LA RIVOLUZIONE PASSA DAI JEANS
Non credo che i ragazzi di oggi, soprattutto quelli che si considerano stilisticamente outsider e trasgressivi, che tatuano il corpo e disegnano capolavori sui muri, sappiano quanto devono al signor Elio Fiorucci (Milano, 1935-2015).
Questa voglia che si rigenera continuamente, alimentata dalle icone del tempo, questa voglia di dare potere totale alla fantasia è frutto del suo genio, un caso di puro anticonformismo che ha coinvolto il nostro modo di vestire e di pensare dal 1967, quando aprì il suo storico store a San Babila con un’inaugurazione epica, alla quale Celentano arriva in Cadillac rosa.
Grazie a lui, figlio di un commerciante di pantofole di Milano, si è compiuto quel fenomeno di sdrammatizzazione dell’abito che ancora viviamo: ha anticipato e radicato nella nostra cultura la possibilità di giocare con i segni, che fossero gli angelotti vittoriani o i colori di Andy Warhol o i disegni di Keith Haring. Ci ha insegnato a strappare i jeans dopo averli attaccati al corpo come una guaina, a contestare un sistema in modo ludico e intelligente, a dissacrare per non condividere la falsità.
SENZA PERDERE LA TENEREZZA
Il viso buono e lo sguardo dolce, ma un gran coraggio da avventuriero, Elio Fiorucci è uno di quei personaggi a cui dobbiamo tanto perché sanno aprire le piste e portarci da un’altra parte; hanno viaggiato, visto cose che altri non hanno saputo vedere e le hanno trasformate in stile per tutti.
Fiorucci però non si considerava uno stilista e non ha creato quei jeans – con un design che esaltava il sedere stringendolo talmente tanto da obbligarci a sdraiarci per terra nei camerini per allacciarli – perché era uno stilista. Era uno sperimentatore: usò la lycra per renderli stretch, per fare un manifesto di libertà reinventando un simbolo: ridisegnò quei pantaloni rigidi da lavoro o da rocker in chiave pop, rendendoli capaci di disegnare la forma del corpo pur essendo in tela.
FIORUCCI COME SCHIAPARELLI
Un’avventura iniziata nel 1965 a Londra, nello stesso anno in cui Michelangelo Antonioni girava Blow-Up, quando scopre la Swinging London, assimila lo stile all’avanguardia che contraddistingue la città e lo porta in Italia come una ventata di libertà. Apre il suo store sul modello di Biba: il primo concept store italiano, il primo luogo capace di vendere una filosofia di vita divisa in frammenti, magliette come santini che aiutavano a vivere un presente difficilissimo in un’Italia pre-68 ancora ortodossa e borghese.
Un fenomeno che ha a che fare tanto con la moda quanto con l’arte, il design e l’architettura, che aveva iniziato un altro genio ibrido italiano a Parigi negli Anni Trenta, Elsa Schiaparelli: anche lei non si considerava stilista, ricamava scheletri sui golf e metteva rosse unghie finte su lunghi guanti neri.
ODE AL FIORUCCISMO
Come la Schiaparelli, Elio Fiorucci è stato capace di smontare un sistema e di creare un nuovo mondo, quello che Guido Vergani definisce, nel Dizionario della Moda, il fioruccismo: “Non è stato uno stile legato alla creatività di un singolo. È stato lo stile di vedere le cose e reimpaginarle con una cultura senza tabù […] una filosofia che è sopravvissuta sempre ai suoi modelli”.
Instancabile art director, ha inventato lo styling per creare modelli femminili polimorfi: bambole con le minigonne di tulle, trasandate pre-grunge e donne militari, donne con le calze colorate e gli scaldamuscoli. Ha spostato luoghi e funzioni, stravolto le regole del vestire, per cui vado al cinema come se andassi in palestra, e ha usato i segni potenti della comunicazione e dell’arte contemporanea.
La sua definizione di stilista democratico è d’effetto ma riduttiva. Quindi, così come mettiamo Fabrizio de André nella categoria dei poeti, diciamo che Elio Fiorucci era un filosofo e un grande imprenditore italiano.
Clara Tosi Pamphili
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