Scouting all’italiana. Il caso della moda
Primo problema: definire anagraficamente un giovane talento. Secondo problema: capire se è vero o se è un bluff. Terzo problema: inserirlo in un percorso dove possa crescere fino a prendere in mano il testimone della staffetta della corsa a ostacoli che è il mondo del fashion contemporaneo.
PRIMO PROBLEMA: IL RICAMBIO
Fatta un’analisi della età degli stilisti più rilevanti, i grandi curatori e produttori della moda italiana hanno capito che il primo dei loro problemi è il ricambio. Un’impresa difficilissima, dove la complicazione maggiore sta proprio nello stabilire un punto di collegamento fra maison storiche-e-famose e nuovi talenti, far capire che non si vuole “sostituire” ma creare la continuità, interna al brand o esterna se il giovane, dopo un periodo di collaborazione, vuole proseguire da solo. È chiaro che il momento critico sta nella ricerca di nuovi talenti all’altezza dell’incarico, ed è veramente critico questo momento perché è qui che gli stadi di crescita saltano, la voglia di talents crea confusione e ne nasce una matassa di mille fili ognuno diverso, con cui non sempre si può fare un nuovo tessuto.
I tre problemi enunciati all’inizio si affrontano con vetrine e concorsi, punti di osservazione regolati anche dal rapporto con le scuole di formazione, che ne traggono grande pubblicità, ma soprattutto con un lavoro di scouting e ricerca che non conosce confini. Veri e propri cacciatori armati di fiuto e Instagram, capaci di decodificare i segnali dei blogger, frequentatori di terreni paralleli come l’arte contemporanea o il cinema, viaggiatori curiosi, colti lettori di feste ed eventi dove compaiono spontanee anticipazioni di trend: sono loro che trovano il nuovo. Questo terreno di ricerca si allarga sempre di più: dopo anni di promozione dell’ibrido, il risultato è che spesso il nuovo non ha radici in un solo campo e quindi va coltivato in particolari condizioni, che facciano capire che pianta sarà.
CREATIVI E ARTIGIANI
È chiara una regola per cui spesso chi sa inventare lo fa perché non conosce le dinamiche costruttive di un prodotto e si muove per forte entusiasmo creativo: basti pensare ad alcuni esempi di innovatori che hanno cambiato la storia della moda senza averla studiata, come l’architetto Gianfranco Ferré, Ennio Capasa che andò in Giappone a lavorare con Yamamoto dopo aver finito gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e Romeo Gigli, architetto anche lui e ispirato viaggiatore. Casi dove oggi trova spazio il successo dell’eccesso, l’enfant-prodige, il fanciullo geniale Nicolò Beretta, designer delle scarpe Giannico: diciotto anni, puro istinto (come dice lui stesso), nessuna scuola o esperienza precedente, l’ispirazione a un quotidiano di nuova generazione capace di guardare a Lady Gaga, Brancusi, Picasso e Damien Hirst contemporaneamente.
Un dato che evidenzia l’importanza fondamentale della collaborazione con gli artigiani che realizzano le visioni di questi anticipatori, di quanto la tradizione della produzione di qualità sia necessaria per portare a compimento un progetto che non segue la routine. Un grande direttore della fotografia può “scrivere” il sogno del regista, un grande sarto può materializzare la creatività di un designer. Sarebbe bene consolidare da subito il rapporto fra ideazione e realizzazione, più che fra ideazione e comunicazione.
COME SI SOSTENGONO LE NUOVE LEVE
Anche le grandi maison si stanno impegnando per sostenere la continuità con dinamiche diverse, alcune più “strategiche” per la loro immagine, altre realmente costruttive. Giorgio Armani ospita in ognuna delle sue sfilate, sulla prestigiosa passerella di via Bergognone, un giovane: Andrea Pompilio, Stella Jean, Christian Pellizzari, Julian Zigerli, Au Jour Le Jour, Angelos Bratis, fino alla prossima Vivetta. Renato Balestra ha ideato il progetto Be Blu Be Balestra in collaborazione con le scuole e AltaRoma, creando condizioni di crescita fino alla collaborazione con Lesage di Parigi.
L’ideale sarebbe fare entrambe le cose in due fasi diverse: guidare la sperimentazione ma anche affiancarli, quando sono pronti a presentarsi, con grandi nomi che attirino l’attenzione della stampa. Perché è vero che, mentre in altri Paesi il lavoro sui giovani segue dinamiche ben strutturate – ad esempio, il British Fashion Council dal 1983 sostiene e promuove i fashion designer inglesi di vari livelli coinvolgendo buyers e stampa durante la London Fashion Week e negli altri appuntamenti di moda, dove organizza un suo showroom rappresentativo e interessante – l’Italia procede verso una localizzazione romana dello scouting ancora in fase di definizione.
MILANO, FIRENZE, ROMA
Una scelta futura che nasce da una volontà di disegno nazionale del made in Italy che conferma a Milano e Firenze le loro attività caratteristiche e individua la forza di Roma come laboratorio di osservazione, inquadramento e affiancamento nella riproduzione della moda italiana. Un focus centrato sul progetto Who’s on Next che AltaRoma e Vogue realizzano in collaborazione da dieci anni e da cui sono usciti, anche se non vincitori, molti next. Sarà Roma a rispondere ai tre problemi iniziali? Sicuramente le caratteristiche storiche, culturali, artistiche possono costruire un habitat perfetto per analizzare e mostrare e per convincere un giornalista a fare un viaggio. Soprattutto se il talent lo accompagnano Bernini e Borromini, o se sta dentro il Colosseo.
Clara Tosi Pamphili
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24
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