Inpratica. Arte e luoghi psichici (pubblici)
Come quasi sempre, la città è il territorio della sperimentazione, dell’innovazione radicale, del conflitto tra vecchio e nuovo. Ancora più che di luoghi fisici, una città viva, creativa, vivace ha bisogno di luoghi psichici: momenti di incontro, di collaborazione, di discussione. Di formazione. Per artisti, imprenditori, operatori culturali e per l’intera cittadinanza.
Per costruire un sistema di questo tipo, occorrono basi totalmente nuove. Occorre abbandonare la logica – e la retorica – degli eventi, grandi o piccoli: del parco-giochi, del parco tematico. Il problema non è dunque tanto quello legato agli spazi, ma alle pratiche artistiche e culturali, che creano le precondizioni per e danno forma ai luoghi mentali. Se anche in una città oggi predisponessimo una serie di mostre di qualità, all’interno di spazi istituzionali e qualificati, non avremmo comunque assolto che in minima parte ai compiti che spettano alla cultura e alla produzione creativa nella rigenerazione, riqualificazione, riattivazione (non presunta) di un contesto urbano. Le città sono prima di tutto esistenze, relazioni umane – non infrastrutture materiali. Se mutiamo punto di vista, ciò di cui abbiamo bisogno di spazi sono modi di relazione e di incontro – tra i territori culturali, così come tra questi e la cittadinanza. Per ricostruire forme di responsabilità civile, attraverso una partecipazione non retorica: questa è la funzione vera, autentica di arte e cultura all’interno dello spazio urbano, materiale e immateriale.
Solo in una prospettiva autenticamente collaborativa potremo dare forma alla dimensione presente e futura della nostra esistenza. Come scrive Richard Sennett in Insieme (Together, 2012): “La collaborazione può essere definita come uno scambio in cui i partecipanti traggono vantaggio dall’essere insieme. (…) La collaborazione è un’arte, o un mestiere, che richiede alle persone l’abilità di comprendere e di rispondere emotivamente agli altri allo scopo di agire insieme.”
Occorre dunque fuoriuscire definitivamente dalla tentazione decorativa. La stessa “mostra” di arte contemporanea, per esempio, come pratica e come attività se ci pensiamo bene non sembra avere più ormai molto senso: semplicemente, perché è un modulo terribilmente arretrato, e che continua ad arretrare e a irrigidirsi rispetto alla vertigine dei processi sociali in corso. L’arte deve scendere per strada, inoltrarsi nella realtà, muoversi costantemente in essa, integrarsi felicemente in essa, aiutare e trasformare la vita delle persone. Solo così essa potrà riconquistare quella fiducia e quel credito gravemente compromessi negli ultimi decenni, caratterizzati da una sostanziale e patologica dissociazione rispetto al tessuto sociale. (Tutto converge, in questo senso: movimento artistico, politica culturale, politica tout court, storia e critica della cultura, amministrazione, urbanistica).
Qual è infatti il vantaggio di rimanere ancora pervicacemente rinchiusi in un recinto (il “sistema dell’arte”, il “museo” ecc.) che non è più neanche così dorato e che si rivela invece esplicitamente per ciò che è ed è sempre stato – carcere, gabbia, spazio concentrazionario? Occorre rifondare e riconfigurare l’idea stessa di arte popolare: questa è la missione e la visione di ogni pratica artistica autentica in questa fase. (Inutile aggiungere quanto questo sia, anche e soprattutto, un compito generazionale.) Tutto il resto si condanna all’irrilevanza e all’impermanenza. Alla tappezzeria.
In questo momento, infatti, la divaricazione tra oggetti che “sembrano” opere d’arte ma non lo sono, e oggetti che “sono” opere d’arte ma non lo sembrano (e quasi nessuno se ne accorge) è massima, ha raggiunto il suo picco. Occorre investire simbolicamente nel proprio scenario di riferimento, scommettere che le cose andranno in un modo – e non in un altro. Perché scegliere una via piuttosto che un’altra comporta scegliere e adottare un sistema di vita, una filosofia e una pratica quotidiana. Comporta scegliere: POVERTÀ; SEVERITÀ; SERIETÀ; SEMPLICITÀ; IRONIA; MODESTIA; COSTRUZIONE; CONCRETEZZA. Significa adottare e amare ciò che ai vecchi, a “coloro-che-vengono-prima” non piace: ciò che li disgusta e che li spaventa, ciò che essi rifiutano dal profondo e non accetterebbero mai come riferimento della propria esistenza.
Christian Caliandro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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