Hermann Nitsch si racconta. Un teatro tragico per Palermo

Alla vigilia della sua mostra palermitana, che una petizione ha provato a bloccare, Hermann Nitsch si racconta. Parlando di rituali, musica, sentimento tragico, performance e pittura. E di quanto il suo teatro non abbia niente a che fare con la violenza. Ecco cosa vedremo a Palermo. Ed ecco perché, al netto dei gusti e delle critiche, la censura non è mai una via giusta. Con un'anteprima esclusiva: una serie di immagini scattate negli spazi di Zac

IL RITO OLTRE IL LINGUAGGIO. DALLA PAROLA ALL’URLO
Io profanai e sfinii la parola per esprimere qualcosa che stava dietro la parola, che la parola stessa non poteva più esprimere, e giunsi con ciò a plasmare la realtà. […] Il passo successivo fu la dissoluzione del linguaggio. L’eccesso divenne indicibile. Nacque una voluttà di dilaniamento della lingua e di distruttiva fisicità sillabica. […] La lingua si dissolse fino a raggiungere il nudo accecamento dell’urlo. La lingua frantumata dovette lasciare il posto alla carne dilaniata dell’animale uomo dio“.
La scrittura aulica di Hermann Nitsch, figlia di un tormento filosofico tutto novecentesco, si afferma e si nega scandalosamente in questo passo, tratto dal saggio “La composizione testuale del teatro delle orge e dei misteri” (Napoli, edizioni Morra, 1994). Il tramonto del linguaggio si svela, con una pienezza di senso e una luce sintattica degne della più esaltante contraddizione. Un frammento che contiene, da solo, tutto lo spirito della ricerca di questo artista controverso, negli anni ’60 tra i padri dell’Azionismo Viennese.

Hermann Nitsch a Palermo - Zac - 2015 - foto Alessandro Di Gugno

Hermann Nitsch a Palermo – Zac – 2015 – foto Alessandro Di Giugno

È tutto lì. Tre le righe impetuose e le parole esatte: l’”opera totale” di Nitsch, il suo teatro dei sensi e dell’istintualità, è fatto di musica, di pittura, di arti performative, di vita e di morte, di forma ed informe. Ma non è un teatro di parola. Il logos esce di scena, l’orizzonte apollineo si eclissa, sacrificato nel nome del suo contrario: il disordine, la follia, l’impulso atavico, lo sguardo di Dioniso. Così, un insegnamento nuovo viene in superficie, risalendo dalle viscere e portando con sé il mistero di una bellezza oscura.
Hermann Nitsch, con i suoi riti pagani ed il suo viaggio notturno, ha innanzitutto compiuto un assassinio. E non c’entrano qui gli animali. Nitsch – che non sacrifica nessuna creatura vivente  – ha ucciso semmai la parola. L’ha oscurata, l’ha lasciata deflagrare, ne ha fatto la stella più alta per poi vederla calare, tramutandola in urlo, in fragore. Il tramonto degli dèi si fa, nel suo teatro, tramonto del linguaggio e della ratio. Nel tentativo magico di recuperare ciò che c’era prima del linguaggio stesso, al di qua della parola, al di sotto dell’ordine cristallino delle cose. Un gesto di distruzione dalla finalità catartica, generativa, intimamente poietica.

Hermann Nitsch a Palermo - Zac - 2015 - foto Alessandro Di Gugno

Hermann Nitsch a Palermo – Zac – 2015 – foto Alessandro Di Giugno

UNA MOSTRA A PALERMO, TRA POLEMICA E CENSURA
Hermann Nitsch porta a Palermo per la prima volta, negli spazi di ZAC, la sua arte selvatica ed intellettualmente rigorosa. Un lavoro che sta fra la drammaturgia, la filosofia, l’antropologia e la pratica artistica. Un lavoro certamente già invecchiato, a mezzo secolo dalla nascita della body art, ma che per qualche ragione continua a turbare. Tanto da aver scatenato, in Sicilia, una polemica clamorosa. Migliaia di firme per bloccare la mostra, tra crociate animaliste, perbenismo popolare e speculazione politica, invocando persino la censura. In molti non sapevano nulla di quest’artista ottantenne, citato sui libri di critica e di storia dell’arte, esposto nei musei internazionali, acquisito da importanti collezioni; eppure tutti hanno partecipato al gioco pretestuoso del giudizio: “questa non è arte”. Categorica vox populi. E via così, sentenziando: il sangue non si confà all’idea del bello, la morte non si guarda in faccia, i cadaveri non si toccano. Il ‘900? Non è mai esistito. Non per il popolo dei censori.
La mostra, tuttavia, si farà. Per volontà dell’assessore alla cultura Andrea Cusumano e con l’impegno dell’associazione Ruber Art Contemporanea. Un segno di resistenza, contro l’arroganza e la violenza. Quella vera.

Hermann Nitsch a Palermo - Zac - 2015 - foto Alessandro Di Gugno

Hermann Nitsch a Palermo – Zac – 2015 – foto Alessandro Di Giugno

IL TEATRO DELLA CRUDELTÀ E L’ARTE COME RELIGIONE
Abbiamo incontrato Hermann Nitsch alla vigilia dell’evento. E la prima cosa che gli abbiamo chiesto riguarda proprio il concetto di violenza. Che appare così lontano dalla sua visione, dalle sue intenzioni, e che pure la massa gli affibbia, con sdegno. “Io sono un drammaturgo e un drammaturgo deve lavorare con situazioni drammatiche, con la pena e la morte”, ci spiega. “Questo è sempre stato un tema centrale nell’arte drammatica, dal teatro antico fino alle arti performative. Per esempio nel Novecento si può citare il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Un altro aspetto importante è il contesto culturale in cui viviamo: la religione cristiana è fortemente caratterizzata dall’elemento tragico; il Cristo dolente crocifisso è presente in tutte le Chiese. Mi interessano tutte le religioni, la mitologia e la psicoanalisi; Freud e Jung rappresentano la base della drammaturgia psicologica del mio lavoro”.
Dall’avventura dell’inconscio alle grandi rivoluzioni drammaturgiche, passando per secoli di iconografia religiosa, fra crocifissioni, supplizi della carne, morte e resurrezione, per spiegare che se “violenza” c’è – nell’arte di tutti i tempi – si tratta unicamente del confronto necessario con l’occulto, col mistero della passione e del dolore, coi limiti del corpo sempre esplorati, rivisti e contraddetti. Un teatro della “crudeltà”, piuttosto: in senso simbolico ed esistenziale.

Hermann Nitsch a Palermo - Zac - 2015 - foto Alessandro Di Giugno

Hermann Nitsch a Palermo – Zac – 2015 – foto Alessandro Di Giugno

Sono molto interessato ai culti e ai riti, al tema del sacrificio”, aggiunge. “Io uso animali che la nostra società ha ucciso prima, animali già destinati alla macellazione. Mi interessa molto lo studio del corpo umano e  di quello animale, e trovo che ci siano molte analogie tra di loro. Nelle mie azioni uso esseri umani e animali morti, e ho grande rispetto per entrambi”.  Una celebrazione, più che una profanazione. Nello spazio del rito il cadavere trova un senso nuovo e sperimenta la dimensione di un linguaggio altro. Brutale, ancestrale, eppure perfettamente codificato. Ogni rito di passaggio, scandito dai suoi codici esatti, intercetta le energie destabilizzanti – quelle vitali, quelle mortifere, quelle degli inferi e delle stelle – e le trasforma in qualcosa di affrontabile, qualcosa che si può toccare, vedere, sostenere. Metabolizzare.
Io non credo in una religione, ma in tutte le religioni”, ci dice. “E l’arte è come una religione: come quando Monet dipinge e ridipinge le stesse ninfee o come la ripetizione seriale delle serigrafie di Warhol. Il rituale è parte integrante di tutte le arti; è il metodo per creare, il leitmotiv.” Ripetizioni differenti di medesime liturgie: il gesto sacro evoca, accoglie e trasforma, all’infinito. Ai piedi di un altare, nel tempo “proibito” della festa, nello spazio simbolico dell’arte.

Hermann Nitsch, 40. painting action (Museum of the 20th Century Vienna), 1997 - olio e sangue su tela - courtesy Atelier Hermann Nitsch

Hermann Nitsch, 40. painting action (Museum of the 20th Century Vienna), 1997 – olio e sangue su tela – courtesy Atelier Hermann Nitsch

NON SOLO PERFORMANCE. LA PITTURA COME ESPERIENZA TRAGICA
Non ci sarà nessuna performance, a Palermo. Nessuna carcassa di animale e nessun rito cruento. Ci saranno  fotografie, video di documentazione e tante, tantissime tele. Un aspetto, quello della ricerca pittorica, che il chiacchiericcio polemico lascia spesso sul fondo, ma che ha invece un ruolo cruciale.
Particolarmente potente, la pittura di Nitsch – in cui il sangue incontra il colore e la superficie si fa oggetto, gesto, memoria – dischiude universi profondi, umanissimi. “Il mio lavoro si inserisce nella tradizione dell’happening, della performance art”, ci racconta Nitsch. “Sono orgoglioso di essere considerato uno dei fondatori di questo tipo di arte, sono molto amico di Allan Kaprow, Nam June Paik, Jonas Mekas… La mia pittura d’azione è il primo passo verso la performance.  L’uso del colore è per me importante perché connesso alla sensazione della materia pastosa. Se nella mia pittura quello che si evidenzia è la materia, nella performance aspiro all’attivazione di tutti i sensi”.

Hermann Nitsch, 40. painting action (Museum of the 20th Century Vienna), 1997 - olio e sangue su tela - courtesy Atelier Hermann Nitsch

Hermann Nitsch, 40. painting action (Museum of the 20th Century Vienna), 1997 – olio e sangue su tela – courtesy Atelier Hermann Nitsch

Ed ecco alcune note sul progetto di Palermo: “Il nero è il colore principale, soprattutto in questa mostra; nel 1997, quando ho realizzato la mia 40esima azione, ho dipinto di nero circa ottanta tele di grandi dimensioni: le ho intese come mausoleo alla memoria di mia madre, morta tredici anni prima. Sono in mostra a Palermo 40 tele di questa azione, grandi 1,90 x 3 metri; anche a Napoli ho mostrato tele nere. Penso che il sud Italia possa comprendere e condividere questa sigla espressiva: la drammaticità del nero ma anche la sua quiete. Quella della notte, del silenzio”.
Città esoterica, Palermo, in cui la morte si fa invasiva e prepotente, e in cui l’accento luttuoso convive con la grazia, la gioia, l’esercizio della contemplazione. Città che sperimenta la persistenza del conflitto: fra la luce del mezzogiorno e l’ombra catacombale, fra l’istinto vitale e la consunzione barocca, qu il sentimento della tragedia si compie, come dimensione dell’esistenza. Un teatro perfetto, per i rossi sanguigni e i neri densissimi di Nitsch.

Hermann Nitsch - Foto Richard Köhler

Hermann Nitsch – Foto Richard Köhler

EVOCAZIONI SONORE PER PARTITURE VISIVE
E poi c’è la musica. Altro elemento chiave nella ricerca dell’artista austriaco, raffinato conoscitore della materia, coadiuvato proprio da Andrea Cusumano – pittore, drammaturgo, musicista, docente di teatro e arti performative al Goldsmiths College di Londra, da un anno nelle inedite vesti di Assessore – che da quindici anni è direttore dell’orchestra dell’Orgien Mysterien Theatre. “Sono influenzato da diversi generi: la musica primitiva, la musica rinascimentale italiana, il melodramma di Monteverdi, la musica barocca, Bach, Wagner. Ma anche Skrjabin, che ha voluto fare un novo teatro, il teatro del mistero. Attraverso la sua musica – che accompagnava con proiezioni di colori e stimolazioni olfattive – voleva raggiungere la redenzione. Penso anche a Schönberg, alla Scuola di Vienna e a Luigi Nono. Dal 1998 (durante l’azione di sei giorni a Prinzendorf) Andrea Cusumano ha saputo, meglio di chiunque altro, tradurre in linguaggio musicale le mie partiture visive. È la mia musica a stimolare la performance, mentre la performance stessa stimola la musica…”.

Hermann Nitsch a Palermo - Zac - 2015 - foto Alessandro Di Giugno

Hermann Nitsch a Palermo – Zac – 2015 – foto Alessandro Di Giugno

1938-2015. 80 ANNI DI ESTETICA DELLA CRUDELTÀ
Che il linguaggio di Hermann Nitsch possa far discutere, sedurre o allontanare, piacere, disgustare o persino annoiare, non è solo lecito, ma assolutamente sano. Quando l’arte smette di essere rassicurante, provando a stimolare un pensiero dell’altrove, il dibattito e il dissenso si generano da sé. La censura, no: strumento del pensiero unico e dispositivo arbitrario di controllo, resta un fatto detestabile, sempre. Al pari di tutte le menzogne, gli insulti e le mistificazioni, che la triste polemica palermitana ha messo in circolo, evocando vecchi capitoli di oscurantismo e di provincialismo. Eravamo più avanti cinquant’anni fa? “Sicuramente la società è diventata più moralista, soprattutto rispetto all’idea dell’essere political correct. In realtà in giro c’è molta ipocrisia. L’arte contemporanea oggi? Mi pare sia molto tiepida, troppo legata al marketing. Abbiamo perso l’intensità di un tempo”.
Parola di un artista che fu pioniere e che seppe dividere, cavalcando la linea dell’osceno (nella suggestiva accezione di “oltre la scena”) e dell’eccesso (da ex-cedere, oltre il cammino, il sentiero tracciato). Uno che fece sua, a modo proprio, la lezione lucida e crudele di Anotnin Artaud.
Scriveva, il geniale autore francese, nel suo testo più famoso: “Vogliamo arrivare a questo: che ad ogni spettacolo allestito è per noi in gioco una partita grave, e che tutto l’interesse del nostro sforzo sta in questo carattere di gravità. […] Lo spettatore che viene da noi sa di venire a sottoporsi ad una operazione vera, dove sono in gioco non solo il suo spirito ma i suoi sensi e la sua carne. Andrà ormai a teatro come va dal chirurgo o dal dentista. Con lo stesso stato d’animo, pensando evidentemente di non morire per questo, ma che è una cosa grave e che non ne uscirà integro”. Era il 1938 e “Il  teatro e il suo doppio” veniva dato alle stampe. In quello stesso anno nasceva Hermann Nitsch. 77 anni dopo, con in mezzo una spietata sequela di avanguardie e sperimentazioni, quell’idea di teatro è ancora qui, a dare scandalo e a inferocire. Più forte della censura, allora come ora.

Helga Marsala

 

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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