Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015 - Cofanetto-reliquiario, ante 1465

Tesori d’Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015 – Cofanetto-reliquiario, ante 1465

SGARBI E UNA CERTA IDEA DI COLLEZIONISMO
La mostra di Sgarbi riflette tratti antropologici di un determinato collezionismo italiano. Commentarla può essere utile a ricordarci che una mostra è pur sempre “lavoro specializzato”, e che le nostre attitudini al rigore, all’attendibilità, alla cura informeranno il mondo di ciò che siamo e diventiamo. Saranno nostre messaggere, accattivanti o screditate.
Attorno a Tesoro d’Italia aleggiano un pregiudizio e una sommarietà per così dire padronali. Cosa vuol dire “possedere” un’opera o essere mecenati?  Questa è pur sempre una buona domanda da cui iniziare. La risposta non è ovvia, come si può supporre, né ineluttabilmente connessa alla sola condizione dell’ampia ricchezza personale o familiare. Una collezione concepita come “tesoro”, dunque selettiva e per più versi emozionale, non rimanda a attitudini competitive. Collezionare non equivale a sfoggiare.
Esistono una profonda serietà, un’esigenza redistributiva e devozionale inscritte nella più munifica committenza dei secoli aurei della nostra storia dell’arte. Questa semplice verità sarebbe dovuta rientrare a pieno diritto nel progetto di una mostra di tema identitario.
Giovanni Rucellai, mercante fiorentino, amico, collezionista e committente di artisti come Domenico Veneziano, Filippo Lippi, Verrocchio, Pollaiolo, Andrea del Castagno e Paolo Uccello, ammette una triplice motivazione. “[Le opere d’arte] m’ànno dato e danno grandissimo chontentamento e grandissima dolcezza, perché raghuardano in parte all’onore di Dio e all’onore della città e a memoria di me”. Non si collezionano opere d’arte (né tantomeno artisti) per il piacere di assoggettare e piegare: ma per l’“onore” proprio e altrui – della “città” che ci ha dato i natali, ad esempio, o della divinità in cui crediamo. Questo afferma Rucellai.

Tesori d'Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015 - Cagnaccio di San Pietro e gli sponsor tecnici

Tesori d’Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015 – Cagnaccio di San Pietro e gli sponsor tecnici

UN ALLESTIMENTO DISCUTIBILE
Nelle stanzette che articolano il percorso di Tesoro d’Italia tutto è onusto, dispendioso, cadaverico: commemora il denaro e si prefigge di conferirgli gravità e decenza. I dazebao degli sponsor inneggiano alla munificenza a ridosso di opere severe, persino pauperiste come I funerali del pescatore di Cagnaccio di San Pietro, esposte nel tentativo di tenere insieme “umile Italia” e arredi di lusso. Le scelte non sono istituzionali, come forse avrebbero dovuto e potuto essere nel contesto di una mostra semiufficiale, ma tanto più idiosincratiche quanto più ci avviciniamo al moderno e contemporaneo. La selezione novecentesca è inattendibile sia sotto profili antologici che di scelta delle singole opere, anche se accogliamo sperimentalmente e per un attimo il suggerimento di una “linea” italiana figurativa e strapaesana – Maccari, Soffici e Rosai i progenitori entre-deux-guerres, al più Cavaglieri.
Sgarbi ripropone se stesso nelle vesti del personaggio-conoscitore: ma la mancanza di distacco autocritico trasforma la performance in parodia. Prima di contestarlo aspramente riconosciamogli il merito della mobilità: viaggia da sempre per musei minori e collezioni decentrate o inespugnabili. Tuttavia la sua stessa concezione di connoisseurship è parrocchiale. Riconduce lo storico dell’arte alla macchietta tardo-ottocentesca dello sfrecciante Paolo Tarsis in giro per pievi. Malgrado la pretesa di gransignorilità, molte cose in Tesoro d’Italia appaiono di seconda o terza mano: dalla “scrittura curatoriale” agli arredi in stile al titolo stesso della mostra.

Tesori d'Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015 - Renato Mambor e la toilette

Tesori d’Italia al Padiglione Eataly di Expo 2015 – Renato Mambor e la toilette

UN LOGORO CANOVACCIO
Ricapitoliamo. Eataly invita Sgarbi a curare una mostra nel proprio padiglione. È un’iniziativa potenzialmente meritevole. Il Padiglione Italia ufficiale è in stracci, manca in Expo un’adeguata divulgazione della cultura artistica italiana e Arts and Foods, curata da Germano Celant alla Triennale, non è stata concepita per colmare la lacuna.
Sia pure promossa e finanziata da un committente privato, Tesoro d’Italia avrà dunque uno status semipubblico e assolverà inevitabilmente compiti diplomatici: non è (non sarebbe stato) il caso di recriminare o fare inutili polemiche sulla provenienza dei capitali. Tra le premesse più incoraggianti sta l’ubiquità del curatore e la sua affidabile conoscenza del patrimonio diffuso. Bene.
Che dire adesso, a esposizione avviata? L’esito è molesto. Il Tesoro d’Italia è una mostra messa assieme con temeraria sveltezza. Non contribuisce a forgiare una storia dell’arte migliore né tantomeno ad accreditare nel mondo l’immagine di una penisola ingegnosa e versatile, abitata da studiosi seri e capaci. Peccato. Un “ambasciatore per le Belle arti” – tale Sgarbi nel contesto di Expo 2015 – dovrebbe tenere maggior fede all’ufficialità del proprio ruolo: mai presentarsi a cena senza cravatta o affidarsi a logori canovacci.

Michele Dantini

www.expo2015.org
www.eataly.net/it_it/eataly-a-expo/

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Michele Dantini

Michele Dantini

Storico dell’arte contemporanea, critico e saggista, Michele Dantini insegna all’Università del Piemonte orientale ed è visiting professor presso università nazionali e internazionali. Laureatosi e perfezionatosi (Ph.D.) in storia della filosofia e storia dell'arte presso la Scuola Normale Superiore di Pisa;…

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