Curatori: ne abbiamo ancora bisogno? Vol. II
Le cronache dell'ultimo decennio hanno inferto colpi durissimi alla figura del curatore (la situazione economica, le dichiarazioni di "indipendenza" da parte degli artisti, la riaffermazione di un’esigenza critica e teorica, la sovrabbondanza delle figure professionali a disposizione). Qual è il ruolo del curatore oggi? A cosa serve la sua professionalità e in cosa consiste esattamente? L’abbiamo chiesto a chi lo fa di mestiere. E questa è la seconda puntata.
LORENZO BENEDETTI
La figura del curatore nell’ultimo decennio ha avuto un’enorme diffusione. Nonostante la crisi, il numero di corsi per curatori è in crescita esponenziale. Non c’è quasi più un Paese sprovvisto di uno di questi programmi e se ne contano oltre quattrocento. Ma l’attenzione sulla figura del curatore rispecchia anche la crescita di biennali, musei, centri d’arte e collezioni private che stanno nascendo in tutto il mondo. In l’Italia la maggiore difficoltà per i curatori, e per il settore contemporaneo in generale, consiste nella mancanza di infrastrutture operative che possano competere su un livello internazionale. La mancanza di coerenza e di copertura territoriale porta la figura del curatore verso l’emigrazione oppure verso lo sviluppo di un’attività di ricerca e pubblicazione (l’Italia è il Paese europeo con il numero più alto di riviste e quello più basso di centri d’arte). È necessario investire sulla qualità professionale delle singole persone. Se si sviluppasse, inoltre, una politica territoriale coordinata sulla qualità e la professionalità, l’Italia avrebbe una struttura di spazi pubblici invidiabile nel mondo.
CLAUDIA ZANFI
Questione complessa, poiché complessa è la figura del curatore in Italia. Sembra che tutti sappiano fare i curatori (giornalisti, addetti stampa, direttori marketing, insegnanti) ma si tratta di un mestiere difficile e sono pochissime le figure in grado di farne una vera professione. Di solito il curatore in Italia fa cinque o sei “mestieri” diversi, e quando si stanca fa il concorso in accademia o all’università e cambia professione. All’estero, invece, il docente universitario fa il docente e il curatore fa il curatore. Oggi c’è quindi la necessità di attivare una visione nuova, una riflessione culturale agile e dinamica in grado di dialogare con il territorio locale e con quello internazionale. C’è bisogno di parlare della contemporaneità e della memoria, di essere presenti sul campo, di occuparsi dei fatti di grande trasformazione sociale e politica, utilizzando nuove pratiche curatoriali e un importante network internazionale, in grado di coinvolgere anche partner economici esteri. Inoltre è necessario progettare in maniera sostenibile, senza sprechi e con la massima attenzione al genius loci, poiché rappresenta la necessità di risemantizzare e caricare di significati nuovi i paesaggi della cultura e del sociale.
MARKO STAMENKOVIC
Penso sia la relazione tra “conoscenza” e “ignoranza” a spingerci verso la riflessione sul ruolo specifico dei curatori nel mondo contemporaneo (dell’arte). Gli orizzonti epistemici, incredibilmente trascurati in passato, sono finalmente presi in considerazione attraverso un lavoro di ricerca critica permanente. La mia visione dell’atto del “curare” – nel senso di mostrare / gettare luce sui lati più oscuri dei nostri universi epistemici – si modifica continuamente in relazione al processo del “mettere in mostra”: far vedere ciò che sarebbe altrimenti sottorappresentato e tenuto nascosto da una visualità prescrittiva generata da idee razziste e sessiste, tipiche delle culture dominanti. Se la realtà quotidiana resta profondamente impregnata dagli aspetti ingannevoli dei mondi dell’immagine, io credo che il focus della nostra attenzione curatoriale debba concentrarsi sul loro lato oscuro. Curare contiene in sé la potenzialità di evocare aspetti della vita umana che sono trascurati o sottovalutati, in modo da espandere i limiti della nostra comprensione di ciò che è sconosciuto, impossibile da spiegare a parole o irrappresentabile.
INESE BARANOVSKA
La nostra è un’epoca molto veloce, ricca di cambiamenti significativi in ogni sfera dell’esistenza: i modi di vivere, le istituzioni sociali, la politica, i diritti umani, l’economia, l’ecologia, l’educazione. Il fatto che il ruolo del curatore venga messo in discussione fa parte del normale processo dialettico del cambiamento. È naturale che gli esseri umani mettano in dubbio le regole e le leggi attuali; gli artisti lo fanno in modo particolare, mettendo continuamente in discussione i propri diritti e il proprio ruolo nella società. Penso che l’arte contemporanea, con la sua diversità, riesca a lanciare sfide sempre nuove ai curatori e agli artisti. Penso che sarebbe incredibilmente importante lo sviluppo di una visione strutturale ampia, che permetta di superare le barriere accademiche e teoretiche, puntando su un approccio interdisciplinare. Secondo me un curatore oggi deve essere intelligente e pieno di capacità, deve saper motivare e guidare il lavoro di gruppo, ispirando il team di con la propria visione, con la propria conoscenza e un gusto perfetto. Un’altra caratteristica del curatore di successo consiste nel sapere “ascoltare” gli artisti e tutte le altre professionalità con cui viene a contatto.
GIACINTO DI PIETRANTONIO
Mi interrogo sulla questione da anni, da quando nel 2003 alla GAMeC ho messo in piedi, su suggerimento di Alessandro Rabottini, un premio per curatori under 30: il Premio Lorenzo Bonaldi Per l’Arte-Enter Prize. Avevamo notato che c’erano tanti premi per gli artisti, ma non per i curatori, una figura che si era fatta avanti in maniera molto forte a partire dagli Anni Ottanta, avendo come precedente il papà di tutti i curatori in senso contemporaneo: Harald Szeemann. Ci avviamo ora verso la nona edizione del Premio e la vasta partecipazione dimostra come questa “professione” sia molto sentita. D’altra parte, la figura del curatore non è mai stata popolare come in questi anni, perché il sistema dell’arte si è espanso e necessita di molta “mano d’opera”. Certo, i curatori, tranne poche eccezioni, non incidono più di tanto, ma non per l’indipendenza dell’artista, che è cosa buona e giusta, piuttosto perché il mercato, aste comprese, è entrato in maniera molto potente nell’attribuzione del valore. Tuttavia la nascita di tante riviste d’arte in Italia nell’ultimo quindicennio sta a dimostrare che le persone non vogliono solo delle cifre di fianco alle opere, ma anche dei discorsi, come direbbe Foucault. E le riviste non potrebbero esistere senza critici e curatori.
RAFFAEL DOERIG
La mia idea sul ruolo del curatore è poco spettacolare e non così futuristica. Penso che il suo compito sia quello di diventare un complice dell’artista, permettendogli di realizzare il proprio lavoro. Facendo domande, organizzando le situazioni e fornendo suggerimenti relativi al contesto: altri artisti, concetti, idee, testi (sempre facendo il modo che il lavoro abbia una propria vita). Il curatore costituisce il collegamento tra l’opera e il pubblico (spesso, differenti tipologie di pubblico). Deve condividere il proprio entusiasmo rispetto al lavoro e renderlo accessibile.
FRANCESCO BONAMI
La figura del curatore è tanto in crisi quanto quella di un allenatore di calcio quando tutti i giocatori della sua squadra giocano bene. O quella di un direttore d’orchestra quando i suoi musicisti sono eccezionali. Ma siccome spesso non tutti i giocatori sono campioni e non tutti i suonatori sono fenomenali, ecco che c’è ancora bisogno del curatore. Che il curatore sia di per sé inutile si sa. Ma siccome gli artisti non vogliono certamente amministrare oppure organizzare programmi di musei, fondazioni o gallerie, rimane il bisogno di qualcuno che si smazzi la rogna di parlare a consiglieri di amministrazione, assessori, burocrati di Stato o collezionisti. E chi lo fa? Il curatore. Al quale poi viene dato il contentino di “curare” la mostra, ossia l’illusione che il suo lavoro non sia così rognoso. Detto questo, non mi pare proprio che la professione sia in pericolo. Infatti sono gli artisti a voler diventare curatori. Pensiamo a Cattelan, ma non solo a lui, che usa il “curatore di Troia” (non il “curatore troia”, già utilizzato e spremuto in passato) per rientrare dentro le mura dell’arte con un nuovo ruolo, avendo abbandonato il proprio. Troppi curatori allo sbaraglio? Forse. Ma, in fondo, perché no? Chi è causa del suo male curi se stesso.
ANDREA BRUCIATI
Mi piace intendere la pratica curatoriale come azione di confine, dove si instaura a ogni ordine e livello uno scambio vivificante. La ritengo funzionale in quanto laterale, idonea per questo alla complessa piattaforma della contemporaneità, e sono convinto che questa prospettiva “eccentrica”, in perenne movimento, possa però essere garantita solo e sempre specificando ruoli e competenze. Questi colpi durissimi in atto sono da imputarsi fondamentalmente a una progressiva mancanza di competenze scientifiche, critiche e teoriche da parte di molti operatori che hanno ormeggiato il loro bagaglio culturale e dialogico, facendo sì che la curatela si trasformasse in semplice organizzazione di eventi, superficiale negli esiti e autistica, in quanto autoreferenziale, nei risultati. Dinanzi a questa funzione disciolta e banalizzante del curatore si stanno così creando canali alternativi, destrutturati e avvertiti come più autentici, che prefigurano pertanto nuovi orizzonti nei quali, mi auguro, la figura di un professionista preparato, versatile e “poroso” possa far ritrovare all’azione curatoriale una sua ragion d’essere, fondata sulla progettualità e l’ascolto fattuale.
CRISTIANA PERRELLA
Credo che il ruolo del curatore abbia tutt’altro che perso senso e rilevanza. La Biennale di Massimiliano Gioni lo ha dimostrato: è stata quella con il taglio curatoriale più deciso e pregnante degli ultimi anni. In uno scenario culturale così vasto e pieno di segni e informazioni come il nostro, il lavoro di scegliere delle opere e metterle in dialogo tra loro, articolando un discorso che le contestualizzi rispetto a temi di respiro più generale, è necessario. Aiuta a costruire senso. Il curatore è l’elemento che attiva la relazione tra artista, istituzione e pubblico. Ha un’expertise che i musei italiani faticano a riconoscere ma che altrove è indubitabile. Una sensibilità e una comprensione dell’arte diverse da quelle dell’artista ma che proprio per questo lo rendono un suo prezioso interlocutore, anche nel momento in cui le opere vengono pensate e realizzate.
MARTINA CAVALLARIN
La crisi degli inizi del 2000 è avvenuta nel momento in cui è andata appannandosi la figura del curatore, personalità spesso prestata da altri ambiti, culturalmente digiuna e sprovvista delle basi fondamentali della storia dell’arte. Per quanto attiene l’indipendenza degli artisti, occorre puntualizzare che quello con il critico e/o curatore è uno scambio effettuato da due dimensioni differenti: ciascuna parte deve assumersi propri diritti e doveri. Alcune volte la fase di scambio vissuto nello studio dell’artista, l’analisi delle opere e l’elaborazione di un testo critico sfociano in un piano di lavoro collettivo. Si passa dunque a un impianto reale d’individuazione di un progetto e abitazione di un luogo in cui l’opera oltrepassa il confine privato dello studio per manifestarsi nel pubblico. La “scrittura espositiva” prevede la presentazione e azione dell’esposizione nella quale, attraverso pratiche di relazione, si armonizza e compenetra l’analisi operata dal critico e l’assistenza operata dal curatore.
a cura di Santa Nastro e Valentina Tanni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24
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