Autenticità e datazione delle opere. Parla il Gruppo MID
Capita raramente che gli artisti entrino direttamente nel merito di questioni come autenticità, datazione, mercato. Questa volta lo fa il Gruppo MID. Rivendicando una poetica viva e in movimento, che non si fa mettere sotto teca.
LA RISCOPERTA DEL GRUPPO MID
Vorremmo riportare il dibattito sui toni alti dai quali l’Arte non si può discostare.
L’Arte Cinetica, da qualche tempo, incontra i favori del mercato, tanto che anche a noi del Gruppo MID, che non abbiamo mai avuto interesse per questo aspetto del lavoro artistico, è stato chiesto di mettere in vendita le nostre opere.
Le nostre opere sono in sostanza quelle contenute nel libro: MID, alle origini della multimedialità. Dall’arte programmata all’arte interattiva, e poco altro.
Abbiamo accettato di buon grado, e con qualche speranza di arricchimento… Oltre ad alcuni reperti, abbiamo i progetti delle cose fatte durante gli Anni Sessanta, e anche progetti che allora, per vari motivi, non sono stati sviluppati.
Abbiamo deciso di dedicare parte del nostro tempo a ricostruire fedelmente (filologicamente, si dice) quegli oggetti i cui prototipi sono ben documentati e presenti in vari musei e collezioni.
Abbiamo ritenuto corretto riproporre il nostro lavoro, nell’unico modo che ci fosse consentito: rifacendo opere non più esistenti o irrimediabilmente deteriorate.
Dopotutto, anche nelle centinaia di mostre cui abbiamo partecipato tra il 1965 e il 1972, gli oggetti non rimanevano identici a quelli iniziali per più di qualche mese. Erano continuamente aggiustati, aggiornati, migliorati e, quando si guastavano e non era vantaggioso ripararli, sostituiti con altri simili. Mi soffermo sulla parola simili perché, nonostante gli oggetti siano costituiti da componenti meccanici, elettromeccanici, elettrici, il loro assemblaggio conduce ogni volta a esiti diversi, quindi, in qualche modo, ogni oggetto è diverso dall’altro, è cioè un originale.
Anche quando abbiamo realizzato una piccola serie, ciascun gli oggetti non erano tra loro uguali come lo sono le lavatrici Indesit!
Attenti, perciò, a rifiutare la riproduzione degli oggetti, se non altro perché, almeno nel caso del Gruppo MID, gli originali non sono mai esistiti.
A noi interessava produrre un effetto, e mostrarlo, non dar vita a piccoli mausolei commemorativi adatti alla vendita.
EVOLUZIONE CONTINUA: NON SIAMO COME LA GIOCONDA!
Non comprendiamo i motivi che inibiscono di ricreare gli strumenti che rendano visibili gli effetti degli Anni Sessanta e di proporli al mercato – considerato che ci sono stati chiesti.
I nostri oggetti non sono come la Gioconda, destinata a rimanere eternamente uguale a se stessa. Tra l’altro essi spesso duravano solo il tempo dell’inaugurazione di una mostra, e il giorno dopo dovevano essere riparati o sostituiti.
Che differenza c’è tra un oggetto in continua evoluzione (esistito in numerosi esemplari, anche se pubblicato come se fosse unico) che produce un certo effetto, e la riproposizione che ne facciamo adesso?
I nostri oggetti non sono come la Nike di Samotracia, congelata perennemente nel marmo.
Sono persone vive, attori che mettono in scena un effetto visivo o sinestetico, e non l’illusione di un brandello di universo ingessato e pronto per essere spedito in una mostra-mercato.
Sono strumenti concepiti e realizzati per produrre un segmento di effetti, cioè una gamma di variabilità di un fenomeno ottico (stroboscopia, persistenza retinica, after–effect ecc.) elaborato in maniera simbolica, innovativa, sorprendente, esemplare e paradigmatica.
VOLETE LE DATE? ECCOLE
Li abbiamo classificati in:
– generatori stroboscopici,
– generatori di interferenze,
– generatori di linee traccianti,
– lampeggiatori,
– immagini sintetiche,
eccetera.
Queste tipologie non corrispondono a fenomeni rigidamente definibili, ma a campi di variabilità molto vasti. Siamo noi a decidere a quale segmento di variabilità far appartenere un certo oggetto, con gli stessi criteri arbitrari con cui si stabilisce quando un grigio sia tale e non piuttosto un bianco o un nero.
Lo stesso oggetto ideato e costruito, per esempio, nel mese di febbraio del 1966, nel mese di marzo poteva avere un nome e una data differente perché era uguale ma diverso a quello che per la prima volta fu collegato a una presa elettrica! Allo stesso modo un oggetto rifatto filologicamente oggi, è uguale ma diverso dall’inesistente – ma tanto agognato dai collezionisti! – prototipo.
Noi non possediamo pezzi antichi e quindi non li facciamo costare di più.
Noi riteniamo irrilevante il problema della datazione perché gli oggetti originali, nel nostro caso, non sono mai esistiti. Si è sempre trattato di oggetti in divenire, che erano esposti e fotografati in uno dei loro momenti di vita.
Quindi noi ci sentiamo autorizzati a datare Anni Sessanta anche un oggetto di oggi, che altro non è che la continuità di quello di allora.
I nostri non sono oggetti punto (ben identificabili nel tempo e nello spazio).
I nostri sono Oggetti Flusso, dotati di un divenire e di una fluidità spazio/temporale, quindi databili quasi a piacere.
Potremmo tranquillamente affermare che le uniche date che abbiano qualche interesse sono quelle che indicano quando per la prima volta è stato sperimentato un certo effetto e limitare tutte le datazioni a quei pochi compleanni. Noi stessi non siamo tanto sicuri dell’anno e del giorno in cui sia stato elaborato un effetto: lavoravamo sodo, un mondo ci si apriva davanti, e non avevamo il tempo per etichettare, datare e siglare la massa di cose che facevamo.
Lo facciamo adesso, per il piacere dei collezionisti.
Ecco una tabellina riassuntiva:
– generatore stroboscopico: 1965
– generatore di interferenze : 1966 (?)
– lampeggiatore: 1966 (?)
– generatore di linee traccianti: 1967 (?)
– altri effetti: 1965/1972
– immagini sintetiche: 1965/1972
– film sperimentali: 1965/1972
ARTE CINETICA E RIPRODUCIBILITÀ
Di cosa stiamo parlando e perché, a settant’anni, ci troviamo a spiegare queste cose a persone che negli Anni Sessanta andavano all’asilo, che poco e distorto sanno di quegli anni e nulla hanno visto dal vero, ma a loro noto solo in modo mediato? Perché dobbiamo convincere persone che preferiscono inventare una storia di comodo, adatta a valorizzare acquisti da allineare su uno scaffale?
Ci troviamo in questa scomoda condizione perché l’anno scorso abbiamo firmato un contratto di rappresentanza globale e di commercializzazione delle nostre opere, in accordo al quale abbiamo prodotto alcune opere, senza alcun intento mistificatorio, e anzi sentendoci autorizzati in quanto si tratta di Arte Cinetica, di un’arte basata sul progetto, ben lontana dall’esecuzione manuale, artigianale, estemporaneamente creativa, estrosa, mirante e delineare uno stile tipico dell’autore.
La nostra Arte è basata sul Progetto, sulla Produzione, sulla Riproducibilità, sulla Tecnica. La nostra Arte è basata sulla Scienza, la cui definizione è:
“Per scienza s’intende un sistema di conoscenze ottenute attraverso un’attività di ricerca organizzata e con procedimenti metodici e rigorosi, allo scopo di giungere a una descrizione, verosimile, oggettiva e con carattere predittivo, della realtà e delle leggi che regolano l’occorrenza dei fenomeni. La scienza è basata sull’esperienza diretta e sulla riproducibilità dell’esperimento”.
Per questo ci riteniamo autorizzati a fare oggi quello che facemmo allora, senza preoccuparci della datazione che, casomai, è un problema dei collezionisti, non nostro.
Questa ventata d’interesse s’innesta in un mercato sempre più polverizzato e, forse, sempre meno competente, nel quale si smerciano le opere dell’Arte Cinetica con la stessa logica antiquaria del reperto, dell’impossibile autenticità, della pretesa di tipicità stilistica di oggetti assemblati con componenti industriali e non fatti con le pennellate che permettono la riconoscibilità del segno. Si utilizzano in modo inappropriato criteri tipicamente usati per quadri, tempere e acquerelli.
Si trascura il pilastro poetico dell’Arte Cinetica, per il quale il valore estetico non risiede nell’oggetto in sé – nel contenitore, nel ruotismo, nel motorino – ma nell’effetto che questo insieme produce. Effetto dovuto all’interazione tra l’oggetto e chi ci si rapporta. Il valore artistico non è quello dell’oggetto, ma ciò che quell’insieme – più o meno meccanico (quindi deperibile) – produce.
Ci sembra scontato che l’effetto possa rivivere anche oltre il suo assemblaggio iniziale, anche ricostruendo il meccanismo che lo produsse negli Anni Sessanta. Tanto più se quella ricostruzione è fatta dagli stessi autori.
Una commedia di Shakespeare continua a essere apprezzabile anche se l’autore è morto da secoli, se il teatro in cui fu inizialmente rappresentata è stato demolito, se gli attori sono illustri ospiti dei cimiteri. Si rimette in scena l’Otello e si paga il biglietto, ben contenti della rappresentazione e dell’interpretazione. Sarebbe perverso pretendere di resuscitare l’autore e gli attori, rendendo loro e gli spettatori degli zombi.
Il valore del Concerto per violino di Tchaikovsky non risiede nello strumento violino, e neppure nel possesso di violino e violinista primigenio…
CONTRO GLI EPIGONI
La valutazione legata all’opera originale è adatta alle opere assimilabili all’arte convenzionale: ai quadri di Le Parc e di Biasi, alle sculture di Morandini, alle serigrafie del Gruppo N, di cui è giusto pretendere autenticità e immodificabilità, se non altro perché la loro funzione è di starsene sotto vetro, immobili a farsi contemplare. Non è certamente applicabile a opere che funzionando si logorano.
Attualmente si sta dando rilievo ad autori minori e ad epigoni, a quelli che anche in pieno periodo dell’Arte Cinetica continuavano a fare opere adatte al mercato, letteralmente appiattite alle aspettative convenzionali del quadro da appendere. Autori le cui opere sono serializzabili e ai quali si riesca a evitare la doppia datazione, col tacito accordo che la massa di opere messa in circolazione provenga davvero dagli archivi e dai magazzini degli Anni Sessanta. Naturalmente tutto ciò è regolato e garantito da fondazioni ed entità variamente configurate.
Casomai sorge il dubbio che quegli artisti siano davvero stati capaci di produrre, durante gli Anni Sessanta, tutto quello che si vede in circolazione nelle mostre e nelle aste…
Il desiderio dei collezionisti è convenzionale, indirizzato verso l’opera da appendere, non verso altre tipologie: da tavolo, a pozzo eccetera.
Sono trascurate le opere più significative ed esemplari: quelle motorizzate e cinetiche, le opere grandi, insomma quelle opere purtroppo deperibili e spesso realizzate con intento dimostrativo e non di manufatto durevole.
Non si tiene conto che l’Arte Cinetica s’identifica con la Ricerca e che la sua rivoluzione intendeva superare scultura e pittura e imporre invece tipologie innovative: Ambienti, Grandi Strutture, Film, Fotografie, oggetti non consueti come per esempio, nel caso del Gruppo MID, orizzontali, a pozzo. Opere che, per la loro diversità, sfidano la resistenza al cambiamento e le convenzioni, quindi faticano a trasformarsi in merce da asta o da mostre collettive fatte ad hoc per il mercato.
Ricordiamo che MID è l’acronimo di Mutamento Immagine Dimensione.
Mutamento: cambiamento, innovazione, attitudine all’avanguardia.
Immagine: visualità, l’area in cui lavoriamo.
Dimensione: coinvolgimento della dimensione temporale, di quella multimediale e delle sinestesie.
ANCORA SULLA DATAZIONE DELLE OPERE
Un tabù: la doppia data. Fumo negli occhi dei mercanti e dei collezionisti.
Una parola che evidenzia la deperibilità dell’oggetto e la conseguente necessità di restauri sostanziali, se non di rifacimenti.
Bisogna evitare anche la parola macchina che i collezionisti hanno legato a motorini: il peggio del peggio, cretinismo di una generazione cresciuta giocando col Meccano, trabiccoli da cui stare alla larga… Terrificanti le evocazioni emanate dalla parola Macchina! Grumo semantico che sembra suggerire che le opere significative dell’Arte Cinetica non erano quasi mai bidimensionali, anzi occupavano la terza e la quarta dimensione, nella fantasia dei collezionisti accrocchi cigolanti e tremolanti, poco adatte alle possibilità espositive delle loro case borghesi.
I collezionisti e i mercanti, dal loro punto di vista, hanno ragione. Le macchine si guastano, richiedono manutenzione, sono complesse da esporre. Generano il problema dell’autenticità e delle tecnologie che scompaiono e non possono più essere riprodotte.
Ci chiediamo quale sia l’autenticità di un motore elettrico, di un cuscinetto a sfere, e in cosa essi siano assimilabili al segno pittorico e alla stilistica ottocentesca così difficile da superare.
Nonostante tutto – sfidando la verità storica – i collezionisti preferiscono il reperto, l’anticaglia, il cadaverino d’epoca! Oppure fingono che tanti dei loro acquisti, siano veramente originali: un ben strano e perverso sistema omertoso.
Insomma, non essendo l’Arte Cinetica roba da appendere, l’hanno tenuta in naftalina per quarant’anni e adesso la vorrebbero recuperare, ma travisandola e falsificandola: quadretti, serigrafie, operine, nastrini e fettuccine, buchi più o meno tondi, epigoni, artisti inventati e altri diventati iperproduttivi post mortem.
DELLA REPLICA NELL’ARTE CINETICA
I collezionisti vorrebbero che recuperassimo da rigattieri e nei mercatini di bric-à-brac, vecchi motori, viti arrugginite e chiodi da raddrizzare, vorrebbero legni d’antiquariato, magari tarlati. Non accettano neppure l’adeguamento alle normative (indispensabile per poter accendere le opere nei musei, per dirne una) e pretendono spine fuori norma, cavi elettrici pericolosi, non importandosene che è preferibile un oggetto funzionante, capace di restituire i meravigliosi effetti che avevano incantato cinquant’anni fa.
Crediamo nel valore filologico e artistico della replica, del rifacimento e conseguentemente della doppia datazione, non crediamo affatto che essa abbia meno valore dell’iniziale insieme di scatole, motori, cavi elettrici e lampadine!
La doppia datazione, applicata a opere degli Anni Sessanta distrutte, disperse o semplicemente non riparabili, non mistifica che l’oggetto arrivi fino a loro dai recessi del passato.
A sostegno del rifiuto per la doppia datazione si cita che Duchamp, a un certo punto della carriera, non avesse abbastanza opere, che la domanda superasse la possibilità di offerta. Per questo si mise a replicare, tardivamente, orinatoi e ruote di bicicletta, senza però che fossero ben accette dal mercato.
Naturalmente l’esempio non regge: è improprio. Duchamp operava nel mondo dell’arte classica e a essa si rapportava. I suoi erano gesti e provocazioni che, se moltiplicati, non potevano che diventare stucchevoli, quindi non apprezzabili. Le sue opere non erano nate per essere riprodotte, così come, della statua del Laocoonte, si possono fare solo calchi e della Gioconda solo cartoline.
La replica di oggetti dell’Arte cinetica è tutt’altra cosa.
L’ambiente è quello dell’industria, della produzione, della scienza, delle tecniche, del progetto. Il paradigma culturale è quello della riproducibilità tecnica. La Poetica è quella della Ricerca, dell’arte come scienza, e non certamente del manufatto/feticcio.
Che male c’è a proporre opere restaurate o rifatte?
Qualcuno è in grado di spiegarlo, con argomenti che non siano quelli della raccolta delle figurine Panini?
Si assiste a cose paradossali, oggetti motorizzati esposti immobili, lasciati spenti e facendo credere che così siano stati concepiti, presenza nelle aste e nelle mostre di artisti di cui nessuno conosceva l’esistenza, ma assai prolifici, tanto da invadere cataloghi e aste, datazioni arbitrarie, epigoni.
Il macello del buon senso e della verità storica.
STATEMENT
Noi del Gruppo MID non possiamo tacere, accodandoci alle perversioni del mercato e nella speranza che gli acquirenti non si accorgano degli imbrogli che sono loro sistematicamente rifilati.
Intendiamo aprire questa spinosa tematica dei collezionisti che – con sicumera – manipolano la storia dell’arte e condizionano gli artisti a fare e a rifare ciò che a loro piace di più… Condizionano anche vedove e gestori di patrimoni storici originali, purtroppo.
Marangoni e io ci tiriamo fuori da queste perversioni e da una mistificata mercificazione dell’arte usata come risparmio fiscale e come veicolo di spostamento di capitali.
Queste cose non ci emozionano e non ci indignano, ma che almeno siano fatte senza la pretesa di cambiare la storia.
Recentemente ci è stato chiesto di anticare repliche di progetti degli anni Sessanta e/o oggetti originali.
Non lo abbiamo fatto e alcune opere finora messe in vendita non sono risultate abbastanza false per i canoni dei collezionisti.
Quella che segue è una dichiarazione non univoca e in divenire.
1) Noi non intendiamo diventare i falsari di noi stessi, ma ricostruire filologicamente opere degli anni Sessanta, dichiarandolo.
2) Premesso che lo statuto dell’Arte Cinetica si basa sul progetto, il multiplo e la serie, quindi è lecito aggiornare o rifare completamente opere intrinsecamente deperibili.
3) Considerando irrilevante quale debba essere la datazione delle opere, affermiano che, programmaticamente, potremmo:
3.1) Andare incontro ai desideri dei collezionisti, e offrire solo opere a doppia data.
3.2) Avere rispetto delle nostre idee di artisti e della poetica dell’Arte Cinetica, e datare le opere secondo l’anno in cui sono state concepite e progettate, indipendentemente da aggiustamenti e rifacimenti.
Forse queste decisioni non saranno definitive.
Riteniamo questa problematica di pelo caprino, relativamente alla qualità iconica e storica del nostro lavoro.
Insomma, noi facciamo la nostra parte, il mercato faccia la sua.
Siamo sicuri che i collezionisti apprezzeranno la nostra posizione e ci sa-ranno grati per aver infranto l’incantesimo perverso del reperto cinetico.
Gruppo MID
testo redatto da Antonio Barrese e controfirmato da Alberto Marangoni
luglio 2015, Milano, Como
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