Il labirinto, la piramide e le opere. Visita al regno di Franco Maria Ricci
A Fontanellato, in provincia di Parma, è stato inaugurato un luogo che sintetizza e rilancia gli amori e le conquiste del celebre editore e collezionista d’arte Franco Maria Ricci. Nato per una promessa fatta a Borges.
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IL LABIRINTO CHE PIACEREBBE A BORGES
Franco Maria Ricci nel 1977 fece una promessa allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, uno che – come è noto – di labirinti se ne intendeva. Così, a distanza di quasi quarant’anni, è nato a Fontanellato “il Labirinto più grande del mondo”: disteso su otto ettari di terreno, è stato progettato dal celebre editore, designer, collezionista d’arte e bibliofilo assieme agli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto.
Sono tre le forme del labirinto classico: “Quella cretese a sette spire; quella del labirinto romano, con angoli retti e suddivisa in quartieri (quattro labirinti intercomunicanti); quella del labirinto cristiano a undici spire, del tipo Chartres”. Ricci ha scelto di ispirarsi alla seconda, rielaborandola e introducendo qua e là piccole trappole: bivi e vicoli ciechi, assenti nel modello di partenza. Al centro di questo labirinto a forma di stella, le cui pareti sono costituite da 200mila canne di bambù alte fino a cinque metri, si trova una piramide, sul pavimento della quale è raffigurato un labirinto: Borges avrebbe apprezzato.
UN MUSEO… FOLLE
Il museo annesso ospita permanentemente la collezione privata di Franco Maria Ricci (cinquecento opere fra pitture, sculture e oggetti d’arte, dal Cinquecento al Novecento) e mostre temporanee: la prima, Arte e follia, è curata da Vittorio Sgarbi (che al tema sta dedicando più di una mostra) e propone quarantacinque opere di Antonio Ligabue e trenta di Pietro Ghizzardi.
La collezione privata, il cui maggior pregio è dare forma visibile alla curiosità e all’eclettismo del suo proprietario, mette in relazione una Beatrice di Antonio Canova e una Vanitas di Jacopo Ligozzi, un marmo di Gian Lorenzo Bernini e un olio su tela di Ludovico Caracci, i denti di narvalo nell’elegante Wunderkammer e “la sua preziosissima Jaguar degli Anni Sessanta” nell’atrio: “Inevitabilmente rispecchia me stesso, il mio gusto e indirettamente, attraverso certe assenze, i miei rifiuti. Opere di grandi artisti coabitano con altre di artisti minori o popolari. Qua e là si formano addensamenti intorno a un periodo, a un genere, a una sensibilità. È la mia collezione. Ne ho sorvegliato l’allestimento: non è quello casuale di una quadreria, né quello scientifico di un museo; procede per associazioni (d’idee e di forme) e non si astiene dal sottolineare i parallelismi che esistono tra le mie scelte editoriali e quelle di collezionista”.
ANNESSI E CONNESSI
A proposito: negli stessi spazi è possibile sfogliare numerosi esemplari dell’attività editoriale di Ricci, che in mezzo secolo ha dato vita, tra l’altro, alle collane I Segni dell’uomo, La Biblioteca di Babele (curata da Jorge Luis Borges) e Le guide Impossibili, alla rivista d’arte FMR e alla ristampa dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert.
All’interno si trovano anche un ristorante “dedicato a chi desidera pranzare in maniera elegante, nel rispetto della tradizione” e “due appartamenti lussuosi, rifiniti con decorazioni di opere d’arte e arredi raffinati”: due appendici che sintetizzano con esattezza la cifra del faraonico progetto di Franco Maria Ricci. La cui eleganza, forse a tratti un po’ algida, può essere certamente apprezzata soprattutto da un’élite colta, raffinata e curiosa.
Michele Pascarella
www.labirintodifrancomariaricci.it
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