Il volto inedito di Leonardo Da Vinci. Tra vigne e gioielli
Nell’anno di Expo, Milano rende omaggio a Leonardo da Vinci. Oltre alle rassegne istituzionali, alcuni progetti satellite portano alla luce sfaccettature inedite del genio dell’Umanesimo: da quello di enologo a quello di gioielliere. Perché a più di cinquecento anni dalla sua scomparsa, la poliedricità di Da Vinci continua a regalare sorprese.
LA VIGNA DI LEONARDO
Mentre Palazzo Reale ospita la grande mostra sulla pittura del maestro e le chiuse vinciane incantano i visitatori, in corso Magenta, presso la Casa degli Atellani, riprende vita la vigna appartenuta a Leonardo da Vinci. Un progetto reso possibile grazie al lavoro di Luca Maroni: analista sensoriale ed enologo di fama internazionale, che racconta la vicenda in un libro, puntuale e avvincente.
La storia comincia nel 1499, quando Leonardo riceve da Ludovico il Moro una vigna come ricompensa per il capolavoro dell’Ultima Cena. Le viti, inizialmente curate dal pollice verde del genio toscano, vengono poi custodite dagli eredi, generazione dopo generazione.
Ma nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale, un bombardamento mutila Santa Maria delle Grazie, provocando un incendio che distrugge la vigna adiacente. Non tutto è perduto. Se le azioni dell’uomo spesso compromettono il pianeta, lo spirito di sopravvivenza insito nella natura tanto amata da Leonardo è sorprendente.
FILOLOGIA ENOLOGICA
Attraverso un lavoro filologico, Luca Maroni identifica il punto dove si trovavano i filari e azzarda un’ipotesi incredibile, come racconta lui stesso: “Pensai che l’incendio poteva avere distrutto solo la parte esterna della pianta e che le radici potevano essere ancora integre. In questo caso avremmo potuto ottenere l’impronta dienneaica della ‘vite vinciana’, salvarla e reimpiantarla”, conclude l’enologo.
Gli scavi confermano l’ipotesi di Maroni. Dopo sei mesi vengono portate alla luce le radici originali della vigna. Ma è qui che comincia la parte ardua dell’impresa: un lavoro a cavallo fra scienza e archeologia, genetica ed enologia, che ha visto la collaborazione dei massimi esperti dei settori.
Le analisi in laboratorio permettono di individuare la vite vinciana: un tipo di Malvasia dei Colli Piacentini. Vengono quindi allevate delle margotte identiche alle originali, per poi essere reimpiantate presso la Casa degli Atellani. Inaugurata in occasione di Expo, la “vigna di Leonardo” torna a risplendere. Un luogo ricco di storia che testimonia l’antico legame fra arte ed enogastronomia dell’Italia.
IL PENDENTE DI LEONARDO
Se per gli amanti del vino la visita alla Casa degli Atellani è d’obbligo, il gentil sesso può rifarsi gli occhi con il pendente firmato Leonardo da Vinci. Tra i molti interessi dell’umanista si scopre infatti quello per i bijoux.
Presso la corte di Ludovico Il Moro, Leonardo costruisce una macchina per tagliare le pietre preziose e idea un metodo per creare perle artificiali; non solo, l’irrefrenabile Da Vinci disegna perfino un pendente, probabilmente mai realizzato. Lo schizzo autografo, dopo varie vicissitudini, giunge in Inghilterra ed entra a far parte del Tesoro della Corona. Il disegno brucia nell’incendio della Christ Church di Oxford, ma fortunatamente esistono diverse fotografie dello schizzo. Gli scatti immortalano un pendente di straordinario impatto visivo: un intreccio di nodi con motivo decorativo al centro.
Oggi questo piccolo capolavoro torna a risplendere, grazie allo storico gioielliere Aldo Citterio. La traduzione moderna dell’originale vinciano ha come caratteristica proprio la versatilità di Leonardo.
Il gioiello può essere realizzato sia in argento che in oro, giallo, bianco, rosa o perfino brunito. Se le dame possono scegliere fra ciondolo e anello, i gentiluomini più sofisticati possono regalarsi i gemelli. Si conclude così una storia affascinante e misteriosa. Il pendente, disegnato da Leonardo presso la corte de’ Il Moro, a distanza di cinquecento anni viene realizzato proprio nella stessa città, in via degli Orefici. Chissà quante volte Leonardo avrà percorso questa strada, nel tragitto fra il Castello Sforzesco e Santa Maria delle Grazie. Secoli di storia da rivivere grazie a un bijoux.
Federica Galassi
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